A dire il vero Aleksej Apuchtin non l'avevo mai sentito nominare quando ho cominciato a leggere L'archivio della contessa D**. Ho visto dalla biografia che non ha scritto molto di narrativa, è piuttosto un poeta, e i suoi testi in prosa sono stati pubblicati postumi. La cosa mi ha stupito perché questo libretto mi ha incantata, divertita, acchiappata, mi ha tenuta sveglia fino a tarda notte e la mattina dopo, invece di buttarmi a leggere posta e giornali, appena ho aperto un occhio ero già immersa nelle vicende della contessa D** e dei suoi amici.
E' un romanzo epistolare, e come dice il titolo si tratta di un archivio in cui la destinataria, la contessa D** appunto, non compare mai in prima persona, ma le sue vicende le intuiamo dalle parole dei suoi numerosi corrispondenti. Siamo in un anno non precisato dell'Ottocento, a Pietroburgo, nell'alta società, e gli attori di questa storia corrono volentieri su e giù per la Russia verso Odessa o lontane tenute di campagna, con pause a Mosca, ma la vera vita è solo ed esclusivamente quella che si svolge a Pietroburgo nei salotti e nelle alcove del bel mondo.
Personaggi, oltre alla contessa Ekaterina Aleksandrovna (Kitty per gli amici intimi) sono la sua amica del cuore Mar'ja Ivanovna Bojarova (che si firma Mary), il marito conte D., l'amante Mozajskij, la principessa Krivobokaja, presidentessa della Società per la Salvezza delle giovani in pericolo con una figlia nubile da piazzare, e molti altri che si muovono freneticamente sul palcoscenico scivoloso della vita sociale di Pietroburgo. Le loro parole intrise di vanità, avidità, ipocrisia, lussuria, sono quel che di più divertente ho letto negli ultimi tempi. Mi ripeto, ma questo libro è veramente irresistibile.
I fatti sono universali, non particolarmente originali - amori adulterini, mariti ingenui, attese di eredità che puntualmente vengono deluse, intrighi matrimoniali e per il prestigio sociale, pettegolezzi su personaggi in vista, cuori infranti e slalom tra amanti - ma orchestrati con tale abilità e scioltezza che riescono a sorprendere ogni volta. Seguiamo gli intrecci tra i personaggi, ridiamo sull'ingenuità con cui sbattono il naso negli spigoli, si fanno ingannare da chi è più astuto, ci rallegriamo delle batoste degli antipatici e parteggiamo per le pessime protagoniste, ma soprattutto ci divertiamo senza un momento di stanchezza. Avete presente quelle sit-com spiritosissime in cui non ci si stanca mai anche se non c'è neanche un attimo di imprevedibilità? Io sono sempre piena di ammirazione per gli scenggiatori che riescono a fare certi miracoli. Ecco, se fosse vissuto oggi forse Aleksej Apuchtin avrebbe poturo fare carriera come sceneggiatore.
E questa impagabile passeggiata tra servi ladri e ricattatori, preti intriganti e attaccati ai soldi, ricconi che procurano mariti alle proprie figlie brutte a qualsiasi prezzo, innamorati che si vendono senza rimorsi, ha il pregio estremo di mancare totalmente di moralismo e buoni sentimenti. Aleksej Apuchtin non fustiga, rappresenta con perfidia e gran divertimento figurette indimenticabili. E in una cosa non concordo con Caterina Maria Fiannacca, autrice della bella traduzione e dell'interessante introduzione: il dolore e l'autocritica dell'ipocrisia dei rapporti sociali in cui sprofonda Mary dopo l'abbandono dell'amante Kostja non portano a una vera rinascita, né i figli riscoperti né la calma della campagna lontana da Pietroburgo sono sufficienti per chi è drogato delle emozioni della vita mondana. La cronaca di qualche giorno di lucidità ci porta allo sberleffo finale. L'ultima pagina fa intuire che presto Mary tornerà a rivendicare il suo posto in società, pronta a trovare un nuovo Kostja per cui gioire e soffrire e con cui scambiare lettere da distruggere subito. Meno male che Kitty invece il suo archivio lo conserva gelosamente, e noi possiamo infilarci il naso per goderne gli effluvi esilaranti.
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