prima di tutto perché leggo poco e mi sono imbattuta in alcuni mattonazzi che non mi hanno dato alcun piacere né desiderio di scriverne, ma non ho potuto mollarli a metà in quanto la cosa mi ripugna (tanto per non fare nomi, I vagabondi di Olga Tokarczuk, premio Nobel 2018), e poi l'atmosfera generale e le circostanze non hanno una buona influenza sul mio cervello. Sono dispersiva e pigra. Ma poi, ecco che mi arriva dal cielo (no, non voglio esagerare, diciamo per corriere) un regalo inaspettato quanto gradito, la Lelegìa o contabilità del sorriso di Adriana Ferrari (Nino Bozzi Editore). Ora, le circostanze della mia amicizia con l'autrice varrebbero un racconto a parte, ma mi limito a dire che è iniziata con un altro dono preziosissimo: le Strade paralLele.
Adriana è poeta, scrittrice e artista, autrice di magnifici collages, viaggiatrice e soprattutto una persona molto intelligente, simpatica e disponibile. Se Strade paralLele mi aveva conquistato è perché rappresenta la poesia come piace a me, discorsiva, narrativa, ironica, razionale, aliena da lirismi e voli pindarici (per rimanere nel campo dei Nobel, oggi mi gira
così: à la Wislawa Szymborska), ma non ne avevo parlato esaustivamente perché di poesia ne so troppo poco, non sono in grado di analizzare un testo di questo spessore e profondità. Ma Lelegìa, in quanto prosa, è più alla mia portata.
E' un libro molto diverso da quello che siamo abituati a leggere di solito. Non è un romanzo e nemmeno è un libro di ricordi. Ha l'andamento, e il suono, di una chiacchierata, di una lunga ciancia a cuore aperto su un tema che per l'autrice è il perno della vita: Lele Luzzati e i loro incontri, le parole e i sorrisi scambiati, le occasioni perse e quelle afferrate al volo, i doni e le scoperte, le osservazioni dal vivo di quell'esplorazione continua che fu la loro amicizia.
Uso questa parola, amicizia, sapendo bene che è al tempo stesso troppo e troppo poco. Quello che ci viene narrato in modo accattivante, ben lontano dal dramma come dallo scavo psicologico, è l'assedio a una fortezza più scivolosa che imprendibile, ben decisa a non lasciarsi invadere ma pronta a cedere ogni tanto, a rinunciare alla difesa di un bastione per non scoraggiare l'assalitore. Un assedio mai aggressivo, oscillante tra gioiosa determinazione e dolorosa fatica. Dopo il primo incontro avvenuto quando entrambi erano decisamente maturi, per molti anni, fino all'inevitabile epilogo, Adriana scruta e spia Lele, spinta da un'adorazione che rasenta l'ossessione, conquistandone a poco a poco la fiducia e un burbero affetto certo poco espansivo ma innegabile, che trapela dalle parole del grande artista e soprattutto dall'agognato sorriso che le dedica; e Adriana ne tiene conto, gli dedica appunto la contabilità del sorriso. C'è anche, in queste pagine, una contabilità del dono, fatto o ricevuto, che ho trovato particolarmente commovente perché vera. Chi non conosce l'importanza dei piccoli regali scelti con cura e dati con timore che si scambiano con le persone che contano veramente, ha perso un piacere profondo.
Adriana racconta questi anni con coinvolgente passione e disarmante sincerità. Narra le conquiste ma anche le sconfitte, le conversazioni e i silenzi, le cortesie ma anche le parole pungenti e le mortificazioni. Questa cronaca minuziosa ma piena di andirivieni sia nel tempo che nello spazio (tra Genova e Imperia, su e giù per la Riviera di Ponente) si legge con un grande piacere, lo stesso piacere che si prova quando un'amica ci racconta le sue vicende esistenziali. Neanche l'ombra del pettegolezzo, del sentito dire, dell'illazione avventata, ma un continuo affrontarsi e specchiarsi di due anime, quella di Adriana aperta e ansiosa di mettersi in comunicazione, quella di Lele meno comprensibile, forse semplicemente meno bisognosa di contatto. Attorno si aggirano molti personaggi, noti e meno noti, sullo sfondo di mostre, musei, rappresentazioni teatrali, conferenze, scambi e incontri, tutto un mondo che ferve di cultura e bellezza, un'atmosfera stimolante che fa sognare il lettore, in netto contrasto con questi tempi stagnanti e cupi.
Ma quella di Adriana è una guerra vinta, perché Lele l'aveva ammessa nella sua casa e nel suo mondo. L'aveva riconosciuta tra le persone della sua vita. E a noi rimane questo bel libro, sincero e a tratti illuminato dall'ironia dell'autrice, pervaso dall'ammirazione per l'opera di un grande del Novecento come è stato Lele Luzzati, e potente stimolo a andare a ricercarne le opere per ritrovarci almeno un po' della magia che ha ispirato una simile passione.
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