sabato 24 dicembre 2022

Natale ancora, un altro racconto cattivo e inedito (1990), e poi per quest'anno basta!

NATALE ANCORA 

"E' di nuovo Natale" disse Francesca cupamente, po­sando i pacchi che aveva trascinato su per le scale dal momento che l'ascensore era rotto. "Dal salumaio c'è un albero di plastica bianca coperto di salamini e dadi da brodo e in via Po tutti i negozi hanno fuori un altoparlante che diffonde nauseanti musichette natalizie."

     Alberto cominciò a sistemare i pacchetti nel frigorifero e nella dispensa.

     "Be'" rispose "che cosa ti aspettavi, che ci fosse un uovo di Pasqua? E' il cinque dicembre, e non c'è scampo. Tra venti giorni è Natale."

     "Che cosa vuoi mangiare?" chiese France­sca. "Puoi scegliere tra frittata e fagiolini surgelati, o spaghetti e formaggio, o una fettina al burro sempre con fa­giolini surgelati. Decidi tu."

     Alberto fece una smorfia. "Scelgo cotechino con lenticchie, o agnolotti al sugo di arrosto, visto che è Natale."

     Francesca fece l'aria offesa e lui le sorrise.

     "Fagiolini e fettina sono il mio ideale di cena prenatalizia. Teniamoci leggeri per i festeggiamenti che cominceranno tra poco."

     Davanti alla sua fettina, Francesca riprese il discorso.

     "Non ho ancora pensato a nessun regalo. Non riesco a immagi­nare nemmeno una cosa che potrebbe fare piacere a tua madre o alla mia, per non parlare dei padri, dei fratelli e degli amici. Vorrei addormentarmi stasera e risvegliarmi il venti­sei. Giuro, sarei disposta a rinunciare a venti giorni di vita per risparmiarmi questo strazio."

     Alberto annuì.

     "Ti capisco, ma non c'è scampo."

     "Ti ripeti, amore mio" disse Francesca in tono polemico, ma poi cambiò argomento, perché aveva un sacco di cose da raccontare sulla sua giornata.

     Quella notte sognò un enorme pacco avvolto in carta rossa da cui uscivano ributtanti salsicce rosicchiate e topo­lini bianchi, caramelle al rabarbaro e pezzi di formaggio ammuffito. Lei raccoglieva tutto e ringraziava a destra e a manca, distribuendo baci a una folla di volti senza linea­menti, le cui bocche senza labbra ripetevano in coro: buon Natale! Si svegliò con un tremendo mal di testa e di perfido umore, bisticciò con Alberto in bagno e arrivò in ritardo al lavoro.

    

A tempo debito, tuttavia, il tavolo dell'entrata di Alberto e Francesca si coprì di pacchetti colorati e infiocchettati, alcuni con il loro bigliettino o il nome scritto a pennarello, pronti per essere distribuiti o scambiati con pacchetti del tutto simili portati da visitato­ri inattesi. Si erano sforzati di ricordare tutti e di preve­dere tutti quelli che avrebbero potuto eventualmente compari­re con un regalo, per non farsi prendere alla sprovvista, senza nulla con cui ricambiare.

     In uno dei pacchetti Francesca aveva messo, con grande cura, i contenuti del suo sogno. Era stato facile pro­curarsi una salsiccia e del formaggio, come pure le cara­melle al rabarbaro; più difficile era stato trovare il topo­lino bianco, ma lei lo aveva sostituito con una cavia che aveva comprato viva e poi chiusa nel freezer per qualche ora. Il pacchetto era confezionato con la stessa carta rossa degli altri ed era difficile distinguerlo; infatti, Francesca non lo distingueva affatto, e l'aveva piazzato tra quelli senza nome, quindi poteva essere dato a chiunque. Ogni volta che ci pensava, Francesca aveva un brivido di eccitazione immaginando il momento in cui sarebbe stato aperto.

     Vennero i giorni di Natale e i pacchetti cominciarono a sparire, scambiati con pacchetti analoghi. Francesca e Alberto ebbero sciarpe in cambio di guanti, e guanti in cambio di sciarpe, grilletti e bicchieri in cambio di camicie da notte e pigiami. Il ventiquattro c'erano solo pochi pacchetti sul tavolo dell'entrata, quelli per i parenti con i loro bigliet­tini, che sarebbero stati presentati il giorno dopo al pranzo natalizio familiare, e un paio senza nome, an­cora in attesa degli ultimi donatori. Francesca era un po' delusa che a nessuno fosse toccato quello che secondo lei rappresentava il vero spirito natalizio, ma si consolò con l'idea che avrebbe sempre potuto aggiungerlo al dono preparato per la suocera, un sofisticato scialle da sera di seta rossa; o ancora meglio a quello per sua madre, che le sembrava davvero un po' modesto, perché consisteva solo in una cornice indiana di papier-maché contenente la foto dei donatori.

