giovedì 27 giugno 2019

Un racconto scemo per dimenticare le temperature torride: Le mutande di Clark Kent


                                    LE MUTANDE DI CLARK KENT

Quella mattina Clark Kent si svegliò con un mal di testa furioso. Prima di tornare alla coscienza,
ripassò mentalmente il sogno che l'aveva tormentato per tutta la notte, come tutte le notti, quelle almeno in cui il rompiballe Superman non lo costringeva a lasciare il letto per otturare una diga con il mignolo o salvare un cagnolino alla deriva su un iceberg. Si trovava in ufficio, intento a battere sui tasti della sua vecchia Remington, quando il superudito lo avvertiva che c'era una vergine in pericolo nell'ufficio del direttore. Con la vista a raggi x riconosceva Lois Lane nella ragazza piangente. Immediatamente entrava nello sgabuzzino del caffè, si toglieva occhiali, giacca, camicia, pantaloni, e rimaneva in mutande, calzini e giarrettiere. Niente tuta azzurra con lo scudo sul petto, niente mantello rosso, niente superpoteri, anzi, cieco come una talpa e tremante dal freddo, si ritrovava in mezzo alla redazione in piena attività, che cominciava a segnarlo a dito sghignazzando. Lois Lane in braccio al direttore, Lana Lang sulle ginocchia di Jimmy Olsen ridevano più di tutti. Clark, a quel punto, cominciava a piangere, e dalla vergogna si svegliava.
Di malumore, ingoiò due aspirine e una tazza di caffè nero.
"Non devo più farmi trascinare in birreria da Jimmy" disse al proprio viso insaponato mentre si faceva la barba davanti allo specchio del bagno, "la birra mi fa peggio di un bicchiere di kryptonite rosa. E devo anche decidermi a consultare uno psicanalista. Non posso andare avanti così."

Per strada, mentre si recava al 'Globe' con la sua cartella di pelle nera e gli spessi occhiali finti sul naso, i superpoteri si fecero improvvisamente vivi avvertendolo che un grattacielo stava per essere colpito da una meteorite.
"Cristo, Super," gemette Clark, mentre si infilava in un vicolo per spogliarsi, "oggi non è proprio giornata. Non si potrebbe, per una volta, fare finta di niente?"
Non si poteva. Il pugno destro teso avanti nel volo, il mantello che gli sbattacchiava sulle spalle, Superman giunse sul luogo del pericolo, con una mano afferrò il grattacielo alle fondamenta, con l'altra si ricacciò indietro il ricciolo ribelle che gli copriva l'occhio sinistro. Dalle finestre gli inquilini si sporgevano e applaudivano, felici dello svago inaspettato. Superman depositò il grattacielo in mezzo al deserto, e mollò lì tutto. Gli inquilini smisero di applaudire. Uno gridò:
"Ma non era più semplice deviare la meteorite, come fai sempre?"
Superman era ormai lontano, ma il superudito gli portò il grido desolato e lui arrossì. Certo che sarebbe stato più semplice. Colpa del mal di testa e del debole per la birra di quell'imbranato di Clark. Doveva trovare un'altra soluzione per salvaguardare la propria identità. Doveva liberarsi di Clark, di quel suo doppio mezzo cieco, noioso, ridicolo. Se almeno Clark fosse stato capace di scoparsi le ragazze che lui non poteva toccare per paura di stritolarle con i supermuscoli (per non parlare del resto)! Ma niente, Lois e Lana al massimo lo prendevano come confidente del loro amore per Superman.

Depresso, il supereroe decise che per quel giorno il Globo avrebbe potuto fare a meno del suo stupido giornalista, e volò come un superconcorde alla sua caverna di ghiaccio al Polo Nord. Aveva proprio bisogno di ghiaccio, un mucchio di ghiaccio, per farsi passare quel fastidioso mal di testa che gli faceva pulsare le tempie e gli annebbiava la vista a raggi x. Si sdaiò nella sua poltrona favorita, si mise sugli occhi una mascherina di kryptonite a pois per evitare di vedere qualche disastro in corso, e sprofondò in un sonno riparatore. Ma ecco, il solito maledetto sogno lo colse a tradimento. Si trovava al Municipio di Metropolis, il Sindaco in persona gli porgeva una pergamena con le firme di tutti gli abitanti della città, che lo ringraziavano per averli protetti con tanta alacrità in tutti gli incendi, alluvioni, terremoti, crolli, attentati, trappole di Luthor dell'ultimo anno. Arrossendo Superman si tirava indietro il ciuffo, sorrideva a Lois e Lana che gli mandavano baci, ed ecco che improvvisamente la tuta gli cadeva di dosso e lui si ritrovava in mutande, le odiose mutande a pantaloncino di Clark, con le cosce pelose e le ginocchia nude che sporgevano dalle giarrettiere e dalle calze a scacchi. Una risata omerica scuoteva la cittadinanza, il Sindaco lasciava cadere la pergamena per tenersi la pancia, Lois e Lana lo indicavano a dito torcendosi in un parossismo di ilarità. Superman si rattrappì, si contorse, cercò di infilarsi sotto la poltrona del Sindaco, ma non ci entrava. Si svegliò coperto di sudore freddo.
Non perse tempo a consultare le pagine gialle e scrutò con la vista a raggi x tutti i grattacieli di Metropolis, finché un attestato appeso alla parete di uno studio attirò la sua attenzione: 'Dott. Prof. Helmut Schwartzkopf, Laurea in Psichiatria, Psicologia, Scienze Comportamentali, Filosofia e Biologia all'Università di Heidelberg. Psicanalista, Cartomante ed Esperto di Lettura dei Fondi di Caffè.  Si fanno sconti ai pensionati e alle madri di più di cinque figli.'
"Bene" pensò Superman "un uomo di scienza senza rigidezze cartesiane, e anche umano. Quello che fa per me."

