AA VV, Le Maestrine
Nella
nuova e già amata libreria Il Ponte sulla Dora si possono fare incontri magici,
tra l’altro molti Sellerio d’antan (vedi il precedente post): e potevo farmi
scappare il succulento Maestrine – Dieci
racconti e un ritratto, che soddisfa in un colpo solo la mia torbida
passione per le antologie di racconti insieme alla fascinazione per l’altrettanto
torbido argomento? Domanda che più retorica non si può e infatti eccomi qua che
ne parlo. La prima osservazione è che le maestrine, che a me parevano tanto ricche
di possibilità trasgressive e pruriginose, in realtà stimolano esclusivamente
il sadismo, sia negli scrittori che nelle scrittrici. L’antologia, pubblicata
nel 2000 a cura di Vincenzo Campo, schiera lodevolmente cinque scrittrici
(Neera, Negri, Pariani, Prosperi, Serao) e sei scrittori (Di Giacomo, Dossi,
Moretti, Pirandello, Scerbanenco, Tozzi) e come si vede quasi tutti, con
l’esclusione di Scerbanenco e Pariani, molto lontani nel tempo. Certo anche
l’argomento è lontanissimo dai nostri giorni e forse privo di appeal per gente
più sensata di me. Sta di fatto che le maestrine qui narrate, raga sono una banda di
sfigatissime, votate senza eccezione alla zittellaggine non scelta e al
sacrificio, sbeffeggiate perché brutte e sole, compatite, destinate a morte
tristissima, e se proprio gli va bene, spettatrici silenziose di drammi altrui. Sono tutte ragazze di bassa estrazione o figlie di famiglie impoverite, ma il fatto che abbiano studiato e si siano trovate un'occupazione retribuita non è mai visto come promozione sociale, bensì come un ripiego o una condanna.
Si salvano quelle che abbandonano presto l’ingrato mestiere e quelle che si
limitano a dare lezioni in casa, attività evidentemente molto meno pericolosa dell’insegnamento
nelle scuole statali.
Si
comincia con Carlo Dossi, La maestrina d’inglese,
storia ironica e interessante sia per la lingua folle che oggi risulta anche un
po’ indigesta, ma curiosa, sia per il finale per una volta davvero
soddisfacente oltre che anticonformista. Neera è malignissima con Una lezione di lingua tedesca, in cui
conferma tutti i peggiori luoghi comuni sulle sue compagne di sesso; Matilde
Serao, Alla scuola, ci va giù pesante
con il patetico ma per una volta non è la maestra la vittima; Salvatore Di
Giacomo non si smentisce con una storia strappacuore, Quarto piano, interno 4, che come la precedente fa spuntare il
sospetto che le maestrine portino anche sfiga; la Maestra di campagna di Carola Prosperi è la più infelice di tutte,
sola in un villaggio dove piove senza requie e sfruttata dalla famiglia senza cuore,
con un destino che forse, a ben guardare, non sarà così tremendo come vorrebbe l’autrice;
Marino Moretti con un filino di perfidia si fa beffe delle illusioni di una
ultratrentenne che coltiva ancora sogni d’amore e forse riuscirà a realizzarli
grazie, nientepopodimeno, che a Edmondo De Amicis. Dispiace leggere La maestrina Boccarmè di Luigi
Pirandello, pieno di luoghi comuni, banalità e una visione delle donne che
toglie il fiato per angustia. Il racconto di Ada Negri, La cacciatora, è sicuramente il migliore per costruzione e
robustezza, e per una volta si vede una banda di donne allegre che si divertono
senza uomini, vengono tratteggiate figure davvero originali e piene di vita. Però
l’influenza dei racconti precedenti ci lascia con il dubbio che se non fosse
scappata in tempo, anche la simpatica maestrina poetessa che racconta quella
stagione giovanile sarebbe finita come le altre disgraziate. Su Giorgio
Scerbanenco e la Verità su una maestrina
stendiamo un pietoso velo: patetismo e sadismo vanno a braccetto in un
raccontino che non fa veramente onore al suo autore. E neanche Laura Pariani si
sottrae al luogo comune maestrina uguale sfiga, amore infelice, solitudine e
masochismo, e Le guerre di Ada, 13
novembre 1887 non convince né interessa. L’ultimo tocco, Un ritratto di Federigo Tozzi, è
perfidia pura: due pagine sgradevolissime, piene solo di disprezzo, tratte non
si capisce da dove. Ancora una volta una antologia mi ha dato più di quanto mi
aspettassi, regalandomi qualche ore di lettura molto istruttiva e ricca di
spunti di meditazione. Ci sarà qualche motivo per cui questa figura di donna
che lavora scatena associazioni mentali deprimenti così radicate che funzionano
a distanza di un secolo e oltre? Che nessuno riesca a ipotizzare che una “maestrina”,
mai chiamata semplicemente maestra, possa svolgere la sua professione e contemporaneamente
avere non dico una vita soddisfacente, ma almeno normale? Che tutti gli uomini
che si accostano alle maestrine siano seduttori senza cuore o zotici puzzoni? Che
accettando la prima nomina si firmi un contratto per l’infelicità a vita, se si
riesce a sopravvivere? Evidentemente gli scrittori davanti a una figura così proverbiale
non si vergognano neanche di fare ricorso ai luoghi comuni più sputtanati e si
abbandonano a uno sfrenato sadismo.
In conclusione, ragazze, mi raccomando non fate le
maestre: e se proprio volete farlo, non venite poi a lamentarvi, vi avevamo
avvertite.
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