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giovedì 28 giugno 2012

Laura Trossarelli, Condannate Luigia Sola!


Il bel romanzo Condannate Luigia Sola! si presenta come la ricostruzione di un fattaccio del passato famigliare dell’autrice, ma non si sbaglia poi tanto a definirlo un noir di tipo particolare: si può dire che è un nero color ingiustizia, e lo è senza volerlo ma a pieno titolo, in quanto la vicenda personale è sovrastata dal contesto familiare, sociale e persino scientifico (con la relazione psichiatrica di Lombroso in appendice), di cui ci dà un’illustrazione precisa e vivissima. L’autrice, qui al primo romanzo ma capace di una scrittura veloce, pulita e efficace, scoprì casualmente che una sua bisnonna era stata condannata a morte per avere organizzato e istigato l’omicidio di un uomo. La ricostruzione di questa oscura vicenda, delle terribili circostanze che la portarono a diventare una delinquente (come recita il sottotitolo) è forse empatica e certamente in parte di fantasia, ma ci sono abbastanza dati di fatto da far rabbrividire qualsiasi lettrice che si sentirà spinta a congratularsi per la sua fortuna, di non essere nata nell’epoca e nella famiglia della povera Luigia Sola. Nata a Saluzzo nel 1834, orfana di padre, ha una madre totalmente anaffettiva (ma basta leggere qualche notizia sulla sua vita per capire che forse, anche per lei, non era tutta colpa sua) che la fa sposare per convenienza, all’età di quattordici anni, con un cugino trentaseienne che ne diventa anche tutore nonché amministratore del notevole patrimonio di cui Luigia è erede. Il matrimonio non è felice malgrado la nascita di tre figli, e all’età di ventun anni lei se ne va a stare a Torino, abbandonando il marito che rifiuta di concederle il suo denaro, ricattandola sui figli e sulla sua reputazione. Giovane, sola e sicuramente anche piuttosto scervellata, la sua scelta e le sue vicende posteriori, che non racconto perché questo è un libro davvero appassionante che merita un po’ di mistero, sono elementi di uno scandalo che aumenta fino al delitto nel 1876 e al processo che coinvolse allo spasimo l’opinione pubblica dell’epoca. La condanna capitale non venne eseguita, ma Luigia trascorse il resto dei suoi giorni in prigione e la damnatio memoriae cui la famiglia la condannò è tale che la sua morte, dice la pronipote, “avvenne in un anno imprecisato tra il 1890 e il 1909”. In appendice, la fantastica (nel senso che lascia stupefatti e ammutoliti) perizia che Cesare Lombroso stilò per la pubblica accusa inizia riportando le misure del cranio di Luigia e conclude che ci si trova di fronte a una delinquente comune, utilizzando a tale scopo ognuna delle sconclusionate e disperate azioni della poveretta. Alla fine arriva un punto dolente: non troverete facilmente questo libro edito da Alibrè (marchio che si riconduce a arabAFenice). Magari, come nelle fiabe, un grande editore lo leggerà per caso, gli offrirà una seconda chance e secondo me farà benissimo: perché se la merita per l’interesse della vicenda e gli spunti di riflessione che suscita.
N.B. : il romanzo cui la recensione si riferisce è stato pubblicato nel 2007. Se volete leggerlo, guardate tra i banchi di qualsiasi mercatino a Torino e dintorni (p.e., quello del vintage che si tiene a Torino in piazza Carlo Alberto ogni secondo sabato del mese, esclusi luglio e agosto, dove arabAFenice c’è sempre) e avrete una buona chance di trovarlo.   

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