Mi perdonerà di sicuro Arnaldur Indriðason, scrittore islandese di successo, se uso il suo romanzo La signora in verde (anche questo un libro antico, del 2001, publicato in Italia nel 2006 da Guanda e da me acchiappato in qualche offerta speciale Kindle) per fare un paio di riflessioni antipatiche. Premetto che il romanzo non mi è dispiaciuto e mi astengo da giudizi perché non sono un'appassionata di gialli (li chiamo così anche se so che ormai o sono noir o sono thriller, la versione italofona non ha più corso) per cui non ho l'autorevolezza per farlo.
Ciò che mi è venuto in mente è: ma è possibile che a nessuno siano venuti a noia i cliché senza i quali pare che nessun giallo possa esistere? Questa riflessione mi ha colpito particolarmente perché un classico che negli altri è spesso metaforico (lo scheletro sepolto) in questo romanzo invece è reale e dà, onestamente e senza pretestuosità, inizio alla vicenda. Ma la storia del passato sepolto che torna alla luce e determina il presente è talmente scontata e prevedibile che dovrebbe essere vietata per legge. Inoltre il più delle volte rende molto facile indovinare (o capire) la conclusione della vicenda (vedi Resa dei conti di Petros Markaris). L'altro aspetto che trovo veramente stucchevole al limite della nausea è la preponderanza dei fatti privati del detective, in questo caso Erlendur Sveinsson della polizia di Reykjavík, sfigato e pasticcione e infelice e pieno di casini famigliari a livelli preoccupanti. Perché un tizio che nella sua vita è riuscito solo a combinare pasticci dovrebbe essere capace di risolvere quelli altrui? E diciamocelo una volta buona, i Wallander e compagnia bella hanno veramente stufato. Molto meglio i razionali alla Montalbano, ma anche lì delle storie di Livia, Mimì e le sue donne, non se ne può più.
Sfogata così la mia personale stufaggine, posso dire che questo La signora in verde è meglio di Sotto la città o almeno mi ha annoiato di meno. La vicenda si svolge su due piani temporali, uno nel passato di cui è protagonista una donna malmenata da un marito violento e uno nel presente, che segue le indagini di Erlendur. Leggetelo se vi piace l'argomento "violenza domestica" così alla moda (qui bisogna dire che l'autore è stato un precursore, ma direi che l'argomento è una sua fissa), se vi piace un'indagine tutta fatta di visite a vari testimoni non sempre facili da distinguere, e se riuscite a non indovinare l'assassino dalla prima volta che viene nominato. Io ho trovato molto meglio la parte ambientata nel presente, e un po' noiosa quella che segue nel passato le vicende della donna picchiata dal marito. E mi resta una domanda: ma non ci hanno sempre raccontato che sti nordici sono tanto civili? Allora non era proprio sempre vero?
La bella traduzione è di Silvia Cosimini.
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