I love Paris in the springtime
–
I love Paris in the springtime – cantò Angelica, allacciandosi un paio di
scarpe da ginnastica rosse con le stringhe bianche, – I love Paaaris trallala!
Dalla
finestra aperta le rispose un allegro stridore di freni, sbattere di portiere e
nervosismo di clacson. Un pullman rombò a tempo.
–
I love Paris too – frusciarono i pneumatici sull'asfalto.
Che
giornata magnifica, per Angelica. Che profumo di tigli e sambuchi saliva fino
al sesto piano, a saperlo riconoscere, tra i fumi di scarico del corso. Che
incantevole effluvio di felicità. Neanche il fetido sudore dei cassonetti verdi
schierati lungo il marciapiedi riusciva a cancellarlo.
– La mer, qu'on voit danser… pom pom pom
pom, a des reflets d'argent…
Perché
mai sei così contenta, Angelica? Contaci un po', che fa piacere a tutti vedere
una ragazza bella e felice in una mattina piena di sole.
– Que reste–t–il de nos amours, que
reste–t–il de ces beaux jours…
Eh
no, questa canzone non va bene. Conservala per una giornata d'autunno, quando
il cielo sarà rigato di lacrime e il tuo cuore anche. Magari per quando avrai
qualche capello bianco, un paio di rughe attorno alla bocca, lo sguardo più
duro e persino un po' di cellulite sull'alto delle cosce, dove adesso i
pantaloni bianchi scivolano disinvolti senza incontrare alcun impedimento.
Ma
poi spiegami questo, Angi: dove le hai scovate delle tali anticaglie musicali?
Da un rigattiere? Al Balun? Magari rovistando nella soffitta di tua nonna? O
alla radio, nella rubrica L'angolo della nostalgia?
Nello
zainetto trova posto l'agenda zeppa di foglietti scritti in fretta, il
cellulare, un modesto portafogli – anche il contenuto è modesto –, un
assorbente che non si sa mai, fazzoletti di carta, spazzola, matita per gli
occhi, burro di cacao (non c'è bisogno di truccarsi tanto quando si hanno vent'anni
e l'amore in tasca), ma anche, che cosa vedo? un paio di mutandine di ricambio,
dentifricio e lo spazzolino da denti. Dove stai andando, Angelica? Se rispondi
a lavorare, non ci crede nessuno.
Al
portinaio che la salutava sorrise senza parole. Posta non ce n'era, ma tanto la
notizia – l'unica notizia che importasse – era arrivata via email: vieni alla
stazione domattina alle nove e trenta, salta sul treno che andiamo a Milano
insieme. Je t'aime beaucoup, passeremo una notte in albergo – ho un colloquio di lavoro, poi torniamo insieme e
mi fermo da te per qualche giorno. Senza firma, ma ce n'è bisogno? Leo è qui.
Leo mi vuole con sé. Leo arriva per amarmi e rendermi preziosa come il sole
all'alba, come la luna di sera. Come una meringa, perché mi guarda affamato di
me come fossi una meringa, bella piena di panna e bianca e dolce. Proprio lì in
mezzo alle gambe Angelica si sente importante, unica. Non è lì che si concentra
tutto? Come l'occhio del ciclone, come lo scarico della doccia in Psycho, come
il centro del bersaglio quel punto magico attira tutto ciò che gli ruota
intorno e lo inghiotte.
–
L'ombelico del mondooo…
Adesso
basta con le canzoni, Angelica.
–
Tu capisci, Lori, una settimana intera senza dormire, tra amore, prove, amore,
quel minimo di tempo per mangiare e dare un'occhiata al giornale, poi di nuovo
amore, una volta siamo persino andati al cinema…
–
Quando dici amore, intendi sesso?
–
Ma che sesso! Era amore, estasi, purissimo elevarsi allo stato più alto
dell'essere. Compenetrazione di anime e corpi, fusione perfetta.
–
Quando dici compenetrazione, intendi penetrazione?
–
Lori, come fai a non capire? Hai mai scopato con qualcuno che riesce a
trasformare un banale coito in un'esperienza mistica?
–
No, mai. Io sono una ragazza abbastanza fortunata. Quelli con cui scopo io sono
brave persone, che prima si danno da fare poi gli viene voglia di due
chiacchiere, due tenerezze, un caffè, una sigaretta, al massimo un grappino o
uno spinello. Una volta uno ha voluto a tutti i costi andare a fare una
passeggiata notturna lungo il Po, ma al secondo tossico ha capito che era
meglio tornare indietro. Siamo andati in birreria e ha pagato lui.
