martedì 26 giugno 2018

Doppia razione di racconti: Yekta Kopan, La perdita di te, Michele Orti Manara, Il vizio di smettere

Due libri per chi ama i racconti, scritti da due autori che io pensavo, entrambi, molto più giovani di quanto siano in realtà (di Michele Orti Manara ho assistito a una presentazione al Salone del Libro di Torino 2018 e ha l'aria giovanissima, vi assicuro) e, entrambi, molto, molto bravi.

La perdita di te (Edizioni Clandestine, traduzione dall'inglese di Barbara Gambaccini con contributi di Elisabetta Pellini, basata sulla traduzione dal turco di Hande Eagle) di Yekta Kopan, nato nel 1968 a Ankara e ora residente a Istanbul, poeta, narratore, saggista, conduttore radiofonico, doppiatore e sceneggiatore, è una veloce raccolta di cinque racconti, tutti in prima persona, in cui si parla di perdite appunto, soprattutto del padre, di rapporti, di donne, di pittura, di persone. Non hanno importanza né la trama né, in fondo i personaggi. Sono riflessioni su se stesso che si avviluppano e si sfrangiano, affascinando come un soffitto coperto di specchietti che riflette le figure spezzettandole e ripetendole. Sono anche racconti moderni, che parlano di un paese moderno e di un autore moderno perfettamente a suo agio a Istanbul come a Londra. Sicuramente cercherò qualcos'altro di quest'autore per farmi un'idea più chiara, e lo consiglio a chi è interessato alla Turchia e ai racconti. Però spero che Edizioni Clandestine, se decide di continuare a pubblicarlo, dedicherà una maggiore attenzione alla traduzione. Non ho la minima idea se sia fedele o no, che cosa si sia perso nel passaggio dal turco all'inglese, ma quello che vorrei sottolineare è che l'italiano ha le sue leggi, che magari il traduttore non conosce ma vanno rispettate se non si vuole che il lettore si deprima e si scoraggi.  


Come ho detto, Michele Orti Manara l'ho visto dal vivo e posso assicurare che è molto simpatico e disinvolto. Adesso che ho letto Il vizio di smettere, uscito con la valorosa Racconti Edizioni, posso dire anche che è estremamente bravo (e la copertina di Francesca Protopapa particolarmente attraente). Sedici racconti di cui alcuni brevissimi, tutti al presente e nervosi, veloci, talora solo dialoghi (Diglielo e basta), in cui non disdegna l'assurdo e l'inesplicabile (Una vita in venti minuti) né teme di entrare in prima persona in situazioni complesse (Post-it), rappresentando e narrando senza sprecare una parola, con una scrittura netta, precisa, sicura, la scrittura di chi sa quello che fa e come lo vuole fare. Sia che parli di un gatto o di un collaboratore domestico straniero o di una donna ossessionata da uno stalker, Orti Manara lo fa con le parole giuste e la giusta misura. Anche di questo autore aspetto con piacere la prossima uscita, augurandomi che la sua bravura non diventi virtuosismo, la sua sicurezza riesca a fargli evitare la frigida perfezione da scuola di scrittura. Orti Manara tiene un blog con il bellissimo nome di nepente. Ma comunque, e lo dico da Figlia di Chtulhu, uno con una maglietta così andrà sicuramente lontano. E io glielo auguro di cuore.         

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