venerdì 23 maggio 2014

Il terzo volume della meravigliosa trilogia di Jón Kalman Stefánsson, Il cuore dell'uomo. Per fare un viaggio in un mondo affascinante e spaventoso.



La terza parte della trilogia che comprende Paradiso e inferno e La tristezza degli angeli è uscita all’inizio del mese, in tempo per il Salone del Libro dove l’autore Jón Kalman Stefánsson ha partecipato a un paio di incontri, e naturalmente mi sono precipitata a comprarlo. Con piacere rinnovato ho riconosciuto gli elementi che contribuivano al fascino dei primi due volumi, l’ambientazione favolosamente indeterminata nel tempo e concretissima nello spazio di quel perfetto luogo dell’immaginario che è l’Islanda, la prosa ritmata (che ricorda molto Josè Saramago), poetica e ricca di sorprese, la felicissima traduzione di Silvia Cosimini, le montagne, il mare, il buio e la luce, il dolore, la fatica, la voglia di vivere nonostante tutto. 

Ma se in Paradiso e inferno il centro di tutto era il mare, il luogo dove i pescatori rischiavano tutti i giorni la vita mentre sul fondo gli annegati facevano da coro alle vicende umane, e La tristezza degli angeli era incentrato sul viaggio, l’impresa quasi disumana di valicare le montagne che cadono a picco sulle acque nere e nascondono nelle sperdute case che le punteggiano  piccoli brandelli di umanità non si sa se più folli o più eroici, Il cuore dell’uomo si svolge tutto nel Villaggio senza nome, ottocento anime davanti al grande fiordo dove arrivano velieri islandesi e stranieri, e i primi piroscafi a vapore, e tutti si danno da fare con il pesce che dà da vivere, in un modo nell'altro, a tutti. Gli uomini scaricano, le donne lo mettono a seccare. Qui il ragazzo senza nome, protagonista di tutti e tre i volumi, ritorna dopo le peripezie che hanno occupato la tarda primavera e l’estate di un imprecisato anno a fine ottocento, e ritrova i molti personaggi che lo abitano. 

Tutte le vicende ruotano intorno ai rapporti tra i personaggi e alle loro ossessioni, di cui sappiamo qualcosa ma a sprazzi, a illuminazioni. Non si può dire in superficie perché Jón Kalman Stefánsson sa guardare nel cuore di tutti, ma quello che gli interessa non sono le motivazioni o i fatti del passato, a lui premono i moti del cuore, le angosce profonde, le paure, i sogni. Anche qui c’è un coro di morti, quelli che stanno in bilico, ancora aggrappati alla vita abbastanza da voler essere testimoni delle vicende dei vivi. E si parla di amore, di sesso, di sentimenti che non si vogliono riconoscere e tentazioni, di capelli rossi e occhi verdi e occhi più scuri della notte, di donne potenti e inquiete e donne che danno conforto senza aspettarsi niente. In qualche maniera quasi tutti trovano un cuore affine o almeno un compagno di letto, e il ragazzo compie il suo percorso di crescita e deve affrontare la difficile prova di diventare uomo. 

I personaggi sono gli stessi che abbiamo già incontrato alla fine del primo volume, ma nel frattempo sono passati gli anni e non è facile ricordarne l’identità né riconoscerli. In questo non aiutano certo i nomi oggettivamente difficili, di cui non sempre si capisce il genere, e qualche omonimia. E qui, mi permetto un’osservazione: la bella casa editrice Iperborea, che ha tanta cura per i suoi bei libri, avrebbe potuto aggiungere all’interessante postfazione di Alessandro Zironi un piccolo “riassunto delle puntate precedenti” per le persone smemorate come me.

Una citazione, per finire in bellezza e spingervi a leggere questo bel romanzo: Credo che non importi molto di che cosa parlano il libri, dice Gísli, che sta per abbottonarsi il paltò ma lascia perdere,del resto fuori c’è il sole, ma come tutti i libri degni di questo nome, parla di cosa significa essere uomo e spiega che è terribilmente difficile.
  

mercoledì 14 maggio 2014

Una donna importante, un libro importante: qualche parola du Audre Lorde, Sorella Outsider

