Ma quanto si chiacchiera a New York! New York telephone conversation di Lou Reed è la perfetta colonna sonora per questo libro: Oh oh my, and what shall we wear? Oh oh my, and who really cares?
Di David Leavitt ho letto a suo tempo La lingua perduta delle gru (1986), di cui ricordo poco se non che mi era piaciuto abbastanza da spingermi a leggere anche Ballo di famiglia (1984). Poi confesso di essermi persa tutta la sua produzione finché sono incappata in Un posto dove non sono mai stato (1990) e infine in Martin Bauman (2000). Questo romanzo mi ha fatto pensare molto, e per molte ragioni. Prima di tutto il lungo monologo in prima persona mi ha costretta a farmi continuamente una domanda che considero sbagliata, inutile e anche stupida: ma Martin Bauman è David Leavitt? Quanto di quello che l'autore racconta è autobiografia, quanto è invenzione? Il fatto è che il protagonista ha in comune con l'autore così tante caratteristiche che è difficile non pensarci. Martin Bauman è un giovane ebreo (come Leavitt), omosessuale (come Leavitt), borghese (come Leavitt), con istruzione universitaria (come Leavitt), ambizioso e determinato (qui posso solo immaginare che lo sia anche Leavitt, ma non credo di essere molto lontana dal reale), raggiunge una grande notorietà letteraria all'età di 23 anni, all'inizio degli anni '80, con una raccolta di racconti (come Leavitt con Ballo di famiglia), vive a New York.
L'altro aspetto che mi ha acchiappata, tra stupore e incredulità, è tutto quanto riguarda lo scrivere e la carriera dello scrittore (e mi ha fatto ripensare allo sventurato Joël Dicker e il suo La verità sul caso Harry Quebert, probabilmente ispirato nella figura del protagonista da un'indigestione di Martin Bauman & friends). Martin e i suoi amici scrivono con l'unico scopo di raggiungere il successo, che a sua volta consiste (oltre a strappare anticipi sempre più consistenti agli editori - ma non ve l'avevo detto che questo è un romanzo di fantascienza!?!) nella partecipazione continua e compulsiva ai party letterari pieni di celebrità, da indicare all'inizio con stupefatta ammirazione e salutare poi per nome con familiarità paritaria. E chiacchierano un sacco, fanno un sacco di pettegolezzi, commentano i rapporti di questo con quello, stanno tra di loro, si consolano e si specchiano l'un l'altro. I personaggi sono molti e meravigliosamente descritti. Naturalmente chi è addentro nel mondo descritto ha capito subito chi è chi, ma per noi umani questo è un dettaglio di poca importanza. Spiccano il maestro amato e odiato Stanley Flint, l'amica nemica Lisa Perlman, e l'amante non tanto amato Eli Aronson.
La storia è impalpabile, non succede praticamente niente se non traslochi e incontri ma la lettura incanta, David Leavitt è uno scrittore eccellente che riesce a tenere incollati per centinaia di pagine su quello che lui ha detto a lei e quello che lei ha risposto. Persino quando parla di argomenti tragici e seri come l'AIDS riesce a farli sembrare futili, come se tutta la vita fosse un lungo gossip, e nello stesso tempo riuscire interessante. Un romanzo vivamente consigliato a chiunque, e in particolar modo a chi scrive e punta molto alla celebrità letteraria. Con un'avvertenza: da quello che racconta David Leavitt, non pare che i VIP dell'editoria a New York vadano molto in televisione. Se è quello cui aspirate, forse è meglio restare in Italia.
Bella traduzione di Delfina Vezzoli.
4 commenti:
Un post che già dal titolo cita Lou Reed prende automaticamente 10 punti, indipendentemente dai contenuti :-)))
In realtà nel tuo post, Consolata, citi un argomento per me molto, molto interessante; ti cito:
"il lungo monologo in prima persona mi ha costretta a farmi continuamente una domanda che considero sbagliata, inutile e anche stupida: ma Martin Bauman è David Leavitt? Quanto di quello che l'autore racconta è autobiografia, quanto è invenzione?"
Ecco, devo farti una confessione: questa domanda, pure un pochetto ossessiva, m'ha ronzato nella testa per diversi dei tuoi libri...
Ad un certo punto non riuscivo a NON dare alle protagoniste dei tuoi libri il tuo aspetto, la tua voce e persino il tuo indirizzo!
Ma prima che tu chieda un'ordinanza restrittiva nei miei confronti, è meglio che... mi spieghi meglio! :-D
Uno dei "generi" che amavo moltissimo leggere un tempo era proprio quello della biografia: la biografia - "auto-" o scritta da terzi che fosse - di praticamente chiunque, mi appassionava più di un romanzo!
