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venerdì 16 novembre 2018

La maledizione del poliziotto che vende: Hakan Nesser, L'uomo con due vite e Il commissario e il silenzio

Non sono un'appassionata di gialli e men che meno di noir, ma quando, come adesso, attraverso un periodo di poca concentrazione ne leggo volentieri, perciò ho iniziato L'uomo con due vite di Håkan Nesser (di cui avevo già letto L'uomo senza un cane, 2006) che avevo scaricato già da un po' e l'ho letto, almeno nella prima parte, con gran piacere. E ho avuto la conferma di un sospetto che nel tempo è diventato convinzione. In effetti, potrei risparmiarmi la fatica di scrivere questa recensione e aggiornare semplicemente quella del romanzo precedente.

C'è una maledizione su una gran parte degli scrittori contemporanei: l'obbligo di scrivere gialli, noir, thriller ecc, per cui anche notevoli scrittori portati più per il mainstream che per il genere si trasformano in Simenon (il quale, immagino, sta scontando molti anni di purgatorio per le sue colpe di avere dato la stura alla trasformazione della quotidianità più banale in motivo di interesse, per cui le birre del commissario Maigret e il coq au vin di madame Maigret hanno figliato stuoli di investigatori ognuno con le sue preferenze in fatto di birra e vino, carne e pesce, formaggi e gelati, ognuno con la sua vita privata esemplare o inquieta, mogli e fidanzate, ex mogli e figli di vario letto, di cui dobbiamo sorbirci l'epopea). Ora, sono convinta che anche Håkan Nesser sia uno di questi, almento nei due romanzi che ho letto con l'ispettore Gunnar Barbarotti come protagonista.

Un inciso: chissà perché invece, se di un investigatore femmina si vuole proprio parlare, non ci si discosta mai troppo dal modello Miss Marple e si tratta sempre di un'anziana signora che beve solo tè o, nel caso si tratti di una serie televisiva, di qualche giovane signora assolutamente imbecille dedita a qualche attività molto caratterizzata, tipo beneficienza o antiquariato. Sarei felice di essere smentita, se qualcuno ha notizia di una investigatrice sveglia e dinamica in circolazione e me lo segnala gli sarò riconoscente.

L'uomo con due vite (2008) ha una prima parte bella e interessante, in cui è narrato l'incontro assolutamente imprevedibile tra due personaggi "quasi" estremi, un anziano senza qualità e una giovane già segnata dalla vita. Questa prima parte è molto riuscita, crea empatia per i personaggi, sorprende e coinvolge. Quando poi entra in scena Barbarotti e la sua corte di colleghi e colleghe, quello che mi è venuto da pensare è un bel "chi se ne frega". Barbarotti ha una famiglia allargata e felice (buon per lui che avevo incontrato divorziato e pieno di cicatrici), gli altri hanno difficili rapporti con le donne o con gli uomini, figli propri e altrui. Una percentuale notevole ha una moglie incinta, spesso sull'orlo del parto. Quella che tiene abbastanza è la vicenda principale, proprio perché contravviene alle regole del thriller. Nel complesso un libro molto soddisfacente, che mi ha spinto a bissare con Il commissario e il silenzio (1997).

Qui il protagonista è il commissario Van Veeteren, ovviamente divorziato, deluso, stropicciato, piuttosto beone, con la fastiosa e insistita abitudine di masticare stuzzicadenti e seminarli in giro ecc ma altrettanto infallibile nel risolvere il caso senza bisogno dell'aiuto dei colleghi (anche qui con moglie incinta, sono certa che il tasso di natalità della polizia svedese è nettamente superiore a quello del resto della popolazione). La storia è tradizionalmente incentrata su delitti che vorrebbero essere particolarmente spaventosi ma non hanno nessuna valenza visiva né emotiva. C'è un ambiguo prete che dirige una setta di donne fuori di testa, anche troppi personaggi di contorno, ma insomma la soluzione arriva un po' prevedibile e un po' telefonata. Si può leggere, perché è ben scritto e ottimamente tradotto da Carmen Giorgetti Cima (come pure gli altri due), ma insomma se ne può anche fare a meno, non lascia tracce.   

Concludo in modo poco elegante, con un'autocitazione: Perché uno scrittore che scrive bene, che sa costruire un ambiente, un groviglio di psicologie, un ritmo narrativo come Håkan Nesser abbia bisogno della struttura poliziesca, non lo so. Mi ha fatto l'impressione di quando si usa il trucchetto del cucchiaio che diventa aeroplano per fare mangiare la minestra ai bambini - vi ricordate? ecco l'aereo che vola vola, apri la bocca, aaahm! - come se fosse necessario per indurre il lettore a aprire il libro e leggerlo. Ma probabilmente sono io che sono rétro, e penso che per leggere un libro non c'è bisogno di escamotage. La domanda, ovviamente, è retorica: in questi tempi confusi e ansiogeni l'idea che ci sia un commissario capace di districare ogni casino e di mettere ordine nella confusione del mondo è la massima utopia. Perciò il poliziesco tira, e vende: è il mercato, bellezza! 

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