Dorata dei pipistrelli, che dà il titolo a un racconto di "Alcune ipotesi di vita al femminile", Buckfast 2020, esiste, e si chiama Jaisalmer. Sta in India, in Rahjastan, vicino al confine con il Pakistan. E' una delle città più incredibili che si possano visitare, anche se non garantisco nulla su quello che può essere diventata. Le foto risalgono al 1980 (courtesy di Giuseppe Bigliani), la prima volta che ci sono stata. La prima mostra come, passata l'epoca delle carovane, ci si arrivava, e come ci sono arrivata io: è stata scattata dal tetto del pullman su cui viaggiavo, anch'io sul tetto, ovviamente. Subito dopo si vede come si presenta Jaisalmer dal lontano, e il deserto che si attraversa per raggiungerla. Di seguito sono illustrati altri aspetti della città (la gente, gli haveli, i bazar i vicoli, le cisterne, le mura, le porte) e dei dintorni. Mancano i pipistrelli, perché di giorno erano a caccia e di notte non era facile fotografarli, ma c'erano, e erano tantissimi. Tutto il resto che c'è alla Dorata (e molto di più, naturalmente) si legge nel racconto.
"I giorni seguenti, Asa condusse la principessa a visitare i luoghi più interessanti del forte. Gli abitanti della città murata erano tutti legati in qualche modo al servizio del palazzo di Manis, che sorgeva nella piazza centrale. Di qui partivano stradine e vicoletti che sbucavano in piccoli slarghi o in affacci sulle mura. Tutti i traffici si svolgevano nella città bassa, nel bazar brulicante che si stendeva accanto alle dimore dei mercanti; nella cittadella sembrava che la vita avesse un passo più lento e segreto. Ogni tanto una portantina trasportata da servitori scalzi scivolava silenziosamente tra le case di pietra gialla.
Alalia non si stancava di ammirare la fantasia delle forme cui la pietra era sottomessa in ogni elemento delle case. Non c'era una facciata liscia, un tetto regolare, una finestra squadrata. Dappertutto torrette e sporgenze e nicchie e logge dai soffitti a stalattiti, una foresta di fiori e foglie che si abbarbicava su stipiti e architravi, tigri ed elefanti e divinità alate a guardia di portali cesellati come i monili d'argento che portavano le donne, grate in filigrana di pietra, balaustre a colonnine tortili, davanzali e doccioni e mensole e archi che grondavano decorazioni fantastiche. E dappertutto pipistrelli.
Da una piazzetta irregolare si entrava in un complesso di templi salendo alcuni gradini fiancheggiati da due file di leoncini alati. La sala del primo tempio era quadrata, con nicchie scavate nelle pareti in cui sedevano centinaia di idoli di marmo bianco, levigato e lucente come cera, con gli occhi di pietra nera e la bocca rossa, tutti uguali, seduti a gambe incrociate, con le mani raccolte in grembo. Nel sacello centrale c'era un idolo simile, più grande. Al piano superiore una galleria ornata di altre statue circondava la sala, e di qui si usciva su una terrazza, da cui si passava in un andito, poi in un altro tempio, poi si scendeva una scala, si percorreva un corridoio, si sbucava in un tempio, e così via, tra scale, passaggi sotterranei, sale, gallerie colonnate, tutte piene della stessa immagine di divinità ripetuta migliaia di volte, sempre uguale, in tutte le dimensioni. Tutto era piccolo e soffocante, buio, e pieno di neri pipistrelli appesi ai soffitti fuligginosi, da cui era difficile distinguerli. Alla fine, dopo aver camminato per un'ora buona, si sbucava sulla medesima piazzetta da cui si era partiti. Ad Alalia i templi piacquero molto e tornò più volte a visitarli, anche se ogni volta che doveva passare sotto i pipistrelli correva piegata in due per paura che si svegliassero improvvisamente e le volassero addosso.
Al tramonto Asa la condusse a fare il giro delle mura. C'erano molte casette di terra pressata addossate ai bastioni, gialle come il resto di Dorata, che al tramonto fiammeggiava e mandava bagliori come l'oro di cui portava il nome. Dagli affacci si vedeva la città bassa con la gente che si agitava per vicoli, strade e piazze come formiche. Il bazar era una distesa di baracche di legno che con il calare della sera si illuminava di fuochi e lanterne, coprendosi di un velo di fumo azzurro. All'estrema propaggine dell'abitato, tra orti e giardini, una grande cisterna a cielo aperto circondata da gradinate, tempietti e tombe rifletteva i raggi del sole e brillava come oro fuso. Lunghe teorie di donne con gli orci sul capo andavano a prendere l'acqua, ondulando sulla sabbia gialla. Tutt'intorno si stendeva il deserto.
Alalia occhieggiava senza pudore nell'interno delle case. Sulle soglie le donne cuocevano il pane in forni di terra a forma di uovo e dentro si vedevano le stanze spoglie, ornate di specchietti incastonati nelle pareti, con i letti di fango su cui correvano grossi ratti. Anche nella strada fangosa c'erano molti topi che schizzavano tra i piedi calzati di sandali dorati di Alalia e quelli nudi di Asa, squittendo petulanti. Quando il sole raggiungeva l'orizzonte, tutta la città si copriva di un pulviscolo dorato e poi si spegneva a poco a poco, diventando prima grigia e poi nera. Ma a quel punto Alalia e Asa erano già tornate nella stanza affrescata in cui Risa aveva preparato la cena su vassoi di ottone brillante. Le lampade di vetro blu e verde erano tutte accese, il calore del giorno cedeva a una piacevole frescura. Il vento mormorava sulla loggia e i pipistrelli erano già partiti per le loro scorribande notturne."
4 commenti:
Che meraviglia! Non dirmi che ci sei arrivata col tappeto volante insieme al marinaio Simbad!!!
@nonninalu ciao! No, ci sono arrivata sul tetto del pullman come nella fotografia. Il vantaggio è che si vedeva meglio il deserto e le gazzelle.
Bellissimo il racconto, belle le fotografie!
Mi piacerebbe molto visitare il Rajasthan, chissà che, prima o poi...
Un abbraccio!
Bella è Jaisalmer... che cosa darei per tornarci! (magari dentro il pullman e non sul tetto 🤪🤪🤪)
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