Tre lunghi racconti. Storie molto diverse tra loro: la prima, ambientata in un tempo e in un contesto risconoscibili, le altre due invece in contesti e tempi apparentemente lontani e fantastici, ma in realtà densi di sentimenti e situazioni che sanno parlarci e comunicarci emozioni.
Dorata dei pipistrelli
La carovana, procedendo verso occidente, giunse in vista della cità al tramonto. La cittadella si stagliava scura contro il cielo infuocato, e nelle case raggruppate ai suoi piedi si accendevano i primi fuochi: il fumo azzurro ristagnava come nebbia attorno alle palme dei giardini. Il sole rimase appeso per un attimo proprio in cima alla torre più alta, fece brillare una cupola di rame, poi sparì lasciando un luccichio negli occhi dei viaggiatori.
La principessa scostò le tendine di cuoio dipinto del carro e chiamò il servitore che le cavalcava accanto.
– E' questa la Dorata?
– E' questa.
– Voglio scendere dal carro per vederla meglio.
Mise il piede calzato di sandali rossi nella mano che si sporgeva per aiutarla e balzò a terra. Di fianco alla pista c'era un accampamento di pastori che si affaccendavano attorno ai fuochi, soffiando sulle braci, mentre i bambini rimestavano con vigore nei pentolini. Una fila di donne con degli orci sul capo tornava dalla fontana. Tutti, uomini, donne e bambini, si affollarono attorno al carro per vedere la principessa, con il suo bel vestito di velo rosso impolverato e le trecce nere lucide di sudore, che strizzava gli occhi per guardare la cittadella murata e irta di torri.
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Il gioco della masca, Filema, Napoli 1997
Il gioco della masca, Mezz'anguria, La veglia della ragione, sono i tre racconti che compongono questo libro assolutamente sorprendente per la potenza immaginativa e la trama narrativa che spazia dalla fiaba crudele alla storia di un amore freak alla parodia del conte philosophique illuminista. Tre racconti morbosi che avvincono il lettore con la leggerezza della scrittura e l'accompagnano in un mondo sensuale, fantastico e concreto.
Bolzaretto Superiore si trovava nella pianura più piatta, presso un'ansa del Po, e le montagne lo guardavano serenamente da lontano, loro sì infinitamente superiori alla punta del suo campanile e alla torre del castello. Però Bolzaretto aveva anche una sporgenza naturale, non dovuta ad alcun intervento dell'uomo, un foruncolo roccioso che rompeva la monotonia dei campi di meliga e dei filari di pioppi e salici: un masso erratico. Grosso, grigio e rugoso, se ne stava vicino a una stradina sterrata, proprio di fronte al pilone della madonna del rosario; da una spaccatura che lo attraversava dall'alto al basso si vedevano uscire le salamandre gialle e nere nei giorni di pioggia.
Sul masso erratico abitava una masca, anzi, la masca di Bolzaretto. Tutti gli abitanti del paese l'avevano vista una volta o l'altra, chi all'alba chi al tramonto, chi alla luce fredda della luna in una notte di settembre, chi nel tremolio canicolare di un mezzogiorno d'agosto, chi tra i lampi e i tuoni e lo scrosciare della pioggia di un temporale di marzo, chi nella nebbia azzurra di una sera d'ottobre o in quella grigia e spessa di una mattina di gennaio, chi tra il garrire delle rondini e il profumo di sambuco di una sera di maggio. A differenza della maggior parte delle masche, non appariva come una vecchia orrenda né come una capra che parlava o un cane con gli occhi di fuoco, anzi, aveva un aspetto dei più gentili e accattivanti. Era una creatura sul finire dell'infanzia, più bambina che maschio, con i capelli quasi bianchi, corti e crespi, gli occhi così chiari che sembravano fatti d'acqua, la pelle appena rosea, non del roseo sano e splendente dei bambini di campagna, ma come se si vedesse scorrere il suo sangue attraverso una pellicola trasparente che non riusciva a ripararla dall'aria e dal vento. Stava sempre sul masso; certe volte danzava sulla cima, altre sgusciava dentro e fuori dalla spaccatura come una biscia, oppure sedeva pensierosa con i piedini nudi che dondolavano assorti, o, sdraiata su una sporgenza, si reggeva il capo con la mano e guardava malinconicamente i campi e i sentieri. Qualcuno l'aveva anche sentita cantare, con una vocina sottile sottile, una canzone senza parole. Nessuno riusciva mai a ricordare se portava vestiti, e quali.
