Ho il massimo rispetto per il giornalista e scrittore turco Ahmed Altan, autore di una decina di romanzi e alcuni saggi, attualmente (almeno fino al 28/1/17 per quel che ne so io) in prigione per motivi politici, e spero con tutto il cuore che sia rilasciato al più presto e possa continuare con la sua attività. Ma il suo romanzo Scrittore e assassino, tempestivamente tradotto da Barbara La Rosa Salim per e/o, su cui ho letto molte recensioni estremamente elogiative, non mi ha convinta.
Siamo in una cittadina senza nome non lontana dal mare, divisa tra agricoltura e progetti di sviluppo turistico, una di quelle abitate da greci prima della megali katastrofì perché sulla collina che la sovrasta sorge una chiesa attorno alla quale aleggiano delle leggende, che vi sia la tomba di Gesù ma soprattutto che nella cripta sia nascosto un grande tesoro, intorno al quale si scatena una faida sanguinosa che coinvolge tutti i politici e i mafiosi locali. La descrizione degli intrighi di potere tra i maggiorenti, e delinquenti locali, sorprende e interessa, le personalità dei vari personaggi maschili sono ben delineate. L'ambientazione, secondo me, è il principale motivo di interesse del romanzo.
Il protagonista, che parla in prima persona, si presenta fin dalle prime righe come un assassino, e la molla che spinge avanti nella lettura dovrebbe essere la curiosità circa l'identità del morto. Io, confesso, me ne sono dimenticata immediatamente, e quando alla fine sono arrivata al delitto, non me ne importava più granché. Comunque: il protagonista è anche uno scrittore che arriva nella cittadina in cerca di tranquillità per scrivere. Incontra subito una donna, Zuhal, l'archetipo della donna fatale, bellissima, misteriosa, sensualissima, ambigua, contraddittoria, libera e spregiudicata ma anche dolce e soprattutto disponibilissima... un eterno femminino in salsa turca. Il fatto che sia innamorata di Mustafà, sindaco della cittadina e capo di una delle bande criminali che si fronteggiano, non le impedisce di intrecciare una rovente relazione di sesso con lo scrittore. Tra frequenti sparatorie, tipi minacciosi, donne spregiudicate e intriganti, falegnami saggi, pranzi e cene, un matrimonio in moschea, la vicenda scorre in maniera piuttosto inverosimile e tavolta campata in aria. Si capisce benissimo che dietro c'è il tentativo di parlare della Turchia in maniera simbolica e metaforica per non incappare nella censura (ma, povero Ahmed Altan, evidentemente non gli è bastato) ma il risultato non è molto felice.
Ma la parte meno convincente, spesso al limite dell'ingenuità, è quella erotica. Il sesso abbonda,
soprattutto quello virtuale praticato in chat, senza immagini né webcam, tutto verbale, di testa e iperbolico. Ora, l'idea (e la pratica) del sesso scritto è interessante ma qui non si riesce a crederci neanche per un attimo: non voglio dire che non esista, dico solo che nelle parole di Ahmed Altan è così madornale che non è possibile esercitare la sospensione dell'incredulità. Una forte carica erotica è presente in tutte le donne: dalla fascinosa Zuhal alla matura Kamile, dalla cameriera Hamiyet alla prostituta Sunbul