Londra, anni ottanta: Grace Bradby e Janice, alias Mrs Black e Mary, uscite dal carcere insieme e coabitanti per convenienza, si presentano a casa di vecchiette che vivono sole in veste di inviate dei servizi sociali, le imbottiscono di balle a proposito di possibili somme integrative alla pensione, poi Mary – l’assistente – si offre di fare una bella tazza di tè, riempie di sonnifero la tazza della padrona di casa che si addormenta, dopodiché le due hanno tutto il tempo di rovistare con calma e portarsi via tutto, la pensione, i risparmi se ci sono, i pochi oggetti che possono essere rivenduti ai mercatini delle pulci o ai bottegai poco scrupolosi: insomma la vita, i ricordi, l’identità delle vittime. Il bottino non è ricco ma facile da piazzare, e facendo tre o quattro colpi al giorno ci vivono bene in due.
Grace è più anziana, piccola, robusta e affabile, ed è la mente: pianifica, punta le potenziali vittime all’ufficio postale quando ritirano la pensione e le segue fino alle loro abitazioni, si segna gli indirizzi, controlla le targhette, poi si premura di disfarsi immediatamente della refurtiva, sempre in mezzo alla folla, sempre il più lontano possibile da casa. Janice è l’anello debole: bruttina, pettinata come John Lennon, totalmente vacua, romantica, alla ricerca di un uomo che la tratti bene, vittima di impulsi autolesionisti come tenere piccoli oggetti trafugati. Sono due personaggi magnifici, soprattutto Grace, che malgrado la sua naturale amoralità, la sua totale mancanza di empatia, il modo cinico e spontaneo con cui delinque e manipola le vite altrui, non riesce a suscitare rifiuto, per il modo magistrale con cui Celia Dale conduce la sua narrazione. Poi c’è un giovanotto che entra casualmente nella loro vita, e un uomo solitario che fa scattare nella mente fertile di Grace un piano assai più ambizioso…
Non dico niente sulla trama perché è avvincente e piena di colpi di scena. Dico solo che è un romanzo eccellente, ed è una vergogna che non sia più conosciuto. Dipinge vividamente la Londra degli anni ’70/80, swinging e cosmopolita forse, nei giusti quartieri, ma piena di sacche di dignitosa miseria o di ignominioso benessere dove non arrivano né la moda, né i turisti, né la musica, neppure gli immigrati, una Londra più vicina a quella umanissima di Dickens che al nostro immaginario contemporaneo. Fa pensare anche a certe figure dei romanzi di Barbara Pym, vite grigie e nascoste come i loro sentimenti. Tutte le vecchiette prese di mira da Grace e Janice sono altrettanti personaggi completi, mai descritti come tipi o macchiette, ma sempre persone, riconoscibili nella loro unicità e diversità. Un personaggio grandioso è Marion Robinson, l’ex attrice egocentrica ma non stupida che diffida di Grace, e vive di ricordi tra fotografie e abiti di scena, legata alle proprie abitudini di vecchia che non ammette di essere stata messa da parte dalla vita, sicuramente ispirata alla realtà (Celia Dale era figlia dell’attore James Dale).
Nei pensieri del poliziotto che cerca di risolvere il caso delle vecchiette derubate, perché non tutto va sempre bene alle due delinquenti e prima o poi qualche errore lo commettono, c’è a un certo punto un desolato ritratto della condizione senile: Rinchiusi dentro covi e tane in tutta l’Inghilterra, uomini e donne anziani tenevano duro, con coraggio o malumore, ubriachi o sobri, matti o sani di mente, ma con il diritto alla vita finché durava, confortati dai loro tesori, dagli oggetti che testimoniavano che erano stati giovani, che avevano amato ed erano stati amati, che avevano lavorato, che avevano delle capacità, che contavano qualcosa. Derubarli era una sorta di omicidio, privarli con l’inganno del loro passato significava disprezzare la loro dignità. Anch’egli è un personaggio accattivante, altruista, capace di accogliere, entusiasta e contento del proprio lavoro, bonario, e insieme ingenuo e tradito dal bisogno di essere amato. Ecco, l’amore manca a tutti in questo romanzo, o chi ce l’ha deve nasconderlo, e c’è anche chi, come Grace, non ha mai saputo che cosa farsene e non sa neppure nominarlo: Il matrimonio non è così eccitante. […] Non sono mai stata interessata al sesso, cara, è solo l’aspetto legale della situazione a essere più vantaggioso, se si è sposati.