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Est di Cipango, Filema, Napoli 1998
Tre racconti biografici in cui si intrecciano i destini di tre personaggi che per un solo fugace momento hanno incrociato le loro vite. Amedeo, nobile esule dall'Italia prerisorgimentale, imbarcato su una nave che lo porterà verso un'isola senza nome. Chiaffredo è un marinaio di quella nave; il suo viaggio si interrompe in India, nel ventre caldo e umido di una terra sconosciuta tra avventure agghiaccianti, corpi accoglienti di donne senza nome, corti di maharajah. Maria abbandona tutto per amore di Teodoro e lo segue in Grecia. Estenuata dalla passione per il suo uomo, si lascia lentamente risucchiare da una vita che non le appartiene.
5 settembre 18**, da qualche parte sull'oceano fuori dello Stretto di Gibilterra
Sono ormai più di dieci giorni che siamo in mare. Finalmente la confusione e la tensione delle ultime settimane si stanno allontanando e posso cominciare il tentativo di mettere un po' di ordine nei miei pensieri. Sono stanco e inquieto, ma sono anche contento di essermi lasciato tutto alle spalle: quando abbiamo varcato lo stretto e ho visto svanire l''ultimo lembo di costa europea, sono scoppiato a ridere pur senza essere affatto allegro. I marinai mi hanno guardato come si guarda un pazzo, con paura e un po' di compassione. Non sanno nulla di me, e quelli che mi conoscono per me sono come morti: questo mi dà una sensazione di libertà illimitata.
Proprio perché sono solo in mezzo all'oceano tra un equipaggio di sconosciuti, ho deciso di tenere un diario...
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Ragazza brutta, ragazza bella, Filema, Napoli 1999
Divertenti, surreali, incredibili, tra una Torino fantastica e Bolzaretto Superiore, paesino inesistente più vero del vero, si dipanano le avventure di un gruppo di personaggi straordinari: Samantha che dipinge la città, Vana Gloria e Maso Sadomaso che la danzano, i Danzatori della Notte, i Custodi del Museo, Désirée la manager di se stessa, Adelina Fang "Miss Graffione", barboni, sindaci preti e molti altri. Tra Natali in cascina, feste di paese, amori, abbandoni, concorsi, giardini esotici, la realtà si trasforma a ogni pagina come in un coloratissimo caleidoscopio trascinando il lettore in un vortice di allegria e sorprese.
C’è una luna enorme, gialla, quasi immateriale, che galleggia nel cielo blu pervinca occupandone la metà. Pare fatta di bollicine di champagne o di burro fuso o con una pasta di meliga sbriciolata. La sua luce è così affabile che sembra scaldare, non è bianca ma è dorata, non è netta ma è diffusa, non crea ombre, si posa come cipria su un folto berceau di rose rampicanti dalle foglie scure e lucide, disseminato di fiori bianchi a petali fitti. Sicuramente sono rose molto profumate. Sotto il berceau una ragazza nuda è stesa su una panchina di pietra, nella posa di una Venere cinquecentesca, un braccio piegato a sostenere il capo, l’altro abbandonato sul grembo, non si sa se per pudicizia o per toccarsi un po’. Il suo corpo è color avorio antico, la sua faccia rotonda è come un piccolo riflesso della luna nel buio. I capelli non si distinguono, ma il pube è un perfetto triangolo scuro. Ai due lati del berceau si vedono spuntare leoni, tigri, orsi, pantere, il muso girato verso la ragazza, le zanne umide che luccicano, gli occhi spalancati con un puntino giallo in un angolo che è la luna. I corpi, in ombra, si confondono con il buio del giardino; sono tutti accovacciati, con il muso appoggiato sulle zampe anteriori, tranne un lupo dritto e proteso come un cane alla punta. Il prato davanti alla panchina è cosparso di corolle bianche e arancioni; sull’erba, un nastro di raso azzurro cui è attaccata una croce di diamanti, che luccica mitemente alla luce lunare. La scena potrebbe intitolarsi “La croce smarrita”; e infatti proprio queste parole sono incise sulla targhettina d’ottone avvitata alla cornice dorata. Dietro c’è una parete coperta di damasco cremisi.