–
Beh… –. Angelica si scompigliò i capelli cortissimi e si sfregò gli occhi
spargendosi il rimmel sulle guance. – Leo è diverso. Quando arriva è come se si
appropriasse della mia vita e ne facesse un cartoccio. Ma è un cartoccio pieno
di caramelle al miele.
Lori
la guardò ammirata.
–
E adesso, quando vi vedete?
–
Chi lo sa? E' impegnato con uno spettacolo a Parigi per un mese, poi andrà in
tournée. Io sono bloccata qui fino a settembre. Forse riusciremo a incontrarci
per qualche giorno, ma…
–
Ne avete parlato?
–
Oh insomma! Lori, certe volte mi fai proprio scappare la pazienza. Non è una
storia così, lasciamo tutto al caso, all'estro… Un giorno o l'altro mi telefona
o mi manda un'email e io salto su un treno e lo raggiungo.
–
E se sei tu a telefonargli?
Angelica
tirò fuori diecimila lire, agitò lo scontrino verso il cameriere e pagò il
conto. Ormai il loro tavolino era stato raggiunto dal sole e faceva troppo
caldo per rimanere nella piazza polverosa, dove le vampe di afa stingevano la
quinta di colline in una foschia giallastra.
–
Adesso devo andare, scusa. Ti chiamo io appena ho tempo. Non ti offro un
passaggio perché sono a piedi.
Ci
sono volte in cui anche le migliori amiche sono più simpatiche
nell'immaginazione che nella realtà. Angelica riconobbe che sarebbe stato molto
meglio ripassare i ricordi da sola, invece che cercare di riassaporarli in un
franco e intimo colloquio femminile.
Sotto
la doccia, Angelica insaponava con furia le lunghe braccia magre, i gomiti a
punta, le gambe muscolose, i piedi ossuti, il collo sottile (Sembri Alice
quando il collo le cresce a dismisura, e il piccione grida: un serpente! un
serpente! stai cercando di mangiare le mie uova! e non accetta ragioni, non
vuole credere che sia una bambina), tutto tranne dove la memoria di Leo
si è incisa a fuoco. Sui seni la spugna passa con cautela, tra le gambe esita a
fregare. Solo a sfiorarli, la pelle comincia a pulsare, i capezzoli diventano
sensibili, un calore dolente e inquieto si irradia giù per le cosce e su per il
ventre dal centro di tutti i piaceri.
–
Quando dici amore, intendi sesso?
E
vaffanculo, Lori. Anche l'estasi di tutte le Sante Terese del mondo, con i loro
occhi rovesciati, le frecce angeliche puntate verso il pube, il deliquio e il
venire meno, sappiamo benissimo che cominciano proprio di lì, da quel punto
rovente e capriccioso e vorace. Posso chiamare quello che voglio come voglio?
Era sesso ma anche esperienza mistica. Te lo giuro, ho visto il sole roteare e
le stelle, la luna, la via lattea, tutto quel che ti viene in mente di
astronomico, in pieno giorno e in piena notte, indipendentemente dalle
condizioni meteorologiche. Ho visto dio e la madonna e mio padre buonanima, ho
capito il mistero dell'universo e l'origine del mondo. Tutto in una scopata,
sì, proprio tutto nel dolce su e giù, in quella cosa che quando la faccio con
Renato al massimo mi esce un sospiro – ah, sì amore – e invece con Leo mi
lascia muta, pietrificata e santificata insieme, sciolta come un gelato in una
sera d'agosto e trasparente come un ghiacciolo in gennaio. Non me lo spiego, ma
è così.
Angelica
si avvolse nell'asciugamano più ruvido che aveva, se lo sfregò sulla schiena,
si asciugò in fretta e si rivestì in un baleno. Il minimo possibile. Mutandine,
bermuda, canottiera e infradito. C'erano un sacco di cose da risolvere, dopo la
vacanza d'amore. Due esami da preparare. Bollette, conti, scadenze, telefonate
a cui rispondere, e soprattutto ricominciare a esercitarsi, trovarsi con i
colleghi del gruppo, lavorare allo spettacolo che stavano allestendo, ma non
era ancora il momento. Sdraiata sul parquet fresco, braccia e gambe aperte come
una stella di mare dimenticata dalla marea, Angelica si sforzò di pensare.
–
Quando dici compenetrazione, intendi penetrazione?
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