     Ma il destino volle altrimenti. All'ora dell'aperitivo, quando la coppia si stava preparando per andare a cena al ristorante e il rumore isterico di clacson e frenate che aveva riempito la città per tutta la giornata si era calmato fino a scompa­rire nel silenzio delle cene familiari e dei festeggiamenti casalinghi, suonò il campanello. Era la vicina con un piatto contenente una torta coperta da un tovagliolo. Francesca le dette un pacchetto e la donna non aprì sul momento, ma se ne andò ringraziando timidamente e rinnovando gli auguri. Francesca sperava ardentemente che il pacco che aveva scelto sul tavolo fosse proprio quello delle salsicce e della cavia, ma non cercò di controllare.

     Al momento in cui stavano già sulla porta, telefonò una vecchia amica, Franca.

     "Posso venire a farvi gli auguri?" chiese.

     "Ma stiamo andando al ristorante" rispose Alberto.

     "Ditemi dove andate e passerò un momento prima di andare a cena dai miei" disse Franca, e si presentò all'appuntamento con un pacchetto avvolto in carta d'argento.

     Alberto aveva preso, prima di uscire, l'ultimo pacco senza nome, e lo consegnò a Franca.

     "Lo aprirò domani mattina sotto l'albero" disse lei con un sorrisetto lezioso, e così Francesca fu defraudata dell'ultima possibilità di verifica­re l'effetto del suo specialissimo dono.

     La cena le piacque, soprattutto perché il ristorante era semideserto (lei si ricordava quand'era bambina, e sua madre diceva che la sera prima di Natale, in giro c'erano solo la piccola fiammiferaia, Oliver Twist e l'incompreso) e i pochi tavoli occupati ospi­tavano gruppetti di amici festosi che bevevano spumante scartocciando pacchetti. Lei e Alberto non avevano pacchetti né si scambiavano auguri, e bevevano birra, perché la sera­ta non fosse troppo festiva.

     Durante la notte, Francesca fece un altro sogno. Sotto un albero di Natale mastodontico, centinaia di pacchetti era­no completamente coperti da un brulicare di scarafaggi. C'erano un sacco di persone intorno all'albe­ro, che facevano esclamazioni deliziate, dicendo:

     "Che bello! Che idea splendida! Che decorazione azzeccata!"

     Svegliandosi, Francesca pensò che era effettivamente un'idea splen­dida, e proprio quello che mancava ai suoi regali per renderli perfetti. Per cui, mentre Alberto si radeva, scese velocemente in cantina con un sacchetto e lo riempì di scarafaggi, che poi attaccò con dello scotch sui pacchetti. Siccome erano ancora vivi, gli scarafaggi si agitavano e facevano un bellissimo effetto sulla carta rossa. Lei li sistemò nella grande cesta che aveva preparato a quello scopo, e quando Alberto fu pronto, sce­sero e presero la macchina per andare a pranzo dalla madre di Francesca. La vicina non uscì per ringraziarli del dono e neppure Franca telefonò.

     Prima del pranzo, ci fu lo scambio dei regali. Gli scarafaggi di Francesca erano indisciplinati, e qualcuno si era liberato dallo scotch, così lei dovette affannarsi a rimetterli al loro posto. Le zampine si agitavano spasmodica­mente disegnando ghirigori sulla carta natalizia. Ogni regalo fu consegnato al proprietario del nome scritto sul bigliettino, ognuno ringraziò adeguatamente e scartocciò il suo pacchetto con lo scarafag­gio. Nessuno osò dire niente: e Alberto e Fran­cesca ebbero i loro pacchetti in cambio, avviluppati in carta rossa, verde, viola e dorata, con fiocchi e ghiande e stelle di Natale, mentre i destinatari dei loro doni spalancavano gli occhi soffocando grida di ribrezzo. Ma nessuno disse nulla; i genitori e i suoceri si spinsero fino a ringra­ziare. Fratelli, cognati, nipoti e zii tacquero, e lasciarono i pacchetti aperti con le loro decorazioni di zampette mobili in un angolo senza più toccarli.

     "Francesca, stai bene?" disse sua madre.

     Alberto era impressionato, ma l'idea parve geniale anche a lui. Il pranzo fu in un certo modo un successo, perché tutti fecero finta di niente e mangiarono come se non fosse capitato niente di strano.

     Quando Francesca e Alberto tornarono a casa, nel pome­riggio, trovarono sullo stuoino una cavia morta e puzzolente accuratamente avvolta in carta rossa.

     "Allora è la vicina che ha avuto il pacco" disse Francesca, ma poi rifletté che anche Franca avrebbe potuto facilmente arrivare fino allo stuoino.

     Alberto era stupito: non sapeva niente dell'origina­le pacco natalizio confezionato da Francesca.

     "Che strane cose succedono a Natale" disse, "Francesca, sei sicura di stare bene?"

     Lei scoppiò a ridere e annuì.

     "E' il più bel Natale della mia vita" disse, e diceva la verità.

 

 

2 commenti:

Massimo Citi ha detto...

Le feste di Natale sono state inventate da Lucifero in persona.

consolata ha detto...

E non si può che complimentarsi con lui per il successo... nessuno riesce a sottrarsi! Dove Gesù Bambino non è mai arrivato, ora c'è il ciccione vestito da pagliaccio con il suo stupido oh oh oh!