giovedì 24 novembre 2016

Per amore di un topo: il primo racconto che ho pubblicato, giusto vent'anni fa




             PER AMORE DI UN TOPO

    Siete mai stati innamorati di un topo? Alla mia amica Carlotta è successo, me l'ha raccontato lei stessa. Carlotta è una donna non  più giovane ma molto attraente, dinamica, piena di interessi; insegna in un liceo, viaggia, è impegnata in un gruppo femminista, organizza corsi di aggiornamento per insegnanti e prima che questa storia cominciasse aveva una relazione con un nostro comune amico, simpatico e ragionevolmente innamorato di lei. L'altro protagonista di questa storia, invece, è un topolino di campagna, minuscolo, di colore  grigio chiaro e con una lunga coda sottile.
    Carlotta vive da sola, in collina, nella portineria di una villa settecentesca, ai margini di un parco una parte del quale, recintata, è il suo giardino privato. O meglio, credeva di vivere da sola. In una fredda sera dell'aprile scorso, mentre era seduta sul divano del suo salotto e guardava la televisione, scoprì che nella sua casetta c'era un altro inquilino. Un topolino grigio le saettò tra i piedi e con la velocità del lampo si infilò sotto un armadio.
    Carlotta dice che non fu un amore a prima vista. La sua prima reazione fu di disgusto e si manifestò con un femminilissimo strillo e un balzo sul divano. Per dieci minuti rimase paralizzata dall'orrore, abbracciandosi istericamente le ginocchia, finché il topo non sporse il muso di sotto all'armadio e i due rimasero a guardarsi fissi negli occhi per un po'. Gli occhi del topo erano piccoli ma lucidi e penetranti e Carlotta non riusciva a distoglierne i suoi. Dopo qualche minuto lei si fece coraggio e appoggiò i piedi a terra, lui venne allo scoperto, si piazzò sul tappeto, proprio di fronte ai piedi di Carlotta e squittì amichevolmente; l'amicizia era fatta.
    Secondo Carlotta, fin da quella prima sera la loro relazione ebbe un'insolita intensità. Lei rispose agli squittii dapprima emettendo suoni inarticolati, e poi con una gentile frase di benvenuto. Il topo avvolse la coda intorno al corpo e squittì di nuovo. Così gli approcci, che presero ben presto la forma di un corteggiamento, proseguirono, e alla fine della serata il topo riposava pacificamente in grembo a Carlotta, che ne carezzava il dorso sottile con due dita, piano, per non fargli male. Non so esattamente come sia finita la serata; ma certo fu l'inizio di una nuova fase nella vita della mia amica. So che fecero colazione insieme, la mattina dopo, Carlotta con caffè e fette biscottate, il topo con latte e pezzetti di biscotti.
    A me la cosa sembra repellente, ma Carlotta dice che da quel giorno cominciò per lei un periodo di grande felicità, l'esperimento di convivenza più riuscito della sua vita. Il topo dimostrò all'inizio una grande discrezione e rispetto per la sua autonomia. La salutava affettuosamente la mattina, quando lei usciva per andare al lavoro; la aspettava con ansia la sera, quando tornava stanca nel suo rifugio collinare, senza protestare se ritardava né chiederle che cosa aveva fatto durante il giorno; ma era sempre pronto ad ascoltarla se lei aveva voglia di raccontargli i fatti salienti della giornata. Secondo Carlotta, lui era in grado di capire qualunque cosa lei dicesse, e anche di esprimere pareri ed elargire consigli, il che mi sembra un po' eccessivo, ma va' a sapere.
    Così lei si legò sempre di più al suo coinquilino, cominciò a trascurare tutti gli impegni non strettamente obbligatori, come il gruppo femminista e i corsi di aggiornamento, e persino, dopo un po', Carlo, il suo compagno. Nel contempo, la relazione col topo cresceva e si faceva più completa. Fino a che punto sia giunta questa completezza, io non lo so. Non sono mai stata abbastanza in confidenza con Carlotta da potere sviscerare questo aspetto della questione. Penso però che l'intimità si sia spinta molto avanti: il loro era sicuramente un rapporto fisico oltre che affettivo, e molte delle cose che lei mi ha raccontato lo provano. Dato che era arrivata la stagione calda, lui aveva preso l'abitudine di scorrazzarle sulle braccia e sulle gambe nude; le mordicchiava le orecchie, le titillava il naso con la coda, le si infilava volentieri sotto le ascelle e con ogni probabilità anche in posti più reconditi, e questa gentile confidenza fisica le procurava un piacere intenso, insolito, così speciale che gli abbracci di Carlo (al quale aveva nascosto l'esistenza e la natura del rivale) le divennero fastidiosi e lei vi si sottrasse definitivamente.
    Intanto era giunta l'estate, e sia io che altri amici cominciammo a notare il progressivo isolarsi di Carlotta. Di solito, d'estate aveva l'abitudine di invitarci sovente a cena e a trascorrere la domenica nel suo giardino, ma quell'anno non lo fece neanche una volta. Io le telefonavo ogni tanto, ma lei era molto evasiva e lasciava cadere le proposte di vedersi. Un paio di volte la domenica pomeriggio mi recai da lei con un amico pensando di farle un'improvvisata, ma era talmente evidente che la nostra presenza le dava fastidio che ce ne andammo via dopo una mezz'ora e non ritornammo più.
    Mi disse in seguito che in quel periodo aveva provato a portare con sé il topo quando usciva, tenendolo in una tasca o nella borsa, ma lui non sopportava di starsene rinchiuso e compariva nei momenti meno adatti, mettendola in imbarazzo e seminando il panico tra i presenti, così alla fine decise che era meglio lasciarlo a casa e limitò le uscite allo stretto necessario per passare il maggior tempo possibile con lui. La scuola era finita e le giornate erano lunghe, dolci da trascorrere in giochi amorosi con il topolino nella casa fresca o sull'erba del giardino.
   