Poi questa cosa è un po' scemata, per nessun motivo in particolare, ma la curiosità rispetto alle biografie altrui m'è rimasta appiccicata addosso ed è forse per questo che "scindere" un'autrice/autore dai suoi personaggi è per me impresa difficilissima ancor oggi.
E' difficile quando non conosco l'autrice/tore, figurati quando l'autrice la conosco di persona!
Continuando con la confessione, ti devo dire che un paio di libri tuoi ho dovuto ri-leggerli (con estremo piacere, s'intende!) per potermeli godere come romanzi/racconti, togliendomi faticosamente dalla testa che fossero tue personali autobiografie.
Tornando al tuo post: apprezzo le prime opere di Leavitt, ne ho apprezzato la scrittura e le tematiche anche se un suo libro non son riuscito a finirlo, probabilmente perché non era per me il momento giusto di leggerlo.
Dato che - per fortuna del mondo - non sono uno scrittore né ho velleità in tal senso, non so se questo "Martin Bauman" faccia per me... l'ambiente chic-letterario mi attira quanto una conferenza sugli zoccoli dei cavalli bretoni (scusate...) ma non escludo comunque di dargli una possibilità prima o poi.
Complimenti per la recensione e perdonami l'inconcludente commento :)
A presto!
Orlando
...epperò anche se non sono uno scrittore, maltrattare così l'italiano non ha giustificazioni!
Intendevo dire che ho letto e apprezzato diversi libri di Leavitt e di UNO (e di uno solo) di essi non sono riuscito a finire la lettura.
Ma uno solo eh, li altri li ho finiti! :)
Scusa...
Orlando
Caro Orlando tu mi spezzi il cuore! Io che credevo di non avere scritto UNA RIGA autobiografica in vita mia (e ti assicuro che a livello cosciente è così) a parte due piccole descrizioni dell'infanzia della protagonista di Irene a mosaico. Ma per il resto, giuro che non sono mai io (neanche in quel libro lì, dio mi scampi e liberi, anche se so che i pochi che l'hanno letto hanno fatto l'equazione Irene=Consolata). Secondo me la questione è questa: più o meno si scrive sempre di cose conosciute o costruite con brandelli di esperienza anche quando si descrive l'Inferno o Alpha Centauri, ma l'autobiografia solo scatta quando c'è l'intenzione cosciente di parlare di sé. Perciò è chiaro che se racconto di Mezza Anguria mendicante indiano dietro c'è la mia esperienza dell'India, quello che ho visto, odorato, sentito, immaginato in India, mescolato a quello che riesco a immaginare che possa pensare un tizio deforme con tutta la mia esperienza di vita, di sentimenti, persino delle (schifide) emozioni, paure, ecc. Ma Mezza Anguria ce n'est pas moi, se non nel senso che gli dava Flaubert. Io non ho mai avuto l'intenzione di raccontare niente di me, mai mai. Uso un diario se ne sento il bisogno. Però è ovvio che faccio tesoro di quello che vivo, lo metto via e lo tiro fuori quando ne ho bisogno per rivestire un personaggio e arredare un'ambientazione. E in genere non è difficile in un libro distinguere tra questi due aspetti. Perciò un libro come Martin Bauman mi ha un po' destabilizzato, perché in una tale identità fattuale non è facile distinguere tra fatti autobiografici e loro manipolazione letteraria, al di là dei nomi cambiati ecc. Secondo me significa che è un libro non del tutto riuscito, perché in realtà una curiosità del genere non dovrebbe neanche nascere se personaggi e situazioni sono autosufficienti. Forse deriva dal fatto che in certi punti si nota una certa reticenza, non so... Comunque è un libro godibile (ho trovato un po' noiosa solo la prima parte, quando si stenta un po' a mettere a fuoco i personaggi e D.L. fa molte anticipazioni che confondono un po'). E nota che il tuo interesse per la società chic-letteraria è pari al mio, ma lui la conta amabilmente. Quanto alla conoscenza personale degli autori, penso che tu abbia perfettamente ragione. Secondo me gli scrittori saggi dovrebbero fare tutti come Salinger, e sparire.
Scusa la lunghezza della risposta, ma adesso capisci perché mi hai spezzato il cuore?
@Orlando: ovvio che scherzo, ho il cuore ancora integro. E' che credo che davanti a un'opera di qualsiasi tipo bisognerebbe guardare solo quello che c'è senza cercare di vedere che cosa c'è dietro, e questo è ovviamente impossibile. Chiunque si interroga sull'autore, io per prima. Ma quando sono io a rivelarmi senza neanche volerlo o rendermene conto... be', mi spavento a morte! Smack
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