Tutto questo è raccontato in modo piano e veloce, oggettivo, attentissimo ai particolari concreti che dipingono un’epoca, ricco di interni di cui sembra di sentire l’odore e intravedere le penombre, senza indulgere in emotività o eccessi di psicologia, sempre in terza persona ma alternando il punto di vista di Grace, di Janice e del poliziotto. Purtroppo la traduzione di Rosalia Coci inciampa e barcolla, appoggiandosi a un lessico a dir poco sorprendente: per limitarsi alle pagine 120-122, confonde fodere e tappezzeria, introduce neologismi come graticolato per graticcio, ci accompagna nel piccolo patio circondato da pareti dietro le tende che si intuisce poi essere una veranda, o meglio un balcone verandato, ci racconta di una proficua mattinata in giro per la Harrow Road dove, a dispetto della conurbazione di edifici popolari, trovò alcune enclavi di vecchie casette a schiera, nei seminterrati delle quali si annidavano ancora alcune promettenti vecchiette per il giorno dopo. Non è che voglio essere pignola, ma un libro così bello avrebbe meritato una maggiore cura.
Con
Il pensionante (1913) di
Marie Belloc Lowndes (1868-1947) siamo invece nella Londra nebbiosissima e freddissima
di fine Ottocento. L’inizio è di quelli che acchiappano al cuore e ti stendono
a terra: Ellen e Robert Bunting, una coppia di ex domestici divenuti
affittacamere, siedono in silenzio in un gelido interno, disperati e affamati,
sull’orlo della miseria più nera. Hanno venduto tutto il vendibile, rinunciato
persino a mangiare, perso qualsiasi speranza. Quand’ecco che si odono due forti
scampanellate alla porta… Irresistibile. Il pensionante, appunto, è molto
eccentrico ma si rivela una manna del cielo: disposto ad affittare tutte le
camere vuote pur di non avere vicini, a pagare più del richiesto per non essere
disturbato, molto quieto, di giorno sta in casa a leggere la Bibbia e fare
misteriosi esperimenti, di notte esce nella fittissima nebbia e chissà dove va…
Come avrete capito non è il fattore sorpresa che conta nel romanzo, ma la
tensione che sale dalla prima pagina: Londra è sconvolta da una serie di
efferati delitti (e uso coscientemente l’espressione abusata) che avvengono
tutti secondo un rituale ripetuto, e le vittime hanno tutte le stesse
caratteristiche: prostitute o ubriacone, comunque il tipo di donne che si
possono incontrare in piena notte nei sordidi vicoli dei quartieri operai. A
poco a poco i delitti del Vendicatore (così la stampa ha soprannominato l’assassino)
si avvicinano alla dimora dei Bunting, nella centrale Marylebone Road (notate,
vicinissima a Baker Street e al mitico n221B dove abita Sherlock Holmes, e al
Museo delle Cere di Madame Tussaud, che infatti ha un ruolo cruciale nella
vicenda). Mrs Bunting comincia a essere divorata dai sospetti, mentre la sua
casa è intensamente frequentata da un giovane ispettore di polizia che oltre a
occuparsi dei casi del Vendicatore è innamorato della figlia di Mr Bunting,
temporaneamente in visita dal padre. Qui mi taccio e lascio il gusto della
scoperta ai lettori, limitandomi a qualche osservazione. In tutto il romanzo
non vi è una parola sulle vittime, che sono devianti, quindi la loro morte è
irrilevante. Solo di una si dice che era “una brava moglie, e una brava madre”
fino a che non ha cominciato a bere. Quello che fa impressione a tutti, che
sconvolge l’opinione pubblica, non è tanto la morte provocata quanto l’impunità
con cui il delitto avviene, l’interruzione del patto singolo-società. La gente
per bene sa che non potrà essere vittima del Vendicatore perché si comporta
