Per quale motivo Neri Pozza abbia sentito la necessità, nel 2009, di ripubblicare il romanzetto di Winifred Watson, Un giorno di gloria per Miss Pettigrew (edizione originale 1938, traduzione di Isabella Zani) spacciandolo per una riscoperta e un successo internazionale, non l'ho capito. Si tratta di una storia che promette bene, una specie di Cenerentola agée, in un ambiente, quello londinese del teatro di varietà, dei night club, delle attrici ecc, di cui non so niente (ma secondo me non ne sapeva niente neanche l'autrice) e quindi mi incuriosiva. Inoltre, tanto per prevenire la giusta domanda - ma tu perché l'hai letto? - è presentato come divertente e pensoso, e siccome ho incontrato sovente eccellenti e interessantissime narratrici inglesi (di cui ho più volte parlato su questo blog) l'ho cominciato con un piacere che si afflosciava man mano che andavo avanti e la stretta mortale del conformismo e della prevedibilità si accentuava a ogni pagina.
Dunque, Miss Ginevra Pettigrew, quarantenne istitutrice figlia di parroco e quindi gentildonna, zitella del tutto all'oscuro dei piaceri della vita, e per di più poverissima e alla canna del gas in quanto disoccupata e sfrattata, si presenta allo porta di Miss LaFosse, bellissima e simpatica attrice che, le hanno detto all'agenzia di collocamento, ha appunto bisogno di un'istitutrice. Da questo momento Miss Pettigrew viene travolta da un vortice di imprevisti, sconvenienze, divertimento, sentimenti e emozioni sconosciute, dapprima un po' sorpresa e sbigottita poi sempre più entusiasta, alla fine totalmente coinvolta, e subisce una metamorfosi che, se non proprio in principessa, la trasforma in un'attraente signora di mezz'età. Ma, detto per inciso, quanto bevono tutti! Fin dal primo mattino, un goccetto tira l'altro e dallo sherry si passa al whishy e ai cocktail (micidiali) con estrema disinvoltura, né Miss Pettigrew si tira indietro, e a nessuno viene mai un abbiocco né un calo di lucidità. Per ventiquattr'ore vanno avanti ingurgitando alcol, senza dormire e mangiando pochino. Be', come si diceva una volta, i materiali di prima della guerra erano più robusti.
La conclusione, positiva che più non si potrebbe, non riesce a far dimenticare il conformismo di tutta la storia, pur ammantata di apparenze trasgressive nel mettere la perbenista Miss Pettigrew in un ambiente così diverso da tutto quello che conosceva, che però si rivela caldo, accogliente e generoso. L'ironia è parecchio datata e quella che potrebbe essere una sorta di grazia vintage è deturpata - pesantemente - da parecchie affermazioni razziste, antisemite e anti italiane (o antilatine in generale, perché confonde italiani e spagnoli). Francamente fastidiose, tanto per essere carini. E tutto l'insieme è anche francamente reazionario e sessista. Un citazione tanto per gradire: "Non disse nulla ma la prese premurosamente sottobraccio con quel magnifico, padronale, maschio senso di protezione che mai nella vita aveva sperimentato. Lei si limitò a appoggiarsi debolmente a lui". Con un corollario: la donna che lavora non può arrivare a mantenersi decorosamente, solo la generosità e l'autorevolezza maschile possono darle sicurezza. So che il romanzo è vecchiotto, però... Viene da pensare che oltre a protestare contro la pubblicità sessista ogni tanto bisognerebbe protestare contro gli stereotipi della chick-lit, e discutere sul fatto che un libro come questo venga ripubblicato e diventi un best seller. Comunque: da Miss Pettigrew la strada per arrivare a Bridget Jones (che consiglio vivamente a chiunque abbia voglia di sorridere e svagarsi senza controindicazioni) è molto, molto lunga e accidentata.
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