Pugno teso, piedi uniti, lasciò in volo il Polo Nord. Era ora, perché gli si stava congelando il moccio del naso. Poco dopo, sdraiato sul lettino del Professor Schwartzkofp, si lasciò andare a un pianto liberatore.
"Da quando sono bambino" gemette, "Clark Kent mi perseguita, con i suoi occhiali da miope, le sue giarrettiere, i suoi rossori. Dottore, mi aiuti, ho paura che finirò per fare uno sproposito."
"Mumble" disse il Professor "mumble mumble mumble. Chi sarebbe questo Clark Kent?"
In un nanosecondo Superman valutò i pro e i contro, la plausibilità del segreto professionale, il prezzo probabile del luminare in caso di corruzione e l'impatto possibile sulla sua carriera. Decise che fidarsi era bene ma non fidarsi era meglio.
"Un tipetto" rispose. "Deve sapere che io ho un importante ruolo pubblico che per motivi assolutamente segreti (per il bene della comunità) non posso rivelare. Questo Clark Kent è la mia copertura e insieme la mia condanna. Un essere ridicolo, imbranato, incapace di toccare una donna, tutto lavoro e grisaglia. Sono arrivato a odiarlo. Pensi che ho un sogno ricorrente…"
"Ach! Questo è interessante. Mi conti tutto bene."
Il Professor sapeva come creare l'ambiente. Gli porse una tazza di tè, tirò fuori un lavoro a maglia e si dispose ad ascoltarlo.
"Dunque, io arrivo pronto a tirare fuori i miei super…"
"I suoi super? Dica senza timore."
"I miei supermuscoli. Il mio supercoso. Sono super, questo è il fatto. Io tiro fuori tutto e Clark è meno che niente, è squallido. Insomma io tiro fuori e lui mi frega, perché porta le braghette. Così resto lì come un cretino e tutti ridono, ridono, non ci sono abituato a farmi ridere dietro."
"Cosa c'è di male nelle braghette? Le porto anch'io."
A Superman si coprirono di sudore le radici dei capelli. Il famoso ricciolo si afflosciò, il petto a portaerei s'inumidì di paura. Si rese conto all'improvviso che si era presentato al Professor nella sua veste, diciamo così, professionale. Possibile che il dottore non l'avesse riconosciuto? Veloce come un tornado si spogliò della famosa tuta e si rivestì da Clark Kent.
"Adesso capisce?" sibilò sistemandosi le spesse lenti false sul ponte del naso.
Il Professor non aveva perso neanche un punto. Stava calando per la scollatura di un pullover da sera in seta e ciniglia, un lavoro molto complesso. Alzò gli occhi solo dopo qualche minuto di conti a bassa voce.
"La trovo bene. Ha approfittato di questi pochi attimi per rimettersi un po' a posto, vero? Allora, vada avanti con il suo sogno. Diceva?"
"Niente, grazie, dottore. Mi rifarò vivo io."
Pugno teso e corpo rigido se ne ripartì dalla finestra, dopo aver rifatto tutta la pantomina del cambio di abiti. In pagamento lasciò un pezzettino di kriptonite verde, che sembrava uno smeraldo e al mercato nero valeva molto di più.


     
  

1 commento:

Massimo Citi ha detto...

Da piccolo leggevo Nembo Kid (il suo vecchio nome) esclusivamente dal barbiere – mia madre non avrebbe mai speso nemmeno una lira per lui –, ma non posso dire di amarlo molto. Effettivamente il suo abbigliamento da Superman aveva qualcosa di ridicolo e lo preferivo quando era Clark Kent. Se c'era disponibile Batman non c'era partira e lo stesso accadeva con Thor. Il mio problema è che non riesco a prenderli sul serio.