Ho un grosso debito di riconoscenza con Margherita Giacobino perché se non fosse per la sua appassionata dedizione, e la sua gentilezza nel coinvolgermi in una presentazione, molto probabilmente non mi sarei accostata a un'autrice importante come Audre Lorde (New York 1934 - St. Croix 1992). Di solito leggo prevalentemente narrativa, quasi mai opere teoriche o militanti, perché non so seguire le idee astratte. Inoltre non sono una lettrice abituale di poesia, perché neanche quella la capisco sempre. Quindi grazie a Margherita che mi ha fatto conoscere un'autrice che mi ha dato moltissimo facendomi affrontare difficoltà che mi hanno fatto pensare, aprendomi tematiche su cui non avevo mai riflettuto, ricordandomi atmosfere, speranze, lotte e modalità di condivisione che mi sembrano ormai lontane e che rimpiango. Sorella Outsider è stato ottimamente curato e tradotto da Margherita Giacobino e Marta Gianello Guido. L'ottimo, e davvero rara avis nell'editoria italiana, paratesto comprende le introduzioni delle due curatrici, una biografia dell'autrice e e una serie di note che soddisfano qualsiasi curiosità del lettore, malgrado l'abbondanza di riferimenti che richiedono chiarimenti.
La mia prima impressione accostandomi a questa raccolta che comprende tutti i testi in prosa di Audre Lorde (ad esclusione della sua mitobiografia Zami. A new spelling of my name) è che l'argomento principale è Audre Lorde. Quello che risalta con più evidenza è la sua personalità. AL dice sempre "io", ma questo io non è mai fine a se stesso, è sempre messo in relazione con le altre donne. Per prima cosa, in ogni testo, si autodefinisce: sono una poeta lesbica Nera femminista. E madre. E combattente. Ma parla di sé in prospettiva a tutte le donne Nere lesbiche: è il contrario dell'egocentrismo. Sa di essere un modello, come persona ancora prima che come poeta, anche se insegnò letteratura e dal suo essere insegnante trasse piacere e orgoglio. E per ogni cosa che impara, per ogni verità che scopre la sua cura è di condividerla con le altre donne, le sorelle, che sono il background su cui si muove la sua possente figura e insieme l'aria che le dà la vita. Poeta e scrittrice ma anche militante, conferenziera, insegnante, punto di riferimento e icona del femminismo lesbico Nero, AL fu soprattutto una guerriera nelle parole e nella testimonianza della sua vita. E una delle sue battaglie più dure è quella contro il cancro, di cui parla con coraggiosa sincerità nei due scritti Diari del cancro (1980) e Un'esplosione di luce (1988). Sono due saggi molto diversi. Nel primo, militante, arrabbiato, combattente, AL fa della malattia una guerra sia personale che comunitaria. La rende epica: E' stato molto importante, per me, dopo la mastectomia, sviluppare e incoraggiare il mio senso interiore di potere. Avevo bisogno di chiamare a raccolta le energie in modo da immaginare me stessa come una combattente che resiste anziché come una vittima passiva che soffre. Rifiuta, in particolare, la colpevolizzazione della malata come qualcuna che, in pratica, se l'è voluta perché non era felice: L'idea che la paziente con il cancro possa essere colpevolizzata per aver avuto il cancro, come se fosse tutta colpa sua perché non si è trovata in ogni momento nello stato d'animo giusto per prevenire il cancro, è una distorsione mostruosa dell'idea che noi possiamo usare la nostra forza psichica per aiutare la guarigione. Qui compare uno dei termini che AL ama di più, potere: non nel senso di quello che si esercita sugli altri, ma di ciò che determina il fatto che possiamo. Ho cominciato a riconoscere una forma di potere dentro di me: il sapere che, pur essendo molto desiderabile non avere paura, imparare a ridimensionare la paura mi dava grande forza. Nel secondo saggio, Un'esplosione di luce, la forza è intatta e la capacità di reagire anche, ma qua e là il linguaggio si fa più morbido e forse si intuisce, sotto le parole sempre piene di coraggio e determinazione, una vena di rassegnazione, forse persino di paura. Molto importante è il tema del rifiuto della ricostruzione dopo la mastectomia, che le viene prospettata come un dovere verso se stessa ma soprattutto verso gli altri. Lei la rifuta smascherandone la natura esclusivamente cosmetica: mi rifiuto di nascondere o banalizzare le mie cicatrici dietro un cuscinetto di lana o