martedì 27 dicembre 2016

Un sì, un ni e un no

Comincio con il sì che riguarda un film e non un libro, cioè Captain Fantastic di Matt Ross con un ottimo Viggo Mortensen. Storia interessante, che fa pensare, anche se grazie al cielo non si tratta di un film pensoso, anzi. Padre un sacco alternativo che alleva i figli nella foresta (sei, tra i diciotto e gli otto, maschi e femmine), abituandoli a ogni sorta di sforzo fisico anche estremo e nel contempo educandoli alla lettura "alta", allo studio delle scienze, alla discussione, all'approfondimento. Un po' inverosimile questa parte in effetti (il padre sembra un po' un superuomo onnisciente) ma i ragazzi sono felici, sicuri, capaci di cavarsela. Poi interviene qualcosa di inaspettato che li scaraventa nel mondo della modernità, con conseguenze varie e molteplici. Se non siete tanto pistini e riuscite a lasciarvi andare a seguire le vicende dei riuscitissimi personaggi e soprattutto chiudete un occhio sulla sdolcinatura dell'ultima mezz'ora, completa della frase che gli yankee dovrebbero adottare al posto di In God we trust, cioè l'ormai indispensabile Siamo una famiglia!, mi sento di consigliarvi vivamente Captain Fantastic. Ha un grandissimo pregio, non è noioso. Neanche una volta ho tirato fuori di straforo il cellulare per guardare l'ora, e questo per me vuole dire moltissimo.

Il ni ha un'origine molto più insigne: Jakob von Gunten di Robert Walser. Pubblicato nel 1909, è una
sorta di diario di un tredicenne che, fuggito di casa, affida se stesso e tutti i soldi che possiede al direttore di una scuola molto particolare, l'Istituto Benjamenta, in cui ai ragazzi viene insegnato solo a non fare nulla. Oltre al direttore incontriamo sua sorella, Lisa, che fa l'insegnante, altri compagni di classe, in particolare Kraus, e un fratello di Jakob incontrato casualmente. Dei personaggi, continuamente osservati, Jakob fa descrizioni cangianti e fluttuanti, tenendoci avvinti alle sue parole spesso riflessive, pensose, sincere ma insieme poco affidabili. Non succede quasi niente, alcuni episodi sono quantomeno inesplicabili, e l'unica aspirazione di Jakob è di servire, imparare a servire, e questo gli insegnano all'Istituto Benjamenta. E' un libro ipnotico, scritto con leggerezza e precisione, che inchioda alla lettura pagina dopo pagina anche se i fatti sono scarsi e abbondano le riflessioni sulla vita e sulle persone. Il ni è dovuto esclusivamente al fatto che non ho capito il senso profondo della storia, la filosofia rinuciataria del personaggio, il significato della sua storia. Ma è un bel libro, se si riesce a affidarsi e lasciarsi andare alle parole.

Letto a dieci anni dalla sua pubblicazione (2006) Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di Amara Lakhous non mi ha davvero conquistata. Forse avevo troppe aspettative o comunque molto diverse da quello che ho trovato. Capisco che il fatto che l'autore sia algerino e coraggioso, l'argomento siano i pregiudizi razzisti e le difficoltà dell'integrazione, la multietnicità e tutta la scemenza dei "cittadini perbene", abbiano suscitato giustamente interesse intorno al libro. Ma ciò detto, il risultato è molto modesto: i personaggi sono puri cliché anche linguistici (vedi la portinaia napoletana), il che rende i loro discorsi molto prevedibili e poco stimolanti. L'intreccio giallo poi è chiaramente posticcio, utilizzato giusto perché il giallo tira e è spendibile come strillo pubblicitario. Il personaggio di Amedeo, sicuramente l'invenzione più brillante del romanzo, si spegne poi tristemente nelle rivelazioni finali come una miccia bagnata. Pensare che la struttura a monologhi alternati offriva spazio a soluzioni divertenti o drammatiche a scelta. Comunque sono molto contenta che il romanzo abbia avuto successo, la letteratura italiana avrebbe tutto da guadagnare dall'apporto massiccio e multicolore di chi vede l'Italia e chi ci abita con occhi nuovi, come Amara Lakhous, quindi ben venga il favore del pubblico a Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, che ha avuto anche una versione cinematografica.  













giovedì 15 dicembre 2016

Il perfetto racconto di Natale: Gunnar Gunnarsson, Il pastore d'Islanda

Di Gunnar Gunnarsson  ho letto in tempi ormai preistorici L'uccello nero, pubblicato nella benemerita Medusa degli Italiani. Non ricordo la storia se non che c'entrava un tormentatissimo pastore protestante, ma ho ben presente l'impressione che mi fece la descrizione della cupa e gelata Islanda di cui a stento conoscevo l'esistenza. Da quando ho scoperto, grazie alla mai abbastanza ringraziata Emilia Lodigiani e la sua casa editrice Iperborea, le meraviglie e i piaceri della letteratura islandese, mi sono sempre ripromessa di rileggerlo ma alla fine è con Il pastore d'Islanda che è avvenuto il mio secondo incontro con Gunnar Gunnarsson.
 