Il topo cambiò carattere. Carlotta dice che era sempre stato molto maschile nelle sue manifestazioni, fin dall'inizio; ma forse la novità dell'esperienza lo aveva reso più cauto e disponibile. Verso giugno la sua natura cominciò a manifestarsi con maggiore pienezza. Divenne prepotente e pieno di pretese. Si innervosiva se non trovava in tavola i suoi formaggi preferiti all'ora in cui gli garbava, era sempre più possessivo ed esigente nel pretendere l'attenzione totale di Carlotta e la sua presenza continua, e divenne anche meno fantasioso e premuroso nelle carezze. Dividevano il letto, lei sempre un po' in tensione per la paura di schiacciarlo inavvertitamente; lui cominciò a sparire per notti intere, e a ricomparire la mattina per colazione, di malumore, e senza dare spiegazioni.
    Questo non vuole dire che la loro relazione diventasse meno intensa o che Carlotta ne fosse meno presa: fu solo la manifestazione di un elemento di problematicità nei loro rapporti, come sempre succede dopo la prima fase di trasporto istintivo. Carlotta ne fu quasi lieta, era stato tutto troppo bello fino ad allora e questa nuova situazione le dava un maggior senso di realtà; era contenta di avere l'impressione di dover fare degli sforzi per costruire un rapporto duraturo con l'oggetto della sua passione.  
    Giunsero le vacanze, faceva caldo, a uno a uno tutti gli amici partivano, ma Carlotta non si mosse. A chi le telefonava per sapere che intenzioni avesse, disse che voleva restare in città perché aveva problemi economici, e comunque nessun luogo di villeggiatura poteva essere più piacevole del suo giardino collinare; di viaggiare quell'anno non aveva voglia. Nessuno si stupì più di tanto, e partimmo tutti tranquilli per le nostre mete. Carlotta rimase col topo.
    Alla fine di luglio si verificò un episodio terribile. Il topo scomparve per due giorni. Quando ricomparve, un pomeriggio verso il tramonto, la mia amica era ormai in uno stato di ansia isterica e lo accolse con una scenata memorabile, della quale ancora oggi si vergogna, ma lui chiese da mangiare, disse che era troppo stanco per discutere e se ne andò a dormire. La mattina dopo, mentre faceva pulizia in camera da letto, lei sentì degli squittii sommessi provenire dal guardaroba, spalancò con furia le ante e dietro a un mucchio di pantaloni invernali piegati e impilati scoprì un nido, fatto di cotone idrofilo e giornali rosicchiati, in cui stavano una topina e una dozzina di repellenti bestioline rosa carne, grosse come fagioli, cieche e prive di pelo, ma munite di una lunga coda che gli si attorcigliava intorno al corpo.
    Carlotta non ricorda che cosa fece dopo questa scoperta. Rimase come istupidita tutto il giorno e solo verso sera riuscì a ritrovare un po' di lucidità e quel tanto di senso dell'umorismo che le permise di vedere l'aspetto grottesco della vicenda. D'istinto decise che si sarebbe liberata di tutte quelle bestiacce e, sollevata, se ne andò in cucina a mangiare qualcosa.
