martedì 30 giugno 2015

Se andando in spiaggia non avete voglia di portarvi dietro cervello e attenzione, questa è la scelta giusta: Marco Malvaldi, La briscola incinque

Non avevo mai letto un libro di Marco Malvaldi, e non credo che ne leggerò altri. So che ha avuto molto successo con la trilogia del BarLume, di cui La briscola in cinque è il primo atto, e capisco bene il perché.
In effetti la prima parola che mi viene in mente per definirlo è "semplicità". Una trama semplice, quasi elementare, che non suscita il minimo interesse né sollecita la curiosità, personaggi bidimensionali appiattiti sulla macchietta vernacolare o sullo stereotipo molto frequentato; si va avanti perché in contemporanea si può fare le parole crociate, o seguire messa, o baciare il moroso, o tenere una lezione di uncinetto.

L'autore punta tutto sulla scrittura frizzante, sulla quale però ho molte riserve: piena di frequenti e fastidiose ripetizioni, espressioni goffe che vorrebbero far sorridere imitando scritture alte (vedi l'accenno a Ishiguro), tautologie imbarazzanti (annuì con il capo, simulò finta indifferenza), ironia spesso un po' scolastica, nell'insieme una certa sciatteria. Non succede niente "in scena", tutto viene riferito in lunghi dialoghi piuttosto stucchevoli perché le spiritosate dei frequentatori del bar, del "barrista" ecc ecc diventano immediatamente maniera, e alla fine più che a un frizzantino o a un caffé fa pensare a una gazosa tiepida.

L'ambientazione è ovviamente un bar, a Pineta, paesino del litorale toscano, gestito da Massimo, trentenne single e di lingua ruvida, mentre tra i clienti fissi spiccano quattro ultrasettantenni variamente caratterizzati da diabete o tabagismo che giocano a carte, si esibiscono in malignità verbali e discutono di quello che capita in paese. Una ragazza viene trovata morta in un cassonetto e il coinvolgimento dei cinque avviene tutto attraverso le chiacchiere; ovviamente la soluzione verrà proprio di lì.

Probabilmente si capisce che non sono impazzita per La briscola in cinque. Però l'ho letto, magari con un occhio solo ma velocemente e senza annoiarmi. Penso che non lo consiglierei a un amico per fargli un piacere ma lo consiglio senz'altro a chi (e in mezzo ci sono anch'io certe volte) vuole leggere qualcosa di superleggero, che non lo impegni più di una patatina gusto pizza (anzi schiacciatina data la collocazione geografica), sorridente malgrado la sfumatura gialla e accogliente come il BarLume. Non c'è mica da vergognarsi, basta non farsi troppe aspettative. E magari gli altri libri di Marco Malvaldi sono molto meglio, questo in fondo è il primo.
Un avvertimento: se vi viene in mente Andrea Camilleri per via dell'ironia, dei dialoghi e soprattutto dell'inserimento del dialetto, scordatevelo subito. Tra i due autori c'è la stessa differenza che nel linguaggio volgare si esprime con un paragone con il risotto (e qui, ovviamente, non è di risotto che si parla).

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