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Irene a mosaico, Avagliano, Cava de' Tirreni 2000
Un romanzo incentrato sulla figura di una donna, Irene, ricostruita come con le tessere di un colorato mosaico: incontri, episodi, sogni, luoghi, false piste e vicoli ciechi, emozioni, bugie si conpongono alla fine nel disegno unitario della sua esistenza, fitta di storie e personaggi. Irene è una donna dei nostri tempi che percorre la sua strada a occhi splancati e sensi all'erta, sperimentando quello che la vita le offre, attenta alla realtà e agli altri ma capace di abbandonarsi alle proprie ossessioni, trascinando il lettore nella danza dell'infinita varietà dei casi umani.
Si rese conto di colpo, mentre sorseggiava il caffè, che era impossibile continuare a vivere rincorrendo l’amore. Sapeva che quel momento esisteva, che prima o poi arriva per chiunque viva abbastanza a lungo, ma non aveva mai davvero creduto che sarebbe successo anche a lei.
Era una primavera precoce, calda come l’estate. Sul terrazzo illuminato dal sole mattutino api e calabroni ronzavano già attorno alla gloriosa fioritura del glicine. Il profumo cominciava a spargersi in spire e volute quasi palpabili. Irene si toccò gli avambracci. Molli. Si ravviò i capelli. Aridi. Nell’angolo degli occhiali da sole si specchiavano due ventaglietti di rughe. Alzò le mani davanti al viso, le dita aperte e distese. Mani inequivocabilmente invecchiate, a dispetto di ogni crema.
Eppure... Scrollò le spalle, si versò un’altra tazza di caffè. Un’ape ingorda si posò sul bordo, attirata dallo spolverio di zucchero. Irene l’allontanò con un gesto, ma quella tornò subito.
– Stupida bestia. Con tutti quei fiori, c’è bisogno di rubare il mio caffè?
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La lametta nel miele, Filema, Napoli 2005Tre racconti di donne che parlano di amore, amicizia, dolore e serenità. In Bona e il partigiano la condivisione di uno spazio ristretto con un giovane partigiano ferito porta la protagonista, donna spigolosa e disincantata, a fare scoperte fuori e dentro di sé; La lametta nel miele, ambientato negli anni '50 narra la competizione di due giovani innamorati di una donna più matura, della sensualità che non conosce divieti e della vita che incalza; Freya è la storia dello strano incontro tra due donne diversissime e della loro precaria ma ostinata ricerca delle felicità nel nostro tempo ansioso e inquieto.
Ero sicuro che il garzone della panetteria fosse innamorato di lei. Bastava vederlo quando fermava la bicicletta mettendo un piede a terra, trafelato, una pioggerella di sudore sulla fronte tenuta sgombra dalla retina. Aveva occhi a mandorla in un viso magro, zigomi alti e il naso a becco. Magari sarebbe stato anche bello se avesse potuto permettere al ciuffo nero e lucido di planare ondoso sulle sopracciglia. Così, povero ragazzo, era solo un po' ridicolo, sempre bianco di farina, con quei polpacci sottosviluppati malgrado il gran pedalare che faceva su e giù per il paese. Però aveva un buon odore. Dalla cesta agganciata al manubrio venivano effluvi di pane appena sfornato, mischiati al sudore e alla fragranza della camicia di bucato. Devo ammettere che questo era un punto decisamente a suo favore.
Guarda caso, quando lei entrava in panetteria lui era sempre lì a riempire la cesta. Invece di ripartire subito ciondolava, blamblinava, lanciava battute alla signora Ciocatto che a sua volta gli lanciava occhiate feroci.
– Tre chili di biove alla Trattoria della Corona Grossa, due alla signora Fedele, cinque di banane all'olio all'asilo, svelto che è tardi.
Come se ci fosse bisogno di ripetere tutti i giorni il rosario delle consegne, le conosceva benissimo. Mi faceva pena la sua ansia di farsi notare, il gesto furtivo con cui si asciugava la fronte con il dorso della mano.
Lei, niente. Tutta composta nel tailleur beige, il manico della borsetta al gomito, comprava otto biove e due pesche per le bambine. Contava i soldi e li lasciava sul banco con una smorfia all'angolo della bocca, come se le desse fastidio toccare i biglietti sporchi e cincischiati malgrado i guanti di pelle marrone. La signora Cioccatto porgeva le brioche alla marmellata alle bambine che se le cacciavano in bocca immediatamente. A me parevano più culi rosati che pesche.
