Riprendo il discorso a proposito di una raccolta di racconti, che come non mi vergogno di ripetere
ad nauseam sono la forma letteraria che preferisco sia come scrittrice che come
lettrice, di cui avevo già parlato:
Tappeto mobile di
Loris Maria Marchetti, poeta, saggista e narratore torinese. Ho avuto occasione di rileggerli per una presentazione cui ho partecipato, e la rilettura mi ha fornito molta materia di riflessione e approfondimento perché i racconti di Loris Maria
Marchetti, oltre al piacere che offrono a chi li legge, sono anche pieni di spunti per cui se ne
potrebbe parlare per ore. E i livelli di lettura sono molti. Dietro a ogni
racconto c’è un io narrante che si
interroga sull’identità dei personaggi o sulla natura dei loro rapporti, e soprattutto su se stesso, sulla definizione della propria identità. E' un libro molto raffinato, piccolo come dimensioni ma di grande impatto, che
consiglio a tutti coloro che nella lettura non cercano solo la soluzione del
solito delitto, ma sperano di trovare anche un'eco, forse persino una risposta
ai tanti interrogativi che la vita ci pone continuamente.
Per quel che riguarda la struttura, come ho già detto sono racconti in prima persona, ma l’io narrante è sempre anonimo. Talvolta
attore, talvolta spettatore o ascoltatore, comunque non reticente, anzi
prodigo di informazioni su di sé, sulla propria vita e sulle proprie
convinzioni, non è difficile immaginarlo come un personaggio unitario anche se l'autore evita accuratamente di attribuirgli un nome. Molto sensibile al fascino femminile, attento alle donne che gli
stanno intorno, in
Colonna sonora ci mette a parte di ciò che pensa sull’amore, dal che possiamo dedurre che dietro al suo apparente disincanto da dandy sabaudo e molto borghese si nasconde un cuore romantico e passionale. Soffermandoci su
ogni racconto, al di là dell'intreccio quasi inesistente e del procedere in apparenza svagato della voce narrante, si scopre un sostrato profondo e una costruzione studiatissima. A questo proposito, particolare e sorprendente è il ribaltamento
che spesso avviene in maniera così sottile e raffinata
da diventare chiaro solo a una seconda lettura. Possiamo dire che il tema centrale è l’identità, e la ricerca della verità
sulle persone e sulle relazioni
tra persone.
Il primo
dato, quello che colpisce di più a una lettura “di svago”, forse, è la scrittura preziosa. In un momento di sciatteria e approssimazione
linguistica come quelle di oggi, la sua prosa si distingue immediatamente. E’
una prosa dichiaratamente, volutamente e
sontuosamente letteraria, che non teme periodi lunghi, subordinate e un
lessico ricercato e preciso, in questi dieci racconti in cui l’autore inanella lacerti
della memoria, piccoli brandelli di ricordi.
Poi l’atmosfera e i personaggi. Gli
intrecci, l'ho già detto, quasi non esistono o sono pretesti per esercitare quello che a Loris Maria Marchetti
interessa di più, cioè l’analisi dei comportamenti e delle persone con cui si
trova a interagire, siano essi amici, colleghi, vicini di casa. E proprio qui Tappeto mobile rivela la sua natura più profonda: tutte le storie comportano dei disvelamenti, parlandoci della
realtà come appare e poi di ciò che si capisce solo a posteriori, delle persone
che non sono mai quello che appaiono, dei segreti nascosti sotto la facciata di
ognuno, cercando di ricostruirne il senso attraverso le intermittenti epifanie
della verità, scrutando quel tanto o quel poco che emerge del grande mistero
che ognuno nasconde in sé, nel profondo, coprendosi con la menzogna o
semplicemente perché è incapace di mostrasi come è. Nella seconda lettura si
evidenziano la struttura, i ribaltamenti, i personaggi che si trasformano, si
nascondono, cambiano nome, occultano informazioni fondamentali del proprio passato. Su questo concordo completamente con Loris
Maria Marchetti, ciò che arriva ai nostri occhi spesso distratti (ma i suoi
sono attentissimi e pieni di empatia) non è che una pallida ombra della realtà,
sempre molto più complessa di quello che appare. E per fortuna che ci sono
scrittori come lui, speleologi dei sentimenti, che con attenzione, umanità e
sapienza scavano per portare alla luce tesori di inquieta raffinatezza.
Perché un’altra caratteristica che
colpisce è l’empatia con cui sono
descritti i personaggi. Non ci sono personaggi negativi, meschini o cattivi, i
lati oscuri hanno sempre una loro ragion d’essere che l’autore cerca e trova,
nella sua indagine acuta e precisa. L’analisi psicologica è profonda e
particolareggiata, non c’è sfumatura di sentimento o pensiero che sfugga alla
lente d’ingrandimento dell’io narrante sempre anonimo ma sempre centrale, o
almeno presente, in tutte le vicende.