Si tratta di un racconto lungo più che di un romanzo, che rappresenta una classica lettura natalizia nel paese d'origine dell'autore. Scritto nel 1936 in danese come tutte le opere di Gunnarsson, fu da lui stesso tradotto in seguito in islandese. La storia è semplice: il pastore Benedikt da ventisette anni suole partire, nel primo giorno dell'Avvento, alla ricerca delle pecore smarrite sulle montagne per riportarle in pianura e salvarle dalla morte certa. Insieme a lui il montone Roccia e il cane Leó costituiscono quella che i contadini delle pochissime case sparse nella campagna inospitale chiamano, di nascosto, "la santa Trinità". Viene accolto con molto affetto (implicito) perché il suo compito è nobile e dettato solo dal suo forte senso di responsabilità nei confronti degli animali, importantissimi e molto presenti in tutto il libro. Il suo rapporto con Roccia, il montone fondamentale per tenere insieme le pecore una volta trovate e convincerle a muoversi, è di enorme rispetto e considerazione. Le prime cure sono sempre per lui, per lui il fieno che Benedikt porta faticosamente in spalla su per le montagne. Anche Leó, che aiuta a scovare le pecore smarrite, è molto importante, ma il rapporto tra lui e il padrone è più paritario, cameratesco: si dividono il cibo fraternamente.

Il pastore Benedikt è vecchio (cinquantaquattro anni!) e forse non ha più la forza di quando ha incominciato a rincorrere le pecore sui monti nel più profondo dell'inverno. Ma il suo cuore è grande, la sua natura contempla la generosità e l'abnegazione, e forse qualcuno ne approfitta. Fatto sta che prima di riuscire a dedicarsi alla sua missione viene continuamente interrotto da gente che gli chiede un aiuto, per riportare in pianura le pecore che ha avventatamente lasciato al pascolo, o per ritrovare dei cavallini smarriti. Benedikt non si sottrae, sa che il suo compito è aiutare chi ha bisogno di lui, condivide con loro le sue scarse provviste e trascorre giorni preziosi nella tempesta e nella neve. La natura è l'altra grande protagonista del libro: ottusamente maestosa e potente, incomprensibile, matrigna ma talmente forte che non si può che inchinarsi davanti alle sue spaventose manifestazioni e, letteralmente, infilarsi in un buco sottoterra finché la tempesta non passa.

La fatica per non farsi abbattere dalla natura è titanica, ma Benedikt, il pastore che salva le pecorelle smarrite, assurge a livelli di sopportazione che ne fanno quasi un santo, quasi un Cristo in croce, inconsapevole e amoroso nei confronti dei suoi animali. Sembra che sia impossibile sopravvivere alle condizioni in cui si trova, e giusto per non farvi un dispetto non vi dico come va a finire. La perfetta favola di Natale, da leggere accanto a un camino scoppiettante mentre fuori il vento ulula, la neve turbina e nella casa si spande il grato profumo dei cibi festivi.
La curatissima edizione comprende un'interessante postfazione di Jon Kalman Stefansson (di cui ho più volte parlato su queste pagine) e una nota di Alessandro Zironi. Traduzione dal danese di Maria Valeria D'Avino.

domenica 11 dicembre 2016

Meglio fare il magazziniere da Wallmart o andare in guerra? Saïd Sayrafiezadeh, Brevi incontri con il nemico



Saïd Sayrafiezadeh, nato a Brooklyn 1968 da padre iraniano e madre ebrea americana, entrambi membri del Partito Socialista dei Lavoratori, è uno scrittore e drammaturgo statunitense. Oggi vive e lavora a New York. Nel 2009 ha pubblicato Quando verrà la rivoluzione avremo tutti lo skateboard per il quale nel 2010 ha vinto il Whiting Writers’ Award. Inoltre ha scritto numerose opere teatrali. 

Brevi incontri con il nemico è una raccolta di otto racconti estremamente interessanti e di gradevole lettura. I nomi dei protagonisti cambiano ma la voce dell'io narrante è sempre la stessa, un maschio giovane e solitario diviso tra un lavoro poco soddisfacente - cuoco in un fast food, fattorino, magazziniere in un Wallmart -, con abitazioni minuscole, lunghi tragitti in autobus quotidiani, la vita dei ricchi intravista solo quando assume l'incarico, non retribuito, di custode di una villa lussuosa, scioperi da affrontare, amori inarticolati o comunque incapaci di lasciare una traccia e un'unica possibilità di evadere: partire volontario per la guerra, con una ferma di un anno. Questa guerra generica e senza nome sta sempre sullo sfondo, con alterne vicende (un momento "vinciamo noi" e le perdite quotidiane sono insignificanti, uno o due dei "nostri" di fronte a centinaia dei nemici mentre "il loro uomo" è in fuga, un altro momento sono "loro" a vincere, il loro uomo torna e le "nostre perdite" aumentano vertiginosamente), una guerra che non ha bisogno di essere definita né spiegata perché dura da sempre e forse nessuno sa dove si svolge in realtà. Ma poi c'è la volta che ci si trova faccia a faccia con il nemico, e si fa quello che fanno i soldati, si spara e si uccide.