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Due personaggi femminili, Bea e Gloria, si incontrano nel primo racconto che dà il titolo alla raccolta: la giovane Bea deve intervistare Gloria, matura e famosa giardiniera che nasconde il rosso della passione nel bianco dei fiori; nel secondo, Vecchia signora indegna, Gloria fa i conti con i mutamenti esterni del tempo che trascorre e la permanenza dell'identità interiore, nella cornice umida e sontuosa di Goa; in Gli stivali delle sette leghe Bea deve trovare un equilibrio tra la felicità del possesso e l'angoscia della perdita, proprio sembra di avere raggiunto un traguardo sicuro.
Era una fresca mattina di metà
maggio, la prima soleggiata dopo settimane di piogge. La campagna sembrava
presa da un'improvvisa euforia. Il verde rutilava e brillava e si pavoneggiava
senza il minimo ritegno. Le gaggie esibivano i loro grappoli bianchi come
offerte speciali, i maggiociondoli competevano con una variante in giallo,
lungo i fossi fiorivano già i papaveri di un rosso spudorato, i sambuchi
rimediavano alla modestia dei loro ciuffi incolori con un profumo da sbronza.
Dalle colline scendeva a folate l'odore di sperma, marcio e languido, dei fiori
di castagno, le rondini si sfrenavano a stridere e roteare nell'azzurro ancora
pallido, esaltate dalle esalazioni umide della terra che si offriva, grassa, nera e sensuale,
all'abbraccio finalmente virile del sole.
Nei
paesi c'era poco movimento. Qualche donna sbatteva stracci alla finestra, i
negozianti aprivano le botteghe con calma, tirando fuori cassette di verdure ed
espositori di riviste e cartoline. Nelle piazze, i banchi dei mercati erano già
pronti, gli ombrelloni aperti e la merce esposta, ma non c'era ancora nessun
compratore. I bambini, rapiti dagli scuolabus, erano invisibili. Ma da tutti i giardini, nascosti
da muri di mattoni od offerti allo sguardo da reti metalliche e cancellate di
ferro, un profluvio insensato di rose si riversava sulle strade. Rose grandi
come cavoli, rosse, dall'odore scuro e violento, rose gialle rampicanti come
ladri carezzevoli, rose rosa a ciuffetti, bianche a cascata, arancioni robuste
come fiamme, crema, paglierino, pallide come guance d'inverno o accese come
dopo una passeggiata in montagna, invadevano la breve freschezza del mattino
con sbuffi e cenni e sospiri e aliti di profumi.
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Trilogia delle donne virtuose, Progetto Alga 2010
La Santa, La sorella, La sposa: una rivisitazione ironica e paradossale di tre cliché in cui vengono spesso imprigionate le donne. Isabellina percorre l'Europa tra i pellegrini di un Medioevo pieno di sorprese e incontri, diventando una santa sui generis; Velleda, nel Seicento degli attori girovaghi, è sposa e vedova bambina, e infine soprattutto sorella; Miranda cerca marito in pieno Risorgimento, e non è affare da poco. Tre donne forse non proprio virtuose, ma certo piene di risorse e molto divertenti.
Tra le non molte glorie locali di Bolzaretto Superiore, c'era anche una santa: Santa Isabellina da Bolzaretto, appunto. La sua immagine si poteva ancora vedere nei resti di un affresco che decorava una cappella romanica, poi rimaneggiata con una bifora gotica, unico resto della costruzione originaria della chiesa barocca di San Rocco, che sorgeva proprio di fronte al castello, anch'esso più volte rimaneggiato, in cui era vissuta Isabellina. La santa era rappresentata di profilo come una fanciulla bionda, con lunghe trecce che le circondavano il capo scoperto, inginocchiata; vestiva una tunica rossa a fiori d'oro, con maniche aderenti, e un mantello azzurro scuro; nelle mani teneva qualcosa che poteva essere un messale, o una teca (in quel punto l'affresco era particolarmente scrostato) e un bordone da pellegrina: l'agiografia ci dice infatti che fu una grande viaggiatrice. L'unica parte del castello che risaliva ai tempi di Isabellina era il torrione rotondo e merlato, intorno al quale anche allora le rondini volavano al tramonto, stridendo come folli. Non era una santa molto famosa né venerata, nemmeno a Bolzaretto; pochi dei fedeli che frequentavano la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine sapevano che era rappresentata in un quadro barocco molto scuro alla destra dell'altare maggiore. Tuttavia, era una santa interessante.