    Sul tavolo l'aspettava il topo, con un'espressione buffa sul musino, mista di impazienza perché nel suo piattino non v'era ombra di cibo, contrizione e una sorta di malcelato orgoglio. Carlotta notò soprattutto i suoi baffi che pendevano pentiti e sentì che il cuore le si stringeva di tenerezza. Senza dire una parola tirò fuori dal frigo un po' di formaggio e cominciò a tagliarlo a pezzettini. Sentì una carezza che le percorreva il braccio e il collo, e crollò: seduta al tavolo di cucina, si mise a piangere e non smise fino a quando i baci del topolino non l'ebbero del tutto rassicurata. 
    Era ormai pieno agosto, tutti i negozi dei dintorni erano chiusi. Per fare la spesa, Carlotta doveva prendere la macchina e spingersi fino in centro, e anche così non riuscì a trovare una panetteria aperta; per quasi tutto il mese dovettero mangiare  pane in cassetta conservato, che non piaceva a nessuno dei due. In compenso, comprava grandi quantità di gelato e ogni due o tre ore ne metteva un po' in un piattino, intorno al quale si riuniva subito una piccola folla di topolini voraci e squittenti. La sera, all'ora di cena, il tavolo della cucina si copriva di animaletti nervosi e lei non aveva quasi il tempo di mangiare tanto era occupata a tagliare pezzetti di formaggio e distribuire latte e biscotti. Solo di notte, a letto, Carlotta e il topo riuscivano a ritrovare la giocosa intimità di un tempo; ma nel complesso, lei si adattò alla nuova situazione e non ne soffrì poi troppo.
    A settembre le scuole riaprivano, ma Carlotta non ritornò al lavoro. Non ebbe difficoltà a farsi dare un lungo periodo di mutua perché in effetti non stava niente bene: dormiva male, era molto dimagrita, soffriva di palpitazioni e di vertigini. Per di più, l'evento che si era verificato alla fine di luglio si ripeté e questa volta lei, che la prima volta aveva fatto tanti sforzi per capire e accettare, si sentì veramente tradita, ingannata, presa in giro e sfruttata dalla tribù di topolini che ormai avevano preso possesso della sua casa.
    Mi raccontò che quello era stato un periodo di abiezione. Per riconquistare l'attenzione del topo, si era umiliata fino a trascorrere ore rovistando sulle bancarelle di libri usati alla ricerca di volumi antichi dalla carta spessa e ingiallita, come sapeva che piacevano alla sterminata famigliola. Covava propositi suicidi e omicidi, leggeva con avidità tutte le pubblicità di veleno per topi che trovava sul giornale, le rare volte che si ricordava di comprarlo; batteva tutti i negozi di specialità gastronomiche della città alla ricerca dei formaggi più puzzolenti (ma lei li chiamava "odorosi") e dei più ricchi torroni. Ma ormai si rendeva conto che stava perdendo terreno nella competizione con la rivale, sempre più raramente il topo trascorreva la notte con lei, le sue carezze erano diventate distratte e frettolose e durante il giorno era troppo indaffarato con la prole per avere tempo di starla ad ascoltare e giocare con lei. Inoltre, sapeva di essere diventata lamentosa e opprimente, ma non riusciva a reagire.
    Fu proprio in quel periodo, verso la metà di settembre, che ricevetti una telefonata di Carlo. Era preoccupato perché aveva telefonato più volte a Carlotta ma lei si era sempre rifiutata di vederlo, gli era sembrata depressa e molto evasiva. Mi chiese se potevo andarla a trovare, dal momento che lui non osava farlo per paura di infastidirla o sembrare indiscreto. Io acconsentii, naturalmente, e un paio di giorni dopo mi ritrovai a suonare alla porticina del giardino di Carlotta.
   
