Per CONSOLATA LANZA
Come vedi,
sono arrivato fino a pag. 249.
Prima di
tutto, complimenti!
E adesso, se
posso permettermi, un mio commento.
È, però, un commento non da
specialista. Non sono un critico letterario, non ne ho le capacità, è quindi il
mio commento è tutto d’istinto, di testa, e anche di cuore.
Confesso che
nella prima parte di lettura mi ero un po’ perso, e anche spaventato. Di fronte
a ‘misteriose donne velate’, ‘confessioni
in punto di morte’, ‘parenti perduti e poi ritrovati’, ‘documenti di famiglia
che appaiono e ricompaiono’, e compagnia bella, ho visto aleggiare le
grandi ombre di Balzac, Flaubert, Dickens ecc. e ho avuto paura.
Poi,
all’improvviso, ecco che tu mi ha teso una trappola e io ci sono cascato:
laddove citi il primo verso, in greco, dell’Iliade che, una volta, obbligavano
a mandare a memoria.
Ti giuro,
erano più di cinquant’anni che quel verso era sepolto in qualche strato
profondo della mia memoria e, di colpo, mi sono trovato a scorrere le righe del
tuo romanzo mormorando quelle vecchie parole: Menin aeide thea… ecc. ecc.
Da quel
punto in poi, la lettura è stata più che scorrevole, piacevole, e posso dirlo?,
divertente.
Svanite
quelle pesanti ombre, tuffato nell’azzurro cobalto (come la copertina) di
Chios, la musica è cambiata.
E, quindi,
tra i pasti, le cene, i giardini, la campagna e il mare, ho cominciato a
sentire in sottofondo arie rossiniane (‘L’Italiana
in Algeri’), e perché no?, anche mozartiane.
E qui mi
viene in mente la scena in cui sulla piccola isola di Inusses si spande la
falsa notizia dell’imminente terremoto e tutti gli abitanti scappano alle
barche lasciando sull’isola soli soletti Alain e Markela.
Tutta la
scena è da Opera Buffa rossiniana: al
posto dell’isola ho percepito soltanto un fondale dipinto, sembra di sentire il
coro che canta: ‘Alle barche! Alle
barche!’, un crescendo rossiniano che poi cala pian piano, mentre le barche
s’allontanano; poi, i violini riattaccano quando appare Markela, tutta stordita
di sonno e di libidine.
Esotismo
lirico ed esotismo pittorico.
E, così,
pagina dietro pagina, mi son venuti in mente Ingres, Delacroix, Bagno Turco, Donne di Algeri, le
odalische, tutto l’Oriente delle ‘Turcherie’,
i romanzi di Thrasso Castanakis.
E a
proposito di Castanakis, la scena delle 6 coppie (+ 1 spaiato) di reclusi
omosessuali sulla panca della cella l’ho trovata esilarante oltremodo e m’ha
fatto venire in mente un altro romanzo (ricordo solo il titolo: Portiere di Notte, l’autore ci vinse il
Premio Formentor nel 1968, altri tempi!). Trama semplice: un uomo e una donna
vivono avventure esotiche e paradossali, ma tutto come strisce di fumetti, tipo
Pentothal di Paz.
Una di
queste strisce è ambientata a Smirne, in un locale-bordello (stile Totò le Mokò), dove c’è una certa panca
con efebi in attesa di ricchi commercianti.
E verso il
finale il divertimento è stato ancora più intenso.
L’arrivo nel
porto di Chios del grande yacht olandese Freya
è stato proprio un gran finale mozartiano (‘Il Ratto dal Serraglio’), non solo perché il tuo finale (come quello
mozartiano) non è da ‘E tutti vissero
felici e contenti…).
Infatti, m’è
sembrato che l’esperienza per l’Amore del tuo IO Narrante sia piuttosto un
conflitto tra vita vissuta e regole che ci sovrastano.
O meglio, un
incontro-scontro tra ciò che nella vita è possibile e ciò che è probabile.
Cioè, una ricerca di equilibrio fra questi due poli. In fondo, è ciò che fa Mr
Roland alla fine, come già fa Selim Pascià nel finale mozartiano, permettendo
agli amanti di lasciare il Serraglio.
Questo mi ha
suggerito la tua cabaletta finale: ‘Maledetta
Eva e la sua mela e benedetto il loro dolce seno…’
Nel finale
del tuo romanzo si ritrova un gustoso connubio di Opera Buffa e Commedia dell’Arte. Nelle ultime pagine, infatti, dentro
quella limpidezza sensuale, quasi uno sfondo di acquerelli
veneziani (o goldoniani), non c’è la presenza di un arlecchino, quanto piuttosto l’invito, sotteso ma intrigante, a saltare nel tempo, a saltare ai nostri giorni. E, quindi, la riflessione su com’era un certo Oriente e com’è diventato ai nostri giorni.
veneziani (o goldoniani), non c’è la presenza di un arlecchino, quanto piuttosto l’invito, sotteso ma intrigante, a saltare nel tempo, a saltare ai nostri giorni. E, quindi, la riflessione su com’era un certo Oriente e com’è diventato ai nostri giorni.
Mi si può
accusare di non aver saputo cogliere il sociale, il politico, l’ideologico
(inglesi, francesi, turchi, greci, i padroni del mondo e i proletari del mondo
eccetera eccetera). Ma io ho gustato
(passami ancora il termine) il tuo lavoro proprio come un’Opera Buffa, un film d’avventura, una fiction televisiva a puntate.
E, qui,
sarebbe da fare una riflessione ancora più articolata. Fossi un produttore
televisivo ti comprerei i diritti d’obbligo per un lavoro sul piccolo schermo.
Ma non vado
oltre. L’argomento è molto attuale e controverso e merita tempo, disponibilità,
ricerca.
Spero che al
prossimo nostro incontro sia possibile riparlarne.
Giuseppe Giordano
P.S.:
Ultima
riflessione: la stampa, la carta, i caratteri, la copertina è tutto OK, un vero
piacere per la vista.
2 commenti:
In effetti una "riduzione televisiva", o anche una miniserie a puntate, de Gli Anni al Sole sarebbe un'ottima idea! E dato l'argomento avrebbe le potenzialità di piacere a un vasto pubblico.
Chissà?...
...e ora vado a cercare la citazione in greco dell'Iliade (che sinceramente non ricordo mica di aver letto ne Gli Anni al Sole)...
Mah... non credo che mi interesserebbe nulla di televisivo. A meno che pagassero i diritti ;-) Quanto alla citazione greca non c'è, casualmente l'ho letta in qst giorni da qualche parte e non me la ricordavo affatto. Secondo me è un caso di proiezione culturale - Giuseppe Giordano, da uomo colto, mi attribuisce quello che lui avrebbe messo nel libro. E io mi faccio bella della cultura sua. Ciao!
Posta un commento