L’atmosfera è sovente quella di un passato ricordato con cura ma non nostalgico, c'è una Torino sparita, luoghi,
abitudini e ruoli analizzati, sviscerati, ricostruiti con acribia e profonda
umanità, cercando cause e spiegazioni, gesti minimi, tic rivelatori e
sofferenze nascoste. Ci sono spesso andirivieni tra passato e presente,
ricostruzioni di un mondo sparito ma vivido, mai descritto in modo compiaciuto
o ridicolizzante come purtroppo usa adesso, in romanzi che credono di
ricostruire un ambiente (il tipico “ho fatto moltissime ricerche”), mentre
si limitano a mettere in fila luoghi comuni e banalità. Qui non c’è la costruzione di un
fondale ma la comprensione di una realtà lontana nel tempo, senza nessun
cedimento alla retorica della nostalgia.
Il titolo Tappeto mobile si riferisce proprio al fatto che le storie narrate vanno dagli anni '50 agli anni '90 del '900, scivolando verso l'oggi come la vita.
Poi, i personaggi femminili. Ci sono le
ragazze, le donne (molte) che suscitano l'attenzione dell'io narrante, sempre pronto a interrogarsi su parole e comportamenti
propri ed altrui, in particolare femminili. Su tutto si stende una patina di lontananza, che in certi
momenti fa sospirare
où sont les filles d'antan, ma poi con un robusto
colpo d'ala si torna all'oggi. Il narratore analizza, scruta i rapporti uomo-donna
interessandosi soprattutto al margine,
al punto in cui si incontrano, che impedisce di dare una definizione netta e
rigida al rapporto distinguendo tra amore, amicizia, passione. Ci sono
le rose che non colsi - forse: ma l’io narrante si interroga su
quello che avrebbero da dire le rose, come in
Il vernissage, Il vizio di Guido
Laurenzi, Colonna sonora. Tra le figure di donne si distingue l’amica (con cui intrecciare la bella amicizia) dall’amore furioso, analizzate e scorporate in mille dettagli e sfumature, in un collage
di caratteristiche femminili: l'eleganza, la bellezza, la snellezza, la signorilità,
i capelli, sono le immagini un po’ stereotipate (ma pronte a essere rimesse in
discussione da un sogno erotico) secondo le quali ogni donna viene catalogata.
Nel primo racconto, Il compagno Rodolfo, si parla di ragazzini. Il narratore, invitato a casa da un compagno di classe dell'alta borghesia
apparentemente amico, si trova sottoposto a uno scherzo crudele. E crudele è anche la vendetta finale dell’autore. Apparentemente è un racconto
infantile, venato di crudeltà sia da parte del carnefice che da quella della
vittima. L'esperienza è di quelle che tutti abbiamo sperimentato prima o poi, e che si capiscono molti anni dopo… la vita è costellata di
questo tipo di delusioni.
I cancelli di Mirafiori è sicuramente il mio
preferito. Il protagonista è Giovanni Pairetta, ex carabiniere ora guardia giurata ai cancelli
della Fiat, marito della portinaia dello stabile borghese in cui abita il narratore, uomo del fare, leale e dedito al lavoro, l’Illustrato Fiat sempre in tasca, sa fare tutto con le mani ed è sempre disponibile a aiutare i ragazzini. Rappresenta l'epitome di
Torino com’era prima della disgregazione anche sociale portata dalla sparizione
della civiltà industriale. Quando va in pensione impazzisce, e non si riprende
più. Con pochi tratti e un solo personaggio Loris Maria Marchetti ricostruisce una città, i suoi
valori che sembravano eterni in questo apologo sulla fine di un’epoca. Il suo valore è sia
individuale che storico.
Una famiglia è un'indagine a
posteriori su una famiglia di vicini, di cui in realtà l’unica visibile e
conosciuta era la moglie, fedifraga ma non chiacchierata. Un mistero,
personaggi quasi fantasmi, sfuggenti, anomali su cui l'autore si interroga per ricostruirne il significato.
Il
corteggiamento di una ragazza cui l’io narrante non sa sottrarsi ma sopporta
con fastidio è il nucleo di
Letterature comparate. Durante un ballo al Circolo degli Ufficiali, assistiamo alla salutare reazione della ragazza
che lo manda a stendere alla fine. E se la cava benissimo senza di lui, sembra
dire la conclusione.
