riassumere, anche se basterebbe una parola sola per farlo: amore. E' un libro che trasuda amore da ogni parola, da ogni frase, amore per la madre dell'autrice, Maria Grazia, che già tanta parte ebbe nel bellissimo Ritratto di famiglia con bambina grassa
Prima di tutto, questo libro è un dialogo. C'è un io che parla, ricorda, racconta, chiede, tesse ragnatele di parole dolci e brillanti, costruisce luoghi, persone e situazioni con una naturalezza e una precisione tali che ci si dimentica che stiamo leggendo, si scivola tra pensieri e fatti con il piacere sereno di chi guarda dal finestrino di un treno un paesaggio che non stanca mai. E c'è un tu che non risponde mai se non attraverso l'evidenza del ricordo innamorato e instancabile.
Questo libro è anche uno specchio, come si intuisce fin dal titolo: è un libro dedicato da una figlia alla madre ma anche a se stessa, che ricostruendone la vita ricostruisce la propria. E si vuole bene attraverso gli occhi della madre.
I fatti non sono molti, la vita della madre è insolita ma non avventurosa: nata in California da genitori migranti, tornata in Italia ancora bambina da sola, in nave, cresce nel paese d'origine nel basso Canavese, non lontano da Torino, in una famiglia accogliente costituita da figure solide e importantissime, di quelle che lasciano il segno. Figure soprattutto femminili, le magne, le zie, in primis quella Ninin brontolona e icastica, sempre citata con le sue frasi di inarrivabile, caustica e sintetica precisione che definiscono il mondo anche per Margherita. Poi arriva Gilìn, l'uomo scombinato e fonte di guai continui, fino a trascinare la moglie alla bancarotta per i suoi debiti di gioco. E qui Maria Grazia si rivela per la forza che possiede e la sostiene nei frangenti più difficili: paga i debiti del marito e combatte la sua battaglia di donna sola con una figlia piccola nel difficile mondo del commercio, nel negozio di alimentari che coraggiosamente gestisce con grinta e gentilezza.
La lingua dell'amore è il dialetto, la prima lingua che Margherita impara e quella che sempre userà con Maria Grazia e le magne. Ma Maria Grazia ha una passione fatale che trasmetterà alla figlia come un'infezione dalla quale non si guarisce mai: leggere. I libri sono la sua scuola e la sua vita, così come sono la felicità e la vera scuola per Margherita. E intorno c'è il mondo che cambia e le dure lezioni che una ragazzina deve imparare sul suo ruolo femminile, la scuola di Torino, le magne che se ne vanno, la fatica di crescere, Gilìn il padre sfuggente che torna a casa, e poi il trasferimento a Torino, la vicinanza tra madre e figlia che non viene mai meno, e poi gli ultimi anni e l'amore che diventa "i miei occhi su di te", gli sguardi che vedono ancora la bellezza e la luce là dove non c'è più.
Intanto la vita di Margherita si dipana tra lavoro, amori e amicizie, come succede in tutte le vite giovani. L'accettazione l'una dell'altra è totale e pervasa di affetto. Condividono molto, ben più di quanto avviene di solito tra madre e figlia. Sono due esistenze intrecciate e parallele.
Non temo di fare spoiler raccontando i pochi fatti di questo straordinario libro. Non sono i fatti a contare, al di là di quanto spiegano. Conta io e conta tu, contano gli sguardi fissi l'uno nell'altro, le due vite che si rispecchiano. Conta il rispetto, la fiducia totale, l'ammirazione, insomma, senza timore di ripetermi, conta l'amore. Ogni azione di Maria Grazia lo suscita, ogni sguardo di Margherita e ogni sua parola lo esprime.
E conta moltissimo anche la scrittura di Margherita Giacobino, mai così duttile e sapiente, a suo agio nel continuo passaggio dalla riflessione alla narrazione, nell'intrecciare la concretezza dei fatti all'impalpabile (ma intensa) atmosfera dei sentimenti e dei ricordi. Un libro affabile e discorsivo ma anche prezioso come un tessuto cangiante, che ipnotizza il lettore senza bisogno di trucchetti. Un libro che va letto come si assapora un gelato a più gusti, o come si rimane incantati a guardare i colori cangianti di un tramonto.
Nessun commento:
Posta un commento