Era un bel pomeriggio caldo e sereno, sui mattoni soleggiati del vecchio muro di cinta del parco scorrazzavano le lucertole. Attesi a lungo e stavo già per rinunciare e andarmene quando la porticina si aprì e mi trovai faccia a faccia con la mia amica.
    Fui impressionata dal suo aspetto. Era magra, sciatta, con una vecchia maglietta piena di buchi e, cosa che mi colpì più di tutto il resto, aveva i capelli sporchissimi, che le scendevano nel collo in ciocche unte e disordinate. Era evidente che la mia visita a sorpresa non le era per niente gradita, ma mi fece entrare e mi condusse nel giardino, con la scusa che la casa era troppo in disordine per ricevervi un ospite. Io cercai a mia volta di controllare l'espressione di stupore che sapevo di avere sul volto, e mi sedetti su di una sedia a sdraio. Le chiesi come aveva trascorso l'estate e lei mi rispose evasivamente. Fui ulteriormente colpita dal suo modo di parlare e di muoversi. Parlava a raffica, facendo continue smorfie con il naso e con il labbro superiore, muoveva la testa a piccoli scatti continui e teneva le braccia piegate lungo il busto con le mani pendenti dai polsi e le dita rattrappite come zampette. Io provai a raccontarle delle mie vacanze, ma era evidente che lei non mi seguiva, così alla fine mi decisi ad affrontare la questione direttamente e le chiesi che cosa le fosse successo, se non la potevo aiutare.
    "Aiutarmi!" esclamò lei ridendo forte. "Aiutarmi!" e scoppiò in lacrime.
    E così, un po' ridendo un po' piangendo, e un po' con la voce sognante di chi rivive ricordi dolcissimi, mi raccontò tutta la storia, tutto quello che era successo dalla prima sera d'aprile fino a quel giorno. Anch'io a dir la verità non sapevo se ridere o piangere, e contrariamente alle mie abitudini la ascoltai senza interromperla né fare domande. Solo quando finalmente tacque le chiesi che cosa avesse intenzione di fare adesso. Lei mi guardò sconsolatamente e aprì le mani in un gesto d'impotenza. Non sapendo che commenti fare, mi astenni dal dire alcunché; ma non potei trattenermi dall'esortarla a curarsi un po' di più.
    Lei abbassò il viso e ammise che si lavava poco perché il topo la preferiva così, soprattutto i capelli gli piacevano più sporchi che puliti, e lei era ormai disposta a usare tutti gli stratagemmi per ottenere ancora qualcuna di quelle carezze che lui non aveva più voglia di darle. Era calata la sera, il giardino si era fatto buio e l'umidità saliva dall'erba. Mi alzai per accomiatarmi; Carlotta mi fece promettere che non avrei detto a Carlo nulla di quello che lei mi aveva raccontato e che non le avrei più fatto visite a sorpresa.
    "Mi farò viva io quando avrò risolto questa faccenda" disse. 
    Tornai a casa piuttosto sconvolta. Quando Carlo mi telefonò per sapere com'era andata lo rassicurai come potevo, dicendogli che Carlotta aveva bisogno di rimanere sola perché stava vivendo un momento un po' particolare, ma si sentiva bene e avrebbe deciso lei stessa quando riprendere i contatti con gli amici. Mentre parlavo, mi rendevo conto che mai in vita mia avevo detto una così grossa bugia, ma non avevo scelta. Nei giorni seguenti, cercai di pensare a Carlotta il meno possibile, e vi riuscii, perché desideravo veramente di tutto cuore dimenticare quella storia assurda.
   