Brivido nero ha
una struttura talmente raffinata che a una prima lettura non si coglie (o almeno non l'ho colto io) il
parallelismo, o la specchiatura, tra le due trame che si intrecciano, e i due
personaggi principali: entrambi diversi, anzi opposti, a quello che si crede
che siano (Cristazza la pazza in realtà una bravissima ragazza, anonima e banale,
scambiata per un caso di omonimia, e Umberto-Carlo depresso non per carattere
ma per una terribile esperienza che ha appena vissuto, entrambi chiamati con
soprannomi legati alla loro identità fittizia, entrambi accomunati dalla paura
irrazionale per il nero, persona o animale, simbolo sempre di qualcosa di
oscuro nascosto non nel simbolo stesso ma nell’interno del personaggio,
entrambi scoperti-conosciuti dall’io narrante per un avvicinamento casuale,
dovuto alla paura di cui si diceva) insomma una specularità perfetta e così ben
nascosta da richiedere molta attenzione per essere riconosciuta come lavoro di
costruzione. Comunque godibilissimo anche se ci si ferma al mero dato
narrativo.
Il caso e
la memoria producono un effetto positivo per l’amico Leonardo in
Il dono di Mnemosine, ambientato all'epoca dell'inaugurazione
del primo ristorante cinese a Torino. qui dominano le figure femminili in particolare Maria Beatrice la
tappabuchi, che ha tutte le doti ma è bruttina.
Un’irruzione in casa del narratore da parte di vigili del fuoco che vanno a
salvare la vicina impazzita che vuole suicidarsi è lo spunto iniziale di
Il pianoforte di Rah’el Ornstein. I due sono accomunati dalla musica e
dalla solitudine di lei, che sovente lo va a trovare. Lei è una pianista sublime,
lui appassionato di musica, ma Rah'el non accetterà mai di suonare in sua
presenza. Così come, lei viennese ebrea, non accenna mai alle sue vicende durante la seconda guerra mondiale. E quando esce dalla clinica apparentemente guarita, si
trasferisce in Israele ma rimpiange il suo pianoforte.
Il vernissage: di nuovo
personaggi che non sono chi dicono di essere, neanche nel nome. qui, con una giravolta abilissima, abbiamo due narratori interni. Al vernissage
di una mostra di Jacopo Ginevra, il pittore viene riconosciuto come Lorenzo
Valli da una donna molto attraente. Un flashback ci spiega di quando si erano conosciuti, lui adolescente e lei bambina. Molto gustosa la presentazione del critico trombone. Non sapremo niente
circa il motivo del cambio di nome, ma c’è di nuovo il rovesciamento di
identità e due figure femminili contrapposte, l’attraente, nuova, bella Letizia,
e la timida, fedele, devota, effacée Elisa, che, non si sa quanto contenta del suo ruolo, sta sullo sfondo con dedizione.
Il narratore di
Il vizio di Guido Laurenzi, si interroga, a distanza di molto tempo, sul motivo per cui al collega Laurenzi piacevano solo le bionde longilinee con i capelli lisci anche se aveva una moglie
tutta diversa. Quando in ufficio arriva Aurelia, molto più giovane, Guido perde la testa e la corteggia finché lei si rivolge a un collega bello, elegante e playboy che le dà un consiglio arguto e efficace. Aurelia poi si sposa ma Guido perde il pelo ma non il vizio, come verifica il narratore in un casuale incontro in piazza
san Babila. Sullo sfondo la figura di un'impiegata sposata con prole, che non ha bisogno di consigli per trarre
vantaggi dai suoi capelli biondi e lisci.
Colonna sonora è una lunga lettera a
Lavinia. Questo è il testo più particolare e anche rivelatore. La lettera è iperdettagliata nell’analizzare una
possibilità di sentimento girando e rigirando ipotesi, sottigliezze, sfumature,
possibilità, interrogativi. Non ci sono fatti né intreccio, solo possibilità
emotive e esistenziali messe sotto una lente d’ingrandimento, ma qui si rivela pienamente il senso del continuo interrogarsi e interrogare del narratore: la sua domanda fondamentale non è
chi sei tu, ma
chi sono io. Ma a questa domanda, naturalmente, Lavinia non sarà in grado di rispondere.
Infine due parole su una precedente opera di narrativa:
Raffinatissima operazione di ricupero del ricordo e delle ondivaghe passioni dei vent'anni,
Le imperfette quadriglie d'agosto di
Loris Maria Marchetti si
pone come una danza, appunto, fatta di avvicinamenti e allontanamenti,
repulsioni e attrazioni, all'interno di un gruppo di ragazzi in vacanza a
Milano Marittima negli anni '60 del secolo scorso. Sullo sfondo di
miti, comportamenti, musiche e aspettative tipiche di quegli anni,
l'esile vicenda di Eliana e dell'io narrante si dipana a passo di danza
in una prosa elegantissima, sorvegliata con la cura e la sapienza dei
classici, senza nessun cedimento alla retorica della nostalgia,
attraverso un'analisi continua dei moti del cuore, quasi prustiana per
precisione e complessità.