decorosamente, non beve e la notte sta a casa. Così quando il Vendicatore comincia
a colpire di giorno, è troppo, l’indignazione per l’inefficienza delle forze
dell’ordine cresce e il capo della polizia è costretto a dimettersi. Molto interessante
è anche l’analisi minuziosa del ruolo dei media, l’attenzione agli articoli dei
giornali che soffiano sul fuoco della paura, la loro lunghezza e posizione, l’attesa
per l’arrivo degli strilloni che nel silenzio della via (o bei tempi pre inquinamento
acustico da traffico automobilistico!) portano il terrore e l’eccitazione per
il nuovo delitto. Così come la presenza massiccia dei giornalisti e lo svolgimento
delle operazioni all’inchiesta, tutta la narrazione è improntata a un’aderenza
alla realtà che l’impianto romanzesco non deforma affatto. Altro motivo che fa
di Il pensionante una lettura davvero
istruttiva oltre che divertente, è che porta alla luce, oltre alla passione per
i delitti, un’altra delle ossessioni inglesi all’origine di innumerevoli
variazioni: il rapporto tra servi e padroni. Basti pensare a Gosford Park di Altman, a Il servo di Losey, ai televisivi Upstairs and downstairs e Downton Abbey, a Ai piani bassi di Margaret Powell. I signori Bening non denunciano il
loro inquietante inquilino un po’ perché hanno paura di tornare alla miseria,
un po’ per riconoscenza e soprattutto perché è un gentiluomo. Per questo Ellen fin
dall’inizio decide di accoglierlo riconoscendolo tale dalla pronuncia e dal
modo di fare malgrado sia privo di bagagli e di aspetto un po’ equivoco, per
questo non se la prendono per le stranezze e sono sempre pronti a compiacerlo.
La upper class si sa che è sempre un
po’ eccentrica. E non è facile capire dove finiscono l’avidità e la necessità e
dove comincia la fatalistica accettazione delle differenze di classe che fa degli
inglesi, in alto e in basso, dei grandissimi snob. Infatti, politicamente il signor
Bening è un conservatore convinto. Traduzione di Rosalia Coci. Il mantello di
Inverness che il pensionante indossa e viene nominato sovente, è un mantello
con la pellegrina, per intenderci lo stesso di Sherlock Holmes. Il pensionante ha avuto cinque
trasposizioni cinematografiche tra il 1927 e il 2009.
Marie Belloc Lowndes, di padre
francese e madre inglese, nacque a Londra e trascorse la giovinezza in Francia;
appartenente a una famiglia ricca di celebrità (il fratello, Hilaire Belloc, fu
un famoso poeta e scrittore cattolico) fu scrittrice prolifica e di successo
fino alla morte.
Queste due recensioni sono già apparse in questo blog, rispettivamente il 14/5/2013 Celia Dale (Le dimenticate, 4) e il 21/5/2013 Marie Belloc Lowndes (Le dimenticate, 5).
6 commenti:
Le tue recensioni sono di per sè delle cose belle da leggere. Dovresti raccoglierle tutte e pubblicarle come si fa con i racconti!
Ciao ... Caterina
Grazie Caterina! È che amo i libri, e se sono belli vorrei che tutti lo sapessero e li leggessero... :-)
Un'opzione, presto un'opzione... voglio ASSOLUTAMENTE le tue rece per LN!!! Grandiosa quella su Celia Dale ma comunque molto molto buona anche quella a Marie Belloc Lowndes. Vai avanti così, hai un futuro come recensora.
Ahimè non ho più un futuro neppure come sguattera o lucidatrice di lombrichi... ;-) but please, my reces are yours. Ciao.
Ho scoperto ora questo blog, che mi sembra davvero carino. Credo che lo seguirò volentieri! Ora lo spulcio un po' con calma! ;)
Grazie @Chiara! Spero di ritrovarti presto su queste pagine.
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