Il bel
romanzo Condannate Luigia Sola! si
presenta come la ricostruzione di un fattaccio del passato famigliare dell’autrice,
ma non si sbaglia poi tanto a definirlo un noir
di tipo particolare: si può dire che è un nero color ingiustizia, e lo è
senza volerlo ma a pieno titolo, in quanto la vicenda personale è sovrastata
dal contesto familiare, sociale e persino scientifico (con la relazione
psichiatrica di Lombroso in appendice), di cui ci dà un’illustrazione precisa e
vivissima. L’autrice, qui al primo romanzo ma capace di una scrittura veloce,
pulita e efficace, scoprì casualmente che una sua bisnonna era stata condannata
a morte per avere organizzato e istigato l’omicidio di un uomo. La
ricostruzione di questa oscura vicenda, delle terribili circostanze che la
portarono a diventare una delinquente (come recita il sottotitolo) è forse
empatica e certamente in parte di fantasia, ma ci sono abbastanza dati di fatto
da far rabbrividire qualsiasi lettrice che si sentirà spinta a congratularsi
per la sua fortuna, di non essere nata nell’epoca e nella famiglia della povera
Luigia Sola. Nata a Saluzzo nel 1834, orfana di padre, ha una madre totalmente
anaffettiva (ma basta leggere qualche notizia sulla sua vita per capire che
forse, anche per lei, non era tutta colpa sua) che la fa sposare per
convenienza, all’età di quattordici anni, con un cugino trentaseienne che ne
diventa anche tutore nonché amministratore del notevole patrimonio di cui
Luigia è erede. Il matrimonio non è felice malgrado la nascita di tre figli, e
all’età di ventun anni lei se ne va a stare a Torino, abbandonando il marito
che rifiuta di concederle il suo denaro, ricattandola sui figli e sulla sua
reputazione. Giovane, sola e sicuramente anche piuttosto scervellata, la sua
scelta e le sue vicende posteriori, che non racconto perché questo è un libro
davvero appassionante che merita un po’ di mistero, sono elementi di uno
scandalo che aumenta fino al delitto nel 1876 e al processo che coinvolse allo
spasimo l’opinione pubblica dell’epoca. La condanna capitale non venne
eseguita, ma Luigia trascorse il resto dei suoi giorni in prigione e la damnatio
memoriae cui la famiglia la condannò è tale che la sua morte, dice la
pronipote, “avvenne in un anno imprecisato tra il 1890 e il 1909”. In appendice,
la fantastica (nel senso che lascia stupefatti e ammutoliti) perizia che Cesare
Lombroso stilò per la pubblica accusa inizia riportando le misure del cranio di
Luigia e conclude che ci si trova di fronte a una delinquente comune,
utilizzando a tale scopo ognuna delle sconclusionate e disperate azioni della
poveretta. Alla fine arriva un punto dolente: non troverete facilmente questo
libro edito da Alibrè (marchio che si riconduce a arabAFenice). Magari, come
nelle fiabe, un grande editore lo leggerà per caso, gli offrirà una seconda
chance e secondo me farà benissimo: perché se la merita per l’interesse della
vicenda e gli spunti di riflessione che suscita.
N.B.
: il romanzo cui la recensione si riferisce è stato pubblicato nel 2007. Se
volete leggerlo, guardate tra i banchi di qualsiasi mercatino a Torino e
dintorni (p.e., quello del vintage
che si tiene a Torino in piazza Carlo Alberto ogni secondo sabato del mese,
esclusi luglio e agosto, dove arabAFenice c’è sempre) e avrete una buona chance
di trovarlo.
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