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Tutte le versioni digitali delle opere cartacee di cui sopra, e inoltre
Racconti fantastici e del margine, 2012
Gatta, Topina e Buon Anno
Stracchi come gelati in giugno, Massimo, Gigi e Fede trascinavano gli zaini sulle spalle ingobbite. Rassegnati. La testa tutta presa da quello che sarebbe successo dopo, al momento dolce della libertà, finita la visita didattica al Museo Egizio. La quinta nella loro carriera scolastica.
– McDonald’s a un isolato. Ce li avete i soldi, ragazzi?
– Trentamila in saccoccia, in biglietti da mille, regali di parenti vari. Con la storia che questo è l’ultimo Natale della lira poi ci tuffiamo nell’euro, sto tirando su un sacco di moneta. Tutti mi sbolognano gli spiccioli, sono diventati generosi all’improvviso.
– Io arrivo a cento liscio liscio. Mia mamma si è pentita di fare la cresta sulla spesa e mi ha infilato in tasca un rotolino di diecimila. Credo che abbia una crisi di onestà natalizia.
– Meglio, io tra regali e pizze sono sceso a quota cinquemila. Conto su di voi.
Fecero la fila ordinata per mollare zaini e piumini al guardaroba, ricevettero il biglietto dalle mani della professoressa, crearono un vortice di schiamazzi attorno all’usciere punzonatore, nella sala d’ingresso si incollarono alla teca della prima mummia, nuda biotta e rannicchiata sulla sabbia come un neonato in culla.
Naturalmente tutti a commentare gli attributi mummificati. Delle professoresse una ridacchiava, l’altra faceva finta di non capire. Il professore di ginnastica si era già imboscato dietro a un mostruoso faraone di granito rosso a fare cip e ciop con la supplente di diritto. Massimo provò svogliatamente a baccagliare una squinzietta di seconda con i capelli zozzi e il pancino all’aria malgrado il gelo, ma lei continuava a stridere con le amiche senza manco rispondergli. Dopo poco nelle gallerie popolate da testoni e gamboni e piedoni, sfingi e massi di pietra incomprensibili c’era un casino totale. Tre classi per un totale di settanta ragazzi tra i quindici e i sedici anni, controllate da quattro professori di cui due fuori uso, erano troppo persino per la faccia di cane di Anubi. I custodi, occupatissimi a leggere il giornale, fingevano di non vedere e non sentire.
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Il cuore in ballo, 2014
Romanzo a passo di danza, edizione solo digitale
Dove si comincia
Sorvolando a bassa quota un angolo di questa Terra
(diciamo l’angolo in alto a sinistra della carta d’Italia) si scoprono di certo
molte cose interessanti. Ma io, dal mio limitato punto di vista, non riesco a
vedere granché. Un paesino in pianura, piccolo e trascurabile, difficile da
individuare d’inverno per la nebbia che lo ricopre, d’estate per la nuvola di
mosche e zanzare che gli ronza intorno. Una ragazza con i capelli corti e i
gomiti a punta, i piedi ballerini e il cervello un po’ sonnacchioso. Non molto
per imbastire una storia, ma è tutto quello che ho. Intorno, il vasto mondo e
un brulicare di gente. Che inevitabilmente restano fuori dalla vicenda.
Ragazza
e paese distano qualche decina di chilometri. Poi il paese si anima, la ragazza
si muove e lo raggiunge. Comincia così.
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Gli anni al sole
Il giovane Alain fa una promessa alla madre morente che lo caccerà in
uno spinoso labirinto di segreti, misteri, menzogne e false piste. La
necessità di provvedere alle tre sorelle minori lo porta nell'isola
greca di Chios, parte dell'Impero ottomano (siamo nella seconda metà
degli anni '80 dell'Ottocento), dove, tra molti altri incontri, fa la
conoscenza con le tre belle e pericolose sorelle Kalojannis, che lo
coinvolgeranno in eventi tragici e complicati che Alain affronta con la
coscienza di non capire le donne, ma subendone il fascino e la volontà.
Un po' romanzo di formazione, un po' feuilleton, una storia piena di
avvenimenti che costringe il lettore a cambiare continuamente
prospettiva, proprio come il protagonista. Per concludere con le sue
parole: "Tutte queste donne. Maledetta Eva e la sua mela, e benedetto il
loro dolce seno, le labbra morbide, i fianchi frementi, il resto che
non nomino."
– Sì, – disse la guardiana
delle sedie, – certo, ricordo quella signora. La vedevo spesso, era gentile,
molto generosa.
Si fermò, chiuse la bocca
ermeticamente poi rimase a guardarmi senza espressione. Non ci misi molto a
capire.
– Oh, a proposito, non si
offenderà se le faccio un piccolo regalo. Parlare mette sete, magari le farà
piacere un bicchiere alla mia salute.
Mi diede un’occhiata
melanconica, ma afferrò la moneta e se la infilò sotto lo scialle.
– Eh, io non bevo proprio,
sa. A casa ho un vecchio paralitico che dipende da questi quattro soldi che
guadagno. C’è già nostro figlio che beve per tutti e tre.
Non avevo nessuna voglia di
sentire la storia dei suoi guai. Era un gran fastidio sussurrare per non
disturbare il silenzio della chiesa, e l’impazienza mi divorava. Sedetti su una
delle sedie impagliate mentre lei continuava a scrutare la penombra nel caso
arrivasse qualche devoto mattiniero. Mancava solo mezz’ora alla messa delle
otto.
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Racconti in antologie
Leggendaria - Torino, 2003
La mia città senza grazia, Empirìa 2004
Le Figlie di Chtulhu, Dagon Press 2009
HOTell, WhiteFly Press 2014
Fata Morgana, antologia di racconti supplemento a LN-LibriNuovi, 2-1998, 3-1999, 4-2000, 5-2001, 6-2002, 7-2003, 8-2004, 9-2006, 11-2009
ALIA, antologia di racconti fantastici, 2004, 2007, 2011, 2014
Ho collaborato con le riviste LN-LibriNuovi e Sagarana
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Gli anni al sole, Buckfast Edizioni, Torino 2016 lo trovate qui
Ecco gli Anni al sole in carta e inchiostro, grazie alla fiducia dell'editrice Elisa Labanca e delle sue Buckfast Edizioni.
Il romanzo si svolge in uno dei posti che amo di più, l'isola greca di Chios, nella seconda metà dell'Ottocento, un po' a Londra e un po' nella Francia del nord. Termine ante quem, il 1881. Racconta di Alain, della sua fatica per essere all'altezza delle aspettative delle donne, dei guai tremendi in cui lo cacciano tutte quante, sorelle amiche e amanti, di lettere rubate (sì!), di agnizioni, delitti e tradimenti, canzoni e mastìcha. Eccetera eccetera. Non sono brava a fare riassunti. Un po' è un romanzo di formazione che parla della difficoltà di crescere e districare i sentimenti, della responsabilità, della necessità di capire il prossimo e l'amore, e un po' è un feuilleton dove ne succedono di belle e di brutte seguendo tutte le convenzioni del genere. Comunque è un romanzo unitario: niente divagazioni, inserti di racconti, false piste, con molti personaggi: Alain, il protagonista, Colin l'amico pieno di misteri, le sorelle di Alain lontane ma bisognose di protezione, le sorelle Kalojannis potenti e complicate, i grandi mercanti Mr Boyle e Kalojannis, Saskia la ragazza del nord, Sula che viene da Sebenico, Gherasimos il criminale fedele alle promesse, Lazarakis il ragazzino zoppo, e poi e poi...
Tutte queste donne. Maledetta Eva e la sua mela, e benedetto il loro dolce seno, le labbra morbide, i fianchi frementi, il resto che non nomino. Tutto quello che vorrei conoscere di Saskia e ancora mi è ignoto. Sono sul ciglio, forse precipiterò, forse rimarrò per sempre in bilico, dondolando a piedi fermi davanti al baratro del rischio senza rete che uomini e donne, per una volta d’accordo, chiamano amore.
Il cuore in ballo, Buckfast Edizioni, dicembre 2017
Lo trovate qui
Bolzaretto Superiore, presente in molte delle opere di Consolata Lanza, è un paesino inesistente ma più vero del vero, dalla precisa collocazione geografica nella pianura piemontese accanto al Po, dove succede sempre qualcosa di strabiliante. E questa volta si tratta dell’incontro tra Decembrina, la Donna di Pietra rappresentata in un capitello della parrocchia, e Angelica Gabrielli, ragazza ballerina di testa e di piedi.
Ne consegue una girandola di eventi in cui seguiamo le peripezie amorose e professionali della protagonista e le vicende dei personaggi che incontra: la magica Ginni Ballario, donna di enorme successo, e i boys che l’accompagnano, Jerry Vinzanola il ballerino del Bronx, le amiche di Angelica, i suoi svariati fidanzati, sua mamma, don Ferruccio, depositario di tutti i segreti di Bolzaretto Superiore, la perpetua Porzia Milletarì e molti altri le cui storie si intrecciano a passo di danza perché quello che Angelica vuole dalla vita è ballare.
Lo trovate qui
Bolzaretto Superiore, presente in molte delle opere di Consolata Lanza, è un paesino inesistente ma più vero del vero, dalla precisa collocazione geografica nella pianura piemontese accanto al Po, dove succede sempre qualcosa di strabiliante. E questa volta si tratta dell’incontro tra Decembrina, la Donna di Pietra rappresentata in un capitello della parrocchia, e Angelica Gabrielli, ragazza ballerina di testa e di piedi.
Ne consegue una girandola di eventi in cui seguiamo le peripezie amorose e professionali della protagonista e le vicende dei personaggi che incontra: la magica Ginni Ballario, donna di enorme successo, e i boys che l’accompagnano, Jerry Vinzanola il ballerino del Bronx, le amiche di Angelica, i suoi svariati fidanzati, sua mamma, don Ferruccio, depositario di tutti i segreti di Bolzaretto Superiore, la perpetua Porzia Milletarì e molti altri le cui storie si intrecciano a passo di danza perché quello che Angelica vuole dalla vita è ballare.
–
Tu capisci, Lori, una settimana intera senza dormire, tra amore, prove, amore,
quel minimo di tempo per mangiare e dare un'occhiata al giornale, poi di nuovo
amore, una volta siamo persino andati al cinema…
–
Quando dici amore, intendi sesso?
–
Ma che sesso! Era amore, estasi, purissimo elevarsi allo stato più alto
dell'essere. Compenetrazione di anime e corpi, fusione perfetta.
–
Quando dici compenetrazione, intendi penetrazione?
–
Lori, come fai a non capire? Hai mai scopato con qualcuno che riesce a
trasformare un banale coito in un'esperienza mistica?
–
No, mai. Io sono una ragazza abbastanza fortunata. Quelli con cui scopo io sono
brave persone, che prima si danno da fare poi gli viene voglia di due
chiacchiere, due tenerezze, un caffè, una sigaretta, al massimo un grappino o
uno spinello. Una volta uno ha voluto a tutti i costi andare a fare una
passeggiata notturna lungo il Po, ma al secondo tossico ha capito che era
meglio tornare indietro. Siamo andati in birreria e ha pagato lui.
–
Beh… –. Angelica si scompigliò i capelli cortissimi e si sfregò gli occhi
spargendosi il rimmel sulle guance. – Leo è diverso. Quando arriva è come se si
appropriasse della mia vita e ne facesse un cartoccio. Ma è un cartoccio pieno
di caramelle al miele.
Lori
la guardò ammirata.
–
E adesso, quando vi vedete?
–
Chi lo sa? E' impegnato con uno spettacolo a Parigi per un mese, poi andrà in
tournée. Io sono bloccata qui fino a settembre. Forse riusciremo a incontrarci
per qualche giorno, ma…
–
Ne avete parlato?
–
Oh insomma! Lori, certe volte mi fai proprio scappare la pazienza. Non è una
storia così, lasciamo tutto al caso, all'estro… Un giorno o l'altro mi telefona
o mi manda un'email e io salto su un treno e lo raggiungo.
–
E se sei tu a telefonargli?
Angelica
tirò fuori diecimila lire, agitò lo scontrino verso il cameriere e pagò il
conto. Ormai il loro tavolino era stato raggiunto dal sole e faceva troppo
caldo per rimanere nella piazza polverosa, dove le vampe di afa stingevano la
quinta di colline in una foschia giallastra.
–
Adesso devo andare, scusa. Ti chiamo io appena ho tempo. Non ti offro un
passaggio perché sono a piedi.
Ci
sono volte in cui anche le migliori amiche sono più simpatiche
nell'immaginazione che nella realtà. Angelica riconobbe che sarebbe stato molto
meglio ripassare i ricordi da sola, invece che cercare di riassaporarli in un
franco e intimo colloquio femminile.
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