domenica 8 luglio 2012

Ancora sulla Turchia: molti racconti e un romanzo



AA VV, RACCONTI DELL’ANATOLIA,  a cura di Necdet Adabağ,  Gremese 2008
Questo interessante volume è pubblicato con il patrocinio del Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica turca, e curato dal Dipartimento di Italianistica dell’università di Ankara “con l’intento di diffondere la conoscenza della novellistica di carattere realistico e fantastico”. Non è citato il traduttore perché vari nomi (alcuni italiani, altri turchi) si alternano da racconto a racconto. Una breve e chiara introduzione di Ayşenur Külahlioğlu Islam, docente di Letteratura turca moderna all’Università di Başkent, è tutto il paratesto che viene fornito al lettore, se si eccettuano le brevi, e davvero poco soddisfacenti, note biografiche degli autori, dal più “antico”, nato nel 1883, al più giovane, nato nel 1964. Per esempio, sarebbe stato utilissimo sapere l’anno di pubblicazione di ogni racconto, ma non se ne fa cenno.
I testi sono ben trentacinque, alcuni brevissimi altri più corposi, e non da tutti è possibile farsi un’idea del valore dell’autore, ma nel complesso l’interesse del volume supera di gran lunga la frustrazione. Non posso dire di essermi fatta un’idea della novellistica turca, ma certo ho potuto cogliere alcune indicazioni molto stimolanti. Ad esempio la grande diffusione di temi surreali, onirici, metafisici, e la scarsità di bozzetti, molta vita metropolitana e poca campagna, amore declinato nei temi dell’incomunicabilità (perdonate la parolaccia!) più che della passione o del dramma. Ben tre racconti sono di ambiente carcerario, alcuni affrontano il destino femminile ma di sbieco, senza polemica né tragedie, e non sono solo le donne a scriverli. Tra i trentun autori sono riuscita a identificare sette scrittrici, ma siccome i nomi turchi non mi sono familiari e nelle note spesso non c’è nessun aggettivo né pronome che permetta di distinguere il sesso, può darsi che ce ne sia qualcuna in più. Certo bisogna tenere conto dei criteri di scelta e dei gusti del curatore, ma colpisce la scarsità di temi sociali affrontati direttamente, mentre sono molte le osservazioni interessanti che si possono fare spigolando nei testi di qualsiasi argomento. Tra i racconti che mi hanno colpito di più, il bellissimo La voce di Sabahttin Ali (1907-1948), struggente apologo sui danni che può combinare l’incontro tra un talento naturale del canto e un benintenzionato pasticcione; il tentativo un po’ ingenuo ma illuminante di affresco sociale utilizzando l’unità di luogo e di tempo di una serata in un grande palazzo, Il palazzo Çalişkur sotto la luna di Haldun Taner (1918-1994); Le lettere, di Tahsin Yücel, in cui un condannato viene condotto al patibolo in un’atmosfera di profonda compassione umana nella miseria condivisa dell’analfabetismo e della miseria; gli altri racconti carcerari, Lupo di Erdal Öz e Un ragazzino di nome Bariş di Sevgi Soysal, i cui protagonisti sono rispettivamente un sindacalista torturato e un gruppo di ragazze appartenenti a organizzazioni terroristiche di estrema sinistra; L’eletta, che regala un piccolo stringimento di cuore con un equivoco, la vicenda di una ragazza che prende sul serio le teorie del giovanotto che ama precludendosi così la possibilità di essere ricambiata.
Spesso i libri che recensisco sono davvero marginali, e questo è un esempio perfetto. Non so quanti possano essere i lettori che visitano un blog augurandosi in cuor loro di trovarvi la recensione di un’antologia di racconti turchi. Eppure io penso che questo sia un libro importante, e meriti di essere conosciuto. Certo non è divertente come un thriller svedese, e anche recensirlo non è stato facilissimo. Ma apre una tendina, uno spiraglio su una letteratura e un mondo di cui conosciamo poco, a parte il sublime Orhan Pamuk e la pateracchiosa Elif Shafak, e di ultimo forse Mario Levi (presente nell’antologia). La Turchia forse non preme più con convinzione per entrare in Europa, e sta abbandonando la sua ormai lunga storia di laicità per un ritorno a un Islam più aggressivo. È un paese giovane e in grande sviluppo, molto più moderno di quanto ci possiamo immaginare guardandolo di qua. È organizzato e credo abbia molte risorse. Si può essere d’accordo o no sulla sua entrata in Europa (io per esempio non lo sono affatto) ma vale la pena di cercare di conoscerlo. Se non si può o non si vuole andarci (un gran peccato, è anche un paese affascinante, gravido di storia come forse nessun altro, pieno di città vivaci, con un’ottima cucina, buoni alberghi, strade ben tenute, prezzi ottimi, gabinetti puliti e a pagamento ogni due passi come neanche in Giappone – segno inconfondibile di civiltà), cominciamo con la cultura. Qualche film arriva, qualche libro anche. Sarebbe ora che imparassimo almeno a non confondere i turchi con gli arabi, come capita a molti, troppi italiani anche acculturati. 


