lunedì 15 maggio 2017

Non sempre il buongiorno si vede dal mattino: Elizabeth von Arnim, Un'estate da sola


 Un commento veloce al libro di un'autrice che amo molto, e che questa volta non solo non mi è piaciuta per niente ma mi ha fatto fare molte riflessioni maligne.

Premetto che molto probabilmente si tratta di una mia incapacità di capire: i commenti e le recensioni a Un'estate da sola (The solitary summer) di Elizabeth von Arnim, sono pieni di termini come incantevole (che domina in assoluto), delizioso eccetera. Si tratta del secondo libro della von Arnim, pubblicato un anno dopo il successo strepitoso di Il giardino di Elizabeth (Elizabeth and her German garden) del 1898, che non ho letto.

Elizabeth, all'epoca sposata con il conte tedesco Henning August von Arnim-Schlagenthin, aveva tre bambine (poi avrebbe avuto ancora un'altra bambina e un maschio) e decide di passare un'estate in solitudine nella sua tenuta di Nassenheide, in Pomerania (oggi Rzędziny, Polonia). Atto, pare, di eroismo, anticonformismo e ribellione così assoluta che deve continuamente implorare il permesso dal marito e ribadire la propria felicità di amante appassionata della natura e della semplicità agreste. Occhei. I tempi erano quelli, ma il significato delle parole più o meno lo stesso di oggi: e la solitudine, per von Arnim, significa stare con tre figlie, saltuariamente un marito (ancorché sempre nominato con il gradevole soprannome di Man of Wrath, l'Uomo dell'Ira), alcune governanti e un maestro che viene due ore al giorno a far loro lezione, un giardiniere capo e un numero imprecisato di aiutanti, cameriere, cuoche, stallieri (quando vuole immergersi nella selvaggia solitudine della foresta, ordina la carrozza e via). E' vero che esprime malinconicamente il rimpianto che non si possa vivere con poca servitù (e via, non possiamo darle torto, ci vogliono tutti dal primo all'ultimo), e che le figlie le incontra ogni tanto casualmente sotto un olmo, ma insomma, difficile immaginare un luogo più popolato.

Elizabeth è un'esperta di botanica e ha gusti molto ben definiti: tutto ciò che è spontaneo, semplice, campagnolo, è bello e elegante. Snob come solo una parvenue di origine australiana poteva essere. Un esempio: peonie rosse erbacee nel giardino di una borghese del villaggio pollice verso; peonie rosa arboree nel suo, vera eleganza e bellezza senza pari. Perchè quello di cui parla sempre l'autrice è appunto la bellezza, anzi la Bellezza, che solo nella natura si manifesta, oltre che nel suo giardino ovviamente. Però riesce a dire la sua anche su molti altri argomenti, per esempio sulla felicità dei poveri nella loro vita semplice senza tante preoccupazioni come noi ricchi, contessa (chissà se Paolo Pietrangeli aveva letto Elizabeth von Arnim quando ha scritto la sua immortale canzone).

Alla fine c'è una parte assai divertente (che, lo ammetto, mi ha dato anche una certa soddisfazione vendicativa) in cui si racconta della iattura che rappresentavano le grandi manovre d'autunno, in cui l'esercito veniva scaraventato qua e là a casa di chiunque fosse nei paraggi, e nella tenuta di Nassenheide arrivano quattrocento soldati, da alloggiare e da sfamare; ma il peggio sono gli ufficiali, che oltre a essere ospiti in casa devono condividere il desco con i padroni di casa. E bisogna fare conversazione. La disperazione di Elizabeth è tale che si rassegna a passare la giornata a letto pur di evitare un tête-à-tête con un giovane, aitante luogotenente. Queste ultime scene mi hanno fatto ricordare la scrittrice che mi è tanto piaciuta in romanzi come Colpa d'amore.

Va be', Elizabeth von Arnim continua a piacermi molto come romanziera, l'ho anche messa nella lista delle mie preferite ma forse sarebbe stato meglio non entrare così nella sua agreste domesticità, oltre tutto se ci teneva così tanto a restare sola... Comunque questo libro ebbe molto successo ed è uscito in italiano con la traduzione di D. Guglielmino. Mi scuso per l'iniziale, ma non sono riuscita a trovare in rete il nome proprio corrispondente, quindi non so nemmeno se si tratta di una donna o di un uomo. Purtroppo è molto diffusa la pessima abitudine di non indicare il traduttore nei dati relativi a un volume. 



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