Sono racconti amichevoli, vite insignificanti raccontate senza mai alzare il tono, senza predicare né filosofeggiare, mettendo solo in fila i fatti e le considerazioni spicciole del protagonista, con una naturalezza sapiente e ammirevole. Per una volta non si sente quel gusto irritante di scuola di scrittura che rende molte opere provenienti dagli USA così fastidiose. Inoltre, per una come me che ama i racconti e apprezza moltissimo chi ha la capacità di scriverne, questo è un libro davvero soddisfacente e Saïd Sayrafiezadeh un autore da seguire. In Italia, purtroppo, i racconti non sono tenuti in nessuna considerazione, gli editori li evitano perché vendono poco, e gli autori di racconti sono considerati di serie b. Al meglio si pensa che siano una specie di imparaticcio, di allenamento per arrivare al romanzo (a me è capitato di sentirmi dire "sei stata bravissima a scrivere un vero romanzo" dandomi implicitamente dell'incapace o dell'impotente quando, come mi capita molto spesso, scrivo racconti). 

Ho letto in alcune recensioni un'interpretazione politica dei racconti di Saïd Sayrafiezadeh perché rappresentano una generazione senza speranze, e sono potenzialemente elettori di Trump. A me non interessa tanto questo discorso, e mi pare che i protagonisti di Brevi incontri con il nemico siano più rassegnati che incazzati, più chiusi nel loro piccolo mondo che aggressivi. Ma soprattutto non ne hanno bisogno per essere letti. Basta il fatto che questo è un bel libro, ben scritto e interessante. Vivamente consigliato.
Traduzione di Gioia Guerzoni. 

lunedì 5 dicembre 2016

Un autore spiritoso, un libro divertente: David Sedaris, Quando siete inghiottiti dalle fiamme

Che io amo David Sedaris lo dico e lo ripeto dal lontano 2004, quando mi sono imbattuta in Me parlare bello un giorno. Poi ho letto molti altri libri, Mi raccomando tutti vestiti bene, Holidays on ice, Diario di un fumatore, Bestiole e bestiacce, l'ultimo Esploriamo il diabete con i gufi e ognuno mi ha dato momenti di piacere intenso e senza controindicazioni. A renderli una lettura così gratificante contribuiscono molti fattori: l'autore, che parla sempre in prima persona, affabula da un brano, o racconto, all'altro, racconta sempre di sé ma non risulta mai né autocentrato né presuntuoso, anzi, con il suo occhio acuto, ironico, pronto a cogliere i dettagli grotteschi e umani insieme, è intensamante simpatico. Accumula particolari che gli permettono di partire da una situazione normale, quotidiana, e approdare nel più puro grottesco. Diverte, fa ridere e sorridere, senza mai ridicolizzare nessuno, senza essere maligno, anzi, dirigendo l'ironia principalmente su se stesso.

Protagonisti sono i suoi famigliari, soprattutto le sorelle Lisa e Amy e il compagno Hugh, ma prima o poi ci passano tutti. Sempre leggermente fuori posto, emotivo, agitato e pasticcione David, razionale, calmo, mai sorpreso Hugh, protagonista delle più assurde situazioni Lisa. In questa raccolta i primi racconti non sono forse i più brillanti ma sempre godibili, e man mano che si prosegue nella lettura diventano irresistibili. Il racconto che dà il titolo alla raccolta narra le sorprese, le gratificazioni e gli inciampi di un lungo soggiorno che David e Hugh fanno in Giappone, mentre Spazio fumatori tratta un argomento che appassiona l'autore (che si è trasferito in Francia perché vi si poteva ancora fumare dappertutto quando negli Stati Uniti vigeva già un rigido proibizionismo) cioè gli sforzi per liberarsi dal vizio del fumo.

Se non conoscete ancora Sedaris un po' vi invidio perché avete davanti a voi un gran piacere da scoprire. Magari, se non l'avete mai letto, meglio partire da Me parlare bello un giorno o Mi raccomando tutti vestiti bene, ma in realtà ognuno dei suoi libri vale la pena di essere letto per la grazia, il divertimento, la leggerezza e l'intelligenza con cui è scritto e che comunica al lettore con la stessa semplicità e naturalezza di una chiacchierata tra amici. 
Efficace traduzione di Matteo Colombo.