Nata nel 1878 a Uskudar, sobborgo di Istanbul sulla riva asiatica, nella comunità armena ricca e tradizionale, percorsa da divisioni interne e contrasti, separata anche dai greci che pur cristiani anche loro, erano così lontani che un matrimonio misto portava alla rottura in famiglia, come avviene allo zio di Zabel che sposa una donna greca e viene quindi cancellato. Anche i rapporti con i turchi sono assai complicati, a Istanbul spadroneggiano i giannizzeri, la società è regolata con severità, ma a volte esistono legami inaspettati, per esempio due zie dell'autrice erano dame di compagnia della Validè o madre del sultano. I ricordi d'infanzia di Zabel Yessayan sono vividi e interessantissimi, spicca la figura della madre Dudu, presto malata di malinconia, ma tutti gli abitanti di Uskudar risaltano con sincera e appassionante evidenza. Zabel studia, e anche la sua scuola, le compagne e le insegnanti hanno una grande parte. Tutto un mondo sparito e per noi assolutamente sconosciuto rivive nelle sue pagine. Fortissimi sono i legami con la patria lontana, in ogni casa spicca il quadro in cui Ani, l'antica capitale armena ora in Turchia, sotto forma di donna in lacrime piange la propria distruzione e la dispersione del popolo armeno. Ani, vastissima estensione di rovine in mezzo alla steppa proprio sul confine con l'attuale Armenia, a pochi chilometri da Kars, è uno dei luoghi più fascinosi che abbia visto. Nella foto, la chiesa di San Gregorio sul bordo del fiume Akhurian: la sponda opposta è Armenia.
Negli anni non compresi nella narrazione, Zabel Yessarian andò a studiare a Parigi alla Sorbona con l'aiuto di tutta la comunità, poi tornò a Istanbul dove fu insegnante e giornalista, visitò Adana nel 1909 dopo i massacri perpetrati dai turchi e ne scrisse in Dalle rovine (1910, tradotto da peQuod nel 2008). In seguito visse tra la Turchia ormai kemalista, la Francia e l'Armenia ormai sovietica, finché decise che era suo dovere tornare definitamente nella patria d'origine. Lì, nel 1937, fu accusata di spionaggio a favore dei francesi e deportata in Siberia, dove morì probabilmente nel 1943.
I giardini di Silihdar uscì nel 1935. Questa edizione, uscita per peQuod nel 2010, con traduzione, postfazione e cronistoria di Haroutioun Manoukian è una vera rara avis nel panorama editoriale. Mai ho visto una simile ricchezza e accuratezza di paratesto. Questo è un libro prezioso, che oltre a offrire piacere e interesse alla lettura, è in grado di soddisfare tutte le curiosità storiche suscitate dalla vicenda.
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