Passò altro tempo. Era ormai la fine di ottobre quando, un pomeriggio che stavo facendo commissioni in centro, mi sentii chiamare a gran voce e, voltandomi, mi trovai nuovamente faccia a faccia con Carlotta. Ma questa volta era di nuovo la Carlotta di un tempo, elegante, ben pettinata e con un sorriso allegro sulle labbra. Mi abbracciò con trasporto e mi invitò a prendere un aperitivo al bar. Ci sedemmo a un tavolino d'angolo e dopo qualche minuto di chiacchiere indifferenti le chiesi com'era andata a finire la faccenda del topo.
    "Tutto risolto" mi rispose alzando le spalle. "Ho chiamato un'impresa di derattizzazione e in due giorni mi hanno liberata da quel flagello."
    Parlava di nuovo in modo normale, senza smorfie né scatti della testa, ma mi parve che il suo sorriso fosse per un attimo un po' troppo volonteroso e tra le sopracciglia le si formarono due rughette verticali, come se stesse sforzandosi di trattenere le lacrime.
    Mi raccontò che aveva passato giornate a scopare via cadaveri di topi, ma per fortuna non aveva mai trovato quello del suo amore. Stupidamente le chiesi come avrebbe fatto a distinguerlo dagli altri: lei mi lanciò un'occhiata profondamente ferita. Capii di avere detto una grossa sciocchezza e non insistetti, ma il male era fatto e le lacrime cominciarono a scivolarle lentamente sulle guance ben truccate. Con voce sommessa mi disse che aveva passato un periodo tremendo, lacerata dai sensi di colpa e dai rimpianti, poi si era fatta forza e aveva ripreso a lavorare e vedere gente.
    "Ti inviterei volentieri a cena" disse alzandosi per andarsene "ma ho un impegno con Carlo."
    Mi sorrise di nuovo, ma il suo sorriso non era allegro.
    Tornai a casa a piedi, trascinando stancamente i pacchetti dei miei acquisti. Mangiucchiai qualcosa davanti alla televisione, ma non riuscivo a seguire quello che succedeva sullo schermo. Ero depressa. Per quanto assurda, innaturale e per me anche francamente disgustosa, quella di Carlotta era pur sempre una storia d'amore finita male, anzi tragicamente. Non avevo conosciuto il topo e non provavo nessuna compassione per lui, ma l'idea di Carlotta che raccoglieva a uno a uno i topolini morti con la paura di riconoscere quello con cui aveva diviso tanti momenti di felicità spensierata mi era insopportabile.
    Spensi la televisione e mi misi a bagnare le piante, anche se non era il giorno in cui lo facevo abitualmente. La calancoe era stanca, la felce egoista come sempre, ma il mio caro vecchio phalangium capì subito il mio stato d'animo e mi carezzò una spalla per incoraggiarmi. Lo tolsi dal davanzale della finestra e lo portai sul divano accanto a me. Piansi per qualche minuto, poi cominciai a raccontargli tutta la storia di Carlotta e del topo, contenta di vedere che seguiva con interesse e comprensione, senza dare giudizi e neppure ridere per l'assurdità della vicenda. Parlare con lui mi aiutò molto: alla fine ero sollevata, anche se continuavo a sentire una grande malinconia, come una spina proprio in fondo al cuore. Decisi che quella non era la sera giusta per andare a dormire da sola, mi portai il phalangium in camera e lo misi sulla mensola dietro al letto, di modo che le sue belle foglie sfiorassero il cuscino.
    Fu una notte lunga e inquieta, mi svegliai decine di volte ma ogni volta il tocco gentile del phalangium mi rasserenava e mi dava la certezza che non ero sola, che una presenza amica vegliava accanto a me e non mi avrebbe abbandonata. Verso l'alba riuscii ad addormentarmi stringendo una foglia tra le mani; e dormii senza sogni fino alla mattina dopo. 

Pubblicato su Tuttestorie, nuova serie, aprile 1996

2 commenti:

Orlando Furioso ha detto...

Me lo ricordo benissimo questo tuo racconto!
Non ricordo se quando lo lessi la prima volta sapevo che fosse il tuo primo racconto pubblicato...
Cosa posso dire? E' delizioso! Mi piace tantissimo e mi commuove anche un po' e, come sempre quando leggo i tuoi racconti e i tuoi romanzi, resto stupito e deliziato dalla qualità della scrittura.
Complimenti cara Consolata; è proprio bello leggerti :)
Un abbraccio forte pieno di affetto e ammirazione.

consolata ha detto...

@Orlando come farei senza di te? sei il lettore ideale! grazie grazie e stragrazie. Sono affezionata a questo racconto, che ha vinto un premio molto gratificante e anche a rileggerlo, ieri, dopo tanto tempo non mi ha fatto vergognare.
E penso che di topi nella nostra vita ne abbiamo incontrati tutti, o quasi. Ciao e smack.