Mehmet Yashin, Il vostro fratello nel segno dei pesci, Gremese 2010, traduz. dal turco di Rosita D’Amora e Anna Lia Proietti
Di nuovo dalla casa editrice Gremese, benemeritissima e coraggiosa, arriva questo (che chiamo romanzo anche se romanzo non è) interessante e coraggioso esperimento narrativo di Mehmet Yashim. Non vorrei che esperimento suonasse come riduttivo, non è affatto nelle mie intenzioni. Ma Il vostro fratello nel segno dei pesci, uscito nel 1994 in Turchia, prima opera narrativa molto acclamata e premiata nel 1995 del premio Cevdet Kunder di un autore già ben noto come poeta, ha molti elementi di originalità, e la struttura è il primo. È quel tipo di libro, per intenderci, che da noi avrebbe difficoltà a essere pubblicato e anche, preventivamente, a essere scritto. Opera liberissima, preoccupata solo di se stessa, della sua armonia interna, del suo significato spezzettato e ripetuto ma evidentissimo, della sua lingua ricchissima, delle sue immagini nervose e dei personaggi precisi e sfuggenti insieme. Si presenta come una serie di racconti, o di storie per meglio dire, che hanno tutte come centro l’identità – o il rifiuto dell’identità. L’autore è nato nel 1959 a Nicosia, turco cipriota, e questo la dice già lunga. Vive tra Nicosia, Istanbul e Cambridge, ha passato lunghi anni in esilio, ha vissuto nell’infanzia i traumi della guerra greco–turca a Cipro. I suoi personaggi, tra cui due, Michel e Memet sono forse dei suoi alter ego, ritornano da una storia all’altra e si dibattono tra le loro identità multiple: sono turchi con madri greche e padri circassi, ebrei ciprioti, ragazzi occidentalizzati in un paese tradizionalista, costretti a farsi passare per stranieri per non essere oggetto di scherno e riprovazione, sono ragazze libere di famiglia kemalista con madri musulmane osservanti, parlano indifferentemente turco, greco o inglese, vogliono essere chi sono, senza etichette che comunque non esistono per descrivere la loro diversità. Non è un libro facile, Mehmet Yashin è poeta e si sente, ha una immaginazione fervida, sa mescolare molti linguaggi e molti registri, al lettore chiede di essere sempre all’erta e seguirlo con fiducia su sentieri talvolta impervi. Ma è uno di quei libri che riservano un grande premio a chi si addentra nelle loro pagine: umanità, dolore e allegria, incanto delle parole e stimolo per il pensiero.   
Alle traduttrici, Rosita D’Amora e Anna Lia Proietti, tutta la mia ammirazione per un lavoro che immagino molto complesso.

2 commenti:

Massimo Citi ha detto...

Ciao Consolata. Mmmhhh, un buon pezzo che fa venire l'acquolina in bocca... Che ne diresti di fargli fare un giro su LN out-of-print? Fammi sapere, un grosso abbraccio, Max.

consolata ha detto...

of course! onoratissima caro max.