del gel al silicone. [...] Mi rifiuto di nascondere il mio copro solo per mettere a suo agio un mondo che soffre di fobia verso le donne. Bisogna amare il proprio corpo, si è belle con un seno solo. Chissà che cosa direbbe AL di fronte alla follia, non riesco a definirla altrimenti, che oggi spinge le donne a modificare il proprio corpo (e in particolare qualla parte del corpo che ci definisce, cioè il volto) come se non lo riconoscessero proprio, come se lo disprezzassero o lo odiassero. Come se non potessero accettarsi se non come copia, per lo più deformata e caricaturale, di un modello imposto. Proprio quello che AL si rifiuta di fare. Sempre presenti le amiche e le donne che l'anno aiutata, citate una a una per nome. Prima fra tutte la compagna Frances Clayton con cui divise quasi vent'anni anni di vita e allevò i due figli, Jonathan e Elizabeth, nati dal matrimonio con Edwin Rollins che durò dal 1962 al 1970.
Altri temi sono l'odio, la rabbia verso le divisioni interne del femminismo Nero, la difficoltà di rapporto con le altre Nere che derivano dall'immagine negativa di sé: nelle altre si vede se stessa, cioé quello che non piace di se stessa. Quindi anche questa difficoltà è un prodotto del razzismo. A questo proposito ricorda un episodio della sua infanzia, in cui sulla metropolitana di Harlem, sedendo accanto a una donna bianca, comprese per la prima volta con chiarezza la realtà della discriminazione razziale. Molti sono i temi toccati nei testi che compongono Sorella Outsider, tutti importanti, e richiederebbero uno spazio che qui manca. Molti gli accenni a episodi storici o di cronaca che la fatto parlare con appassionata indignazione di apartheid e di strage di Neri negli USA; l'apartheid in Sudafrica; il significato dell'esperienza di Martin Luther King (bellissimo il brano Imparare dagli anni '60, Intervento al Malcom X Weekend, Harward University, 1982); l'erotico come risorsa profondamente femminile e spirituale, il sessismo, le cure alternative e olistiche, le sue esperienze di madre, resoconti da Grenada, dalla Russia e dall'Usbekistan con bellissime descrizioni, e molti altri di vi invito a leggere nel testo. Il pezzo che ho trovato in assoluto più bello, coinvolgente, sincero e umano è quello sulla clinica steineriana in cui trascorse alcuni mesi (Un'esplosione di luce). Qui si vede in filigrana una AL meno cattedratica, meno sicura, meno predicatoria, più umana, che si concede il tempo di osservare le persone che la circondano.
Importantissima è la rete di amiche internazionale dei amicizie e rapporti con associazioni di donne, che la portò a viaggiare tantissimo in Germania, in Sudafrica, nei Caraibi, in Australia. Tra le sue moltissime realizzazioni anche quella di essere cofondatrice della prima casa editrice per donne di colore, la Kitchen Table: Women of Color Press. Negli ultimi anni della sua vita  si trasferì sull'isola di St. Croix, nell'arcipelago delle Isole Vergini, in compagnia della scrittrice Gloria Joseph.
Il linguaggio di AL è preciso, limpido, essenziale ma molto accogliente e la sua forza non deriva da trucchi retorici (che pure, in quanto poeta, doveva conoscere benissimo) ma dalla sincerità, dall'acutezza e dall'irruenza passionale sempre sostenuta da un'intelligenza tanto potente quanto sicura. le sue parole chiave sono Energia. Rabbia. Differene. Condivisione: Comunità. Rivoluzione. E' sempre rivolta alle altre: se capisce delle cose, se agisce, questo le dà il potere che può servire anche alle altre Nere. Non è mai sentimentale, morbida, anche se usa parole calde come come madre, sorella, amore, erotico, cura. E' spesso severa, granitica, scultorea, come è necessario per esprimere idee.   
Due citazioni che mi piacciono: Ora per me è molto più importante colmare la psiche di tutte le persone che amo e che mi amamno con un senso di scandalosa bellezza e forte determinazione. 
Lavoro, amo, riposo, vedo e imparo. E scrivo.
Sorella Outsider io, sfrenata lettrice di storie, storie e ancora storie, lo consiglio perché fa benissimo ogni tanto leggere qualcosa di molto intelligente e stimolante che non si dimentica facilmente anche se non è narrativa. Magari richiede un po' di fatica in più, ma ripaga ampiamente dello sforzo. (E scusate per i quattro -ente in due righe, ma sono troppo stanca per correggerli. Si accettano suggerimenti). 

lunedì 12 maggio 2014

Un romanzo delicato e forte, una voce infantile che lascia il segno: Non sparate agli aquiloni, di Feride Çiçekoğlu.

Mi sono imbattuta in Non sparate agli aquiloni per puro caso, girando per il Salone del Libro. Mi ha colpito il nome turco dell'autrice, Feride Çiçekoğlu, e siccome negli ultimi anni ho letto parecchi libri provenienti da quest'area, mi sono fermata a dare un'occhiata e l'ho comprato. Così ho scoperto anche una casa editrice che non conoscevo benché esista dal 2003 e mi sia vicina nello spazio, Scritturapura, che allinea titoli molto interessanti e curiosi. Questo piccolo libro (conta una sessantina di pagine) ne è un esempio notevole. Ambientato in una prigione femminile turca negli anni ottanta, consiste in una serie di lettere che un bambino, Boriş, invia a Inci, ex detenuta che ha scontato la sua pena. Boriş, figlio di una detenuta ancora rinchiusa, ha trascorso tutta la sua esistenza tra le mura del carcere, e tutta la sua esperienza del mondo è una porzione di cielo, la cima dei pioppi che crescono fuori, e quello che succede tra le donne in mezzo alle quali vive. Inci gli manca moltissimo, continua a scriverle lettere (che detta volta per volta a quelle, tra le donne, che sanno scrivere e sono disponibili), ma non riceve mai risposta e sa che probailmente le sue lettere non escono nemmeno dal carcere: Io non ti ho dimenticata. Ti ho scritto molte lettere. Ma non ti arrivano. Probabilmente non attraversano le porte di ferro. Se non ricevi nemmeno questa, fammelo sapere, d'accordo? Attraverso la sua voce infantile e intensamente, anche se involontariamente, poetica, veniamo a sapere molto del microcosmo del carcere. Tutte le donne si occupano di Boriş, per cacciarlo o vezzeggiarlo ma soprattutto per educarlo. E quelle che lui ama di più, quelle che hanno di più da dargli, sono le ragazze della cella di sopra, le politiche, quelle il cui crimine è il pensiero: Zeynep, Nevin, Filiz e le altre. A volte lo accolgono, parlano davanti a lui, gli danno insegnamenti subito smentiti dai fatti, su cui lui si interroga e interroga Inci senza mai farsi scoraggiare dalla mancanza di risposte. Altre volte lo respingono perché è troppo piccolo per capire, ma lui ritorna sempre. Apparentemente questo è un libro molto esile, e la sua voluta ingenuità e semplicità può apparire eccessiva per la vicenda. Ma in realtà attraverso le fioche parole di Boriş ci arrivano gli echi dell'ingiustizia, della violenza, della deprivazione, della miseria sociale che si rispecchia nelle gerarchie del carcere. I suoi piccoli ritratti sono efficacissimi, le sue narrazioni minute dicono tutto in poche parole. E la voce saggia e dolcemente impertinente di Boriş continua a risuonarci in testa anche quando la veloce lettura è finita. Non sparate agli aquiloni è delicato, un po' sognante, poetico, affettuoso, graffia e lascia il segno. Forse la rivoluzione, il pensiero, è proprio una faccenda per donne e bambini.  
 
Feride Çiçekoğlu, nata nel 1951, è una voce d’eccezione sulla scena letteraria turca. Fu arrestata dopo il colpo di stato del 1980 e restò in carcere come prigioniera politica fino al 1984: fu durante questi anni che nacque il suo primo romanzo, Non sparate gli aquiloni, cui sono seguite numerose raccolte di racconti, pubblicate da una delle più importanti case editrici turche. Dal 2005 insegna alla Bilgi University di Istanbul. Da Non sparate agli aquiloni è stato tratto un film di grande successo, in patria e all'estero dove ha vinto prestigiosi premi. La bella e sensibile traduzione è di Şemsa Gezgin.

domenica 11 maggio 2014

Torinoir, un esperimento innovativo da tenere d'occhio

Gli scrittori sono individualisti, scrivere è un'attività terribilmente solitaria. Sartre e de Beauvoir scrivevano ai tavolini del Deux Magots, ma non tutti hanno sottomano un bistrot parigino e la maggior parte degli autori se ne sta a casa davanti allo schermo del suo computer senza scambiare granché con i colleghi. Invece, a Torino che è sempre all'avanguardia, il 17 aprile 2014 nasce Torinoir, un gruppo di scrittori torinesi che si unisce per tentare un inedito esperimento culturale e narrativo: raccontare i cambiamenti della propria città attraverso il romanzo giallo-noir (dalla presentazione del Manifesto di Torinoir). Sono Rocco Ballacchino, Giorgio Ballario, Fabio Beccaccini, Maurizio Blini, Marco G. Dibenedetto, Patrizia Durante, Claudio Giacchino, Fabio Girelli, Andrea Monticone, Enrico Pandiani, Luca Rinarelli, Massimo Tallone. Ecco il loro Manifesto:
I - Non scriviamo solo storie di intrighi o delitti, ma di uomini e donne, di vivi e di morti, di società passata, presente e futura.
II - Siamo per la contaminazione tra le differenti forme espressive, senza alcuna preclusione né snobismo.
III - Viviamo nel mondo e nella rete, non demonizziamo la contemporaneità digitale né la idolatriamo: la usiamo.
IV - Ci uniamo per incontrarci, confrontarci e scontrarci con chiunque. Meglio ancora condividendo un buon bicchiere di vino o di birra. Ci uniamo perché insieme siamo unici.
V - In tutti i modi, leciti e non, vogliamo far crescere il PIL: Principio di Interesse Librario.
VI - Invaderemo con le nostre parole librerie, biblioteche, centri culturali, computer, osterie e sagre di paese.
VII - Il lavoro creativo non deve sfuggire al principio “dell’idraulico”: prestazione = compenso. Quindi MORTE ALL’EDITORIA A PAGAMENTO (AUTOFINANZIATA).
VIII - Scriviamo da torinesi, di Torino e dei torinesi, soprattutto della Torino di oggi, lontana dai soliti consumati stereotipi letterari. A volte ci piace andare oltre confine.
IX - Il mondo è cambiato, la nostra città pure. Se non ve ne siete accorti, Fruttero & Lucentini sono morti.
Sul loro sito ci sono racconti inediti, informazioni, classifiche e ci si può iscrivere alla mailing list. Naturalmente, sono anche su Facebook e Twitter.
L'iniziativa è stata presentata stamattina al Salone del Libro di Torino.

sabato 10 maggio 2014

Julianne Moore, non te la prendere: tu non sei squallida, è che ti disegnano così. Un film reazionario, The English Teacher di Craig Zisk.

Si può dire ancora la parola "reazionario"? anzi, esiste ancora questa parola? e siamo rimasti in molti a capirne il significato? Perché vedendo The English Teacher di Craig Zisk continuava a venirmi in mente che era un film profondamente, spudoratamente reazionario. Oltre che, a mio parere, prevedibile, banale, sciocchino. E molto superficiale. Vuole essere una commedia drammatica ma non sa bene dove andare a parare. Meno male che c'è la meravigliosa Julianne Moore e anche altri attori bravissimi come Nathan Lane, Jessica Hecht e un manipolo di ragazzi in gamba, ma la sceneggiatura non li sostiene certo. Inoltre una voce fuori campo fastidiosa e petulante monopolizza inizio e fine in maniera davvero tremenda. E reazionaria, ecco, perché la presentazione che fa del personaggio di Linda (Julianne Moore) vent'anni fa avrebbe fatto indignare ogni donna che la sentisse.

Allora, e vi avviso che per una volta questo post è anche uno spoiler, ma non è la suspense che caratterizza il film: Linda è un'insegnante quarantacinquenne, non sposata e non fidanzata, con nessun matrimonio in vista "quindi" fa una vita squallida, genere acquisti di porzioni singole al supermercato, serate in casa davanti alla televisione, solitudine e appuntamenti ciechi perché è "ovviamente" (conseguenza inevitabile) disposta a beccarsi un uomo qualsiasi. Il coté divertente è affidato al fatto che come vede un uomo nella sua testa si compone un giudizio come quelli che adopera per giudicare gli allievi, completo di voto finale. E sai quanto fa ridere. E naturalmente è anche isterica, perché quando un ragazzo con berretto calcato sugli occhi le si avvicina in un luogo deserto mentre lei sta facendo un bancomat, lo spruzza con uno spray al peperoncino. Vorrei vedere voi. Invece è Jason, un ex allievo, tipetto geniale che ha tentato la strada della scrittura teatrale che poi gli è andata male, e adesso è tornato nella città natale con la coda tra le gambe. Lei legge il testo, lo trova un capolavoro e decide di aiutarlo a metterlo in scena come spettacolo scolastico. Coinvolta dal drammone che interpreta come autobiografico, si commuove e finisce per scopare con Jason. Per fare accettare il testo ai direttori della scuola, con un inganno fa firmare un contratto all'autore in cui lui accetta di cambiare il finale tragico. Intanto, conosce il padre del ragazzo, medico belloccio che lei copre di disprezzo e contumelie considerandolo l'origine dei problemi del figlio.

Be', più avanti non vado perché tanto si capisce già dove va a parare la vicenda. Mi interessa sottolineare i due aspetti che mi hanno fatto venire, come si dice da queste parti, i gìu (traduzione: mi hanno fatto saltare la mosca al naso, ma i gìu sono i maggiolini, siamo in stagione). Allora, ricapitolando, abbiamo: 45 anni + insegnante + non sposata = sola + frustrata + disperata + ridicola + isterica + scervellata. Ora, lasciando perdere che non è obbligatorio sposarsi né desiderarlo, non sembra un po' strano che un'insegnante, decisamente benestante, colta e piena di interessi, non trovi mille modi per movimentarsi la vita? E amici non ne ha? Solo un uomo giustificherebbe la sua esistenza? Oltre tutto Julianne Moore è bellissima e piena di vita, non basta farle portare golfettini scuri e accollati per rendere credibile questo ritratto di donna, insisto, reazionario. Ma deve ancora espiare la colpa gravissima di avere scopato con l'ex allievo. Le menti reazionarie sono anche puritane per cui la povera Linda viene sottoposta a una serie di punizioni, umiliazioni, mortificazioni e incidenti che equivalgono a parecchi annetti di purgatorio. Alla fine, purificata del suo peccato, le viene anche concesso un premio (indovinate in che cosa consiste?). Insomma, tout est bien qui finit bien.

E qui ecco il secondo aspetto intollerabile: il drammone presentato come capolavoro ha in origine un finale tragico cui l'autore tiene moltissimo, e non avrebbe mai accettato di cambiarlo se non fosse stato ingannato. Invece è Linda stessa a riscriverlo in modo più soft, sul genere volemose bene. E ovviamente, ancora, è un successone strepitoso, e l'autore è contento come una pasqua. E Linda si mette a insegnare la letteratura in "modo moderno" (parole dell'insopportabile voce fuori campo) e invita gli allievi a trovare finali ottimisti per le opere famose che finiscono male (immaginiamo Anna Karenina che torna dal marito, la piccola Dorrit che diventa ballerina di lap-dance, il capitano Achab che mette su una linea di vaporetti nel golfo di Napoli, e così via). Perché l'autore non sa giudicare il mercato, le tragedie non vendono, ai giovani bisogna proporre esempi positivi e rassicuranti, le opere letterarie è meglio che le scrivano gli editor che ci sanno fare di più degli scrittori. Ora io spero di non avere scoraggiato nessuno dal vedere The English Teacher, che è un filmetto gradevole e non noioso. Anzi, andateci numerosi e poi ditemi se mi sono sbagliata. Ho letto recensioni molto positive.
P.S. Dell'opera teatrale di Jason si deve credere a occhi chiusi che sia un capolavoro, e questo è un titanico atto di fede perché quel pochissimo che si vede e si sente è, per usare un eufemismo, agghiacciante.           

giovedì 1 maggio 2014

A QUALCUNO PIACE LIBRO: Audre Lorde, Sorella Outsider


 Nell'ambito del TGLFF, 29° Torino Gay & Lesbian Film Festival, nella sezione "A qualcuno piace libro" presso il Circolo dei Lettori in via Bogino 9, Martedì 6, ore 17 presentazione del libro di Audre Lorde, Sorella Outsider
(Il Dito e La Luna) con le curatrici Margherita Giacobino e Marta Gianello Guidi e le scrittrici Consolata Lanza e Roberta Padovano

Audre Lorde (New York 1934 - Saint Croix 1992), si presenta sempre come poeta, lesbica, Nera, femminista; inoltre è conferenziera, saggista, militante, insegnante e madre di due figli (un maschio e una femmina).
Nata a New York da una famiglia della piccola borghesia nera di origine caraibica, Lorde cresce nella Harlem degli anni '30 e '40, impregnata di conflitti razziali, in un'America che pratica la segregazione (e la praticherà fino agli anni '60); diventa una figura carismatica del femminismo nero degli anni '70, riceve riconoscimenti e diviene punto di riferimento per moltissime donne, nere e bianche, ma non le viene mai riconosciuto un posto ufficale nella letteratura nordamericana (da Margherita Giacobino, guerriere ermafrodite cortigiane, Il Dito e La Luna 2005).