Un libro veramente interessante e istruttivo, ben al di là delle intenzioni dell'autrice di cui il paratesto non dà la minima notizia, e anche Wikipedia non si spreca. Figura come una serie di mail inviate da un'anonima ragazza di Riad a una mailing list che man mano si ingrossa sempre di più. L'argomento è prettamente rosa: patimenti amorosi e aspettative matrimoniali di quattro ragazze della ricca borghesia, ma il risultato è più simile a un racconto dell'orrore. La narratrice gioca sul suo anonimato, finge di ricevere risposte (quasi esclusivamente maschili) di profonda critica, più raramente di approvazione. Inizia ogni mail con una citazione, poetica o religiosa, qualche parola di commento poi passa alla narrazione vera e propria. Questa parte è la meno interessante anche se probabilmente funzionale per la pubblicazione in patria per dimostrare che l'autrice sa di trattare argomenti scottanti. Molto ricche, tutte universitarie, abituate a viaggiare e anche sveglie, le ragazze Quamra, Lamis, Sadim, Michelle hanno un'unica aspirazione nella vita: trovare un marito. La cosa agghiacciante è che malgrado gli esempi che hanno davanti agli occhi, anche in casa, da un marito si aspettano di trovare la felicità, il rispetto, la parità nel rapporto, la libertà, mentre tutto quello che trovano (e non dipende dagli individui, è implicito e inevitabile date premesse sociali e culturali), è la cancellazione di se stesse in quanto persone e una feroce necessità di adeguarsi ai più assurdi e crudeli dettami della tradizione.
Le loro storie sono esemplari. Tutto inizia al matrimonio di Quamra, la meno carina e brillante che però ha avuto la fortuna di un ottimo partito. Peccato che si accorga subito di qualcosa di strano: lo sposo non si sogna di deflorarla, è necessario che sposa ci metta tutta la sua buona volontà per raggiungere lo scopo, con poca soddisfazione. I due vanno a vivere in America dove lui studia, e qui Quamra, dopo mesi di umiliazioni e solitudine a due, scopre che il marito ha un'amante da anni, che ama molto, ma ha sposato lei per la pressione familiare. La povera Quamra smette la pillola che il marito la costringeva a prendere, resta incinta e affronta l'amante: risultato, il marito divorzia da lei e chi s'è visto s'è visto. Condannata da quel momento in poi a fare la vita da divorziata con un figlio cui l'ex marito non provvede e neanche va mai a vedere.
Non va meglio a Lamis, anzi. Notata alle nozze di Quamra dalla madre di un ricco giovanotto, viene chiesta in moglie, si fidanza e poco dopo viene firmato il contratto di matrimonio dopo il quale è legalmente sposata, ma per andare a vivere con il marito deve attendere la cerimonia vera e propria. Siccome è una brava studentessa chiede che questa venga posposta agli esami finali, lui accetta ma si vede che è un po' deluso. Lei allora decide di concedergli qualcosa per compensarlo, lui accetta ben lieto (quanto conceda non si capisce perché il testo è molto castigato e reticente) poi se ne va un po' agitato, non si fa più vivo, stacca il telefonino, la suocera si nega al telefono. Dopo tre settimane Lamis riceve le carte per il divorzio. Umiliata e disperata, va a Londra (dove la sua famiglia possiede un appartamento a Kensington) da sola, per distrarsi. Qui fa anche uno stage in banca e conosce un connazionale più grande, brillante politico, con cui intrattiene un rapporto amoroso (platonico) strettissimo per quattro anni, finché lui le annuncia che sta per sposarsi con una ragazza scelta dalla famiglia (ha più di quarant'anni) perché non può sposare una divorziata. Più tardi, con la moglie incinta, la cerca di nuovo e le chiede se vuole diventare la sua seconda moglie.
Michelle, americana per parte di madre, conosce un ragazzo che ama molto ma non può sposarlo perché la madre di lui glielo proibisce in quanto lei non appartiene a nessuna tribù (credo situazione analoga a quella di un legame tra un nobile e un borghese nell'Ancien Régime). Va a fare l'università in America e stringe un rapporto con un cugino ma non se ne parla nemmeno perché lui è americano.
L'unica che se la cava secondo i canoni è Sadim.
Non si capisce perché queste ragazze, così libere di andare, fare e stare quando sono fuori dell'Arabia Saudita mentre in patria non possono neppure uscire da sole, se ne tornino poi sempre a casa. A questo proposito è divertente, al di fuori delle intenzioni dell'autrice, la descrizione dei viaggi di ritorno in aereo, quando a uno a uno i viaggiatori, maschi e femmine, vanno alla toilette in abiti occidentali e ne riemergono in abiti sauditi, in bianco gli uomini, in nero e totalmente velate le donne.
Scritto in modo brillante, vivace, volutamente scanzonato, si presenta come un'accorata ma blanda critica alle tradizioni che impediscono ai giovani di scegliere liberamente il compagno o la compagna del proprio cuore, ma in realtà apre una finestra orrorifica sulla condizione delle donne in Arabia Saudita, siano pure le più ricche, istruite, padrone dei mezzi tecnologici più moderni, abituate a viaggiare e conoscere il mondo. Se ne esce con i brividi nella schiena, ma vale veramente la pena di leggerlo perché non è un romanzo scritto per la pubblicazione all'estero, per gratificare i pregiudizi degli occidentali raccontando quello che si aspettano di leggere come l'orrido Cacciatore di aquiloni. E' un romanzo scritto per il pubblico saudita, che si sforza molto di essere contemporaneo, il che lo rende straordinariamente significativo. Non mi risulta che ci sia un ebook e non so se è ancora in distribuzione, ma se per caso lo trovate, magari su una bancarella, acchiappatelo senza esitare.
E alla fine, ovvio, noi ragazze ci si congratula per la nostra fortuna di non essere nate in Arabia Saudita.
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