
Comincio con il sì che riguarda un film e non un libro, cioè
Captain Fantastic di
Matt Ross con un ottimo
Viggo Mortensen. Storia interessante, che fa pensare, anche se grazie al cielo non si tratta di un film pensoso, anzi. Padre un sacco alternativo che alleva i figli nella foresta (sei, tra i diciotto e gli otto, maschi e femmine), abituandoli a ogni sorta di sforzo fisico anche estremo e nel contempo educandoli alla lettura "alta", allo studio delle scienze, alla discussione, all'approfondimento. Un po' inverosimile questa parte in effetti (il padre sembra un po' un superuomo onnisciente) ma i ragazzi sono felici, sicuri, capaci di cavarsela. Poi interviene qualcosa di inaspettato che li scaraventa nel mondo della modernità, con conseguenze varie e molteplici. Se non siete tanto pistini e riuscite a lasciarvi andare a seguire le vicende dei riuscitissimi personaggi e soprattutto chiudete un occhio sulla sdolcinatura dell'ultima mezz'ora, completa della frase che gli yankee dovrebbero adottare al posto di
In God we trust, cioè l'ormai indispensabile
Siamo una famiglia!, mi sento di consigliarvi vivamente
Captain Fantastic. Ha un grandissimo pregio, non è noioso. Neanche una volta ho tirato fuori di straforo il cellulare per guardare l'ora, e questo per me vuole dire moltissimo.
Il ni ha un'origine molto più insigne:
Jakob von Gunten di
Robert Walser. Pubblicato nel 1909, è una

sorta di diario di un tredicenne che, fuggito di casa, affida se stesso e tutti i soldi che possiede al direttore di una scuola molto particolare, l'Istituto Benjamenta, in cui ai ragazzi viene insegnato solo a non fare nulla. Oltre al direttore incontriamo sua sorella, Lisa, che fa l'insegnante, altri compagni di classe, in particolare Kraus, e un fratello di Jakob incontrato casualmente. Dei personaggi, continuamente osservati, Jakob fa descrizioni cangianti e fluttuanti, tenendoci avvinti alle sue parole spesso riflessive, pensose, sincere ma insieme poco affidabili. Non succede quasi niente, alcuni episodi sono quantomeno inesplicabili, e l'unica aspirazione di Jakob è di servire, imparare a servire, e questo gli insegnano all'Istituto Benjamenta. E' un libro ipnotico, scritto con leggerezza e precisione, che inchioda alla lettura pagina dopo pagina anche se i fatti sono scarsi e abbondano le riflessioni sulla vita e sulle persone. Il ni è dovuto esclusivamente al fatto che non ho capito il senso profondo della storia, la filosofia rinuciataria del personaggio, il significato della sua storia. Ma è un bel libro, se si riesce a affidarsi e lasciarsi andare alle parole.

Letto a dieci anni dalla sua pubblicazione (2006)
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di
Amara Lakhous non mi ha davvero conquistata. Forse avevo troppe aspettative o comunque molto diverse da quello che ho trovato. Capisco che il fatto che l'autore sia algerino e coraggioso, l'argomento siano i pregiudizi razzisti e le difficoltà dell'integrazione, la multietnicità e tutta la scemenza dei "cittadini perbene", abbiano suscitato giustamente interesse intorno al libro. Ma ciò detto, il risultato è molto modesto: i personaggi sono puri cliché anche linguistici (vedi la portinaia napoletana), il che rende i loro discorsi molto prevedibili e poco stimolanti. L'intreccio giallo poi è chiaramente posticcio, utilizzato giusto perché il giallo tira e è spendibile come strillo pubblicitario. Il personaggio di Amedeo, sicuramente l'invenzione più brillante del romanzo, si spegne poi tristemente nelle rivelazioni finali come una miccia bagnata. Pensare che la struttura a monologhi alternati offriva spazio a soluzioni divertenti o drammatiche a scelta. Comunque sono molto contenta che il romanzo abbia avuto successo, la letteratura italiana avrebbe tutto da guadagnare dall'apporto massiccio e multicolore di chi vede l'Italia e chi ci abita con occhi nuovi, come Amara Lakhous, quindi ben venga il favore del pubblico a
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, che ha avuto anche una
versione cinematografica.