giovedì 21 aprile 2011
Alan Bennett, Una vita come le altre
Ho molto amato altri libri di Alan Bennett (così a memoria, soprattutto La sovrana lettrice, La cerimonia del massaggio, Signore e signori) e anche questo l'ho trovato un bel libro, anche se molto diverso dalla maniera frizzante e spiritosa che contraddistingue l'autore. Qui siamo piuttosto nel campo della sobrietà che confina facilmente con la depressione. Almeno questa è l'impressione che mi ha lasciato, a lettura finita, Una vita come le altre. Forse non tutti i ricordi d'infanzia sono condivisibili senza il rischio di annoiare chi ascolta o legge. Il fatto è che quasi tutti hanno avuto almeno un paio di nonni/e, di genitori, zii e zie, fratelli ecc; e chi non li ha avuti, forse non è interessato a ascoltarne le storie, a meno che non cerchi rassicurazione sul fatto che è stato veramente fortunato fin dall'inizio. Ci vuole qualcosa che renda unico o universale il parentado altrui per farcelo sorbire. Quello di Alan Bennett secondo me non lo è. O almeno, rinunciando alla sua scrittura spiritosa e pungente, rinuncia a farcelo apparire tale. Figlio di un macellaio introverso e molto composto e di una casalinga gravemente depressa che trascorre anni dentro e fuori dalle cliniche psichiatriche, precocemente intelligente, studioso e esibizionista, Bennett cresce a Leeds in una normale famiglia piccolo borghese. Ci narra di suo padre e di sua madre, delle due sorelle della madre, di un segreto, il suicidio del nonno materno, gelosamente custodito per anni e scoperto per caso, delle gite e dei Natali, degli ultimi anni della madre in una casa di riposo anticamera della morte (indimenticabili le inservienti euforiche e affettuose). Forse a lui ha dato molto scriverne, forse è una specie di risarcimento o omaggio alla famiglia, ma ha me non ha lasciato molto. La parte dedicata agli ultimi anni della madre mi ha fatto pensare, per contrasto, a quanto mi aveva coinvolto un libro pur distaccato e minimalista come Ricordi di mia madre di Yasushi Inoue. Certo Una vita come le altre si fa leggere, è pur sempre l'opera di uno scrittore notevole, ci dà uno spaccato dell'Inghilterra dagli anni '30 agli anni '70 acuto e interessante, rappresenta in punta di penna dei caratteri che più british non si può. Ma forse un eccesso di britannico aplomb lo rende un po' freddo, forse, a dirla tutta, un po' depresso e deprimente.
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