domenica 30 agosto 2015

Quando i racconti deludono: AA VV Ferragosto in giallo e Ilias Venezis, Mer Égée - Nouvelles

Metto insieme due raccolte di racconti, un'antologia (Ferragosto in giallo, Sellerio 2013) e una personale (Ilias Venezis, Mer Égeé - Nouvelles, traduzione e note di Catherine Grigoriou) che più diverse non si può, giusto per dimostrare che non basta che siano racconti per piacermi.

L'antologia mette in campo cinque autori italiani, tre dei quali confesso di non averli mai sentiti nominare, e una spagnola (forse per dare smalto? ma è la modestissima Giménez-Bartlett, e Camilleri non ha bisogno di puntelli) ma nell'insieme non funziona, i racconti sono brutti, tirati giù, si vede benissimo che gli  autori pensavano tanto è solo un racconto, inutile fare troppa fatica. Così Andrea Camilleri (Notte di Ferragosto), sempre abilissimo con personaggi e situazioni di partenza, poi se la sbriga con la soluzione più ovvia, anche se mestiere e simpatia lo salvano. Marco Malvaldi (Azione e reazione), che sembra scrivere per bambini un po' ritardati, (oltre a fare uno spottone lungo e didattico, del tutto superfluo, per la sigaretta elettronica), anche lui sceglie l'ovvio, cioè la soluzione logica, quella che tutti si aspettano. Antonio Manzini (Le ferie di agosto) mette in campo un personaggio di rara antipatia, maschilista, scorretto con le donne, insomma odioso. Però questo come racconto, a parte qualche falla in conclusione, funzionerebbe, ma il finale è talmente vergognoso per squallore, ipocrisia e scorrettezza (il protagonista approfitta spudoratamente del suo ruolo) che non sono riuscita a essere obiettiva nella lettura, resa irritante anche da una scrittura molto approssimativa. La vicenda narrata da Francesco Recami (Ferragosto nella casa di ringhiera) ha il merito di non essere prevedibile, acchiappa, e malgrado un po' di luoghi comuni nella descrizione dei personaggi, è originale (anche qui la scrittura è parecchio tirata giù). Gian Mauro Costa (La lupa) costruisce un'ambientazione interessante, dei personaggi gradevoli in una Sicilia insolita ma poi scivola in una soluzione troppo vaga e banale facendo ricorso a cliché usurati. Vero amore, di Alicia Giménez-Bartlett, mette in campo personaggi assurdi (tipo il giovane poliziotto coatto, costruito con stereotipi tanto assurdi che alla fine risulta troppo scemo per essere credibile). La storia è francamente senza senso, e soprattutto non acchiappa, alla fine strappa al lettore un bel chi se ne frega

Tutt'altra storia la raccolta di Ilias Venezis. Neanche lui non l'avevo mai sentito nominare, l'ho scoperto mentre ero a Ayvalik, leggendo qualcosa sulla città, uno dei centri della Turchia abitati da greci che furono coinvolti dal cosiddetto "scambio di popolazione" dopo la Grande Catastrofe del 1922. Più di un milione e duecentomila greci furono cacciati dai luoghi in cui abitavano da sempre e rientrarono in una patria, dove costituirono il 20 per cento della popolazione totale, non proprio entusiasta di accoglierli. Molti meno, circa trecentomila, i Turchi che dovettero andarsene, soprattutto da Creta e Salonicco. Questa è una pagina di storia di cui sapevo pochissimo ma avendo viaggiato molto nei luoghi coinvolti e toccato con mano la portata della vicenda, ho finito per appassionarmi. Inoltre Ayvalik è una delle culle del rebetiko, altra storia affascinante, insieme a Salonicco, Smirne, il Pireo e Ermoupolis sull'isola di Siros. Così quando ho visto citata questa gloria locale mi sono precipitata a cercare in rete qualcosa di suo da leggere, ma ho trovato solamente questa traduzione francese di racconti. 

La cosa più interessante, però, rimane la sua biografia. Ilias Venezis (pseudonimo di Ilias Mellos, Ayvalik 1904-Atene 1973), fa parte della "generazione 1930", una ventina di scrittori diversissimi per temi e posizioni ideali, che ebbero il merito di liberare la letteratura greca dalle panie della katharevousa, la lingua esclusivamente scritta che si rifaceva alla lingua classica, stabilendo il predominio del demotico, la lingua quotidiana parlata da tutti. Nato in Asia Minore, ne fu allontanato con la famiglia durante la prima guerra mondiale, quando si scatenaro gli eccidi nei confonti dei greci; vi tornò nel 1919 durante l'occupazione greca di Smirne e dintorni (la sventurata e avventata "Grande Ideadi Elefterios Venizelos di riconquistare l'impero bizantino, conclusasi con la sconfitta della Grecia, l'incendio e la strage di Smirne e la conseguente cacciata dei greci dalle loro case in tutta l'Anatolia (e ce n'erano veramente dappertutto, fino in Cappadocia e sul Mar Nero per esempio). Venezis all'età di diciotto anni fu preso prigioniero dai turchi come ostaggio nei battaglioni di lavoro composti dalla popolazione greca maschile tra i 18 e i 45 anni, e sottoposto alle "marce della morte". Dei 3000 che partirono con lui da Ayvalik ne tornarono 23. Una volta liberato andò a Lesbo, dove il giornalista Stratis Myrivilis lo incoraggiò a scrivere delle sue esperienze nel romanzo Numero 31328 che, insieme a Aeolia (il titolo varia nelle traduzioni con Terra d'Eolia e Oltre l'Egeo) e Serenità costituisce, da quello che ho capito, il nucleo della sua opera, in cui parla rispettivamente dei giorni felici della sua infanzia in Asia Minore e delle difficoltà incontrate dai profughi per ambientarsi nella patria d'origine. Lavorò a lungo in banca e nel giornalismo, si trasferì a Atene, e nei giorni tragici dell'occupazione tedesca in Grecia fu arrestato e rilasciato dopo qualche settimana per l'interessamento di autorità e mondo intellettuale. Scrisse anche molti libri di viaggi e di racconti. 
 
Ecco, i racconti, ci sono arrivata. Con tutto l'interesse che provavo per l'autore e soprattutto per i temi che mi aspettavo trattasse, non sono riuscita a appassionarmi. Sono brevi narrazioni, schizzi di personaggi sospesi tra tragedia e sogno, raccontati oggettivamente ma tutto sommato un po' sospesi nel vuoto. Ho apprezzato Lios, in cui si tratta direttamente il tema dei rapporti tra greci e turchi, dove la vicinanza tra individui riesce a superare la distanza della storia, stesso tema trattato con maggiore riflessività e minore fascino in Le descendant du renégat, la tristezza composta e fatale di Le caïque du Théséion, Les mouettes, Phteri, Les eaux dormantes, ma i brani in cui è più scoperto l'intento onirico e poetico (Santorin, Le petit bateau en argent, Lycabette) mi hanno lasciata piuttosto fredda. Nel complesso devo ammettere che questo libro mi ha annoiato parecchio e lo consiglio solo a chi ha interessi specifici. Cercherò ancora con più attenzione le opere maggiori di Ilias Venezis, e sono certa che mi soddisferanno di più. 
Morale, non basta che siano racconti per essere belli. 

2 commenti:

Massimo Citi ha detto...

Sull'antologia francese non mi pronuncio, ma quella di Sellerio non mi stupisce: la tipica antologia messa sù per vendicchiare anche d'estate. L'ho vista in una trentina di librerie ma mi sono ben guardato dall'acquistarla, anche per il mio interesse molto contenuto per il giallo. A un cattivo giallo preferisco comunque un cattivo libro di sf. Difetti personali...

consolata ha detto...

Verissimo, infatti cominciandola sapevo benissimo che cosa aspettarmi, e non mi dovrei lamentare. L'accostamento a Ilias Vezenis è assolutamente pretestuoso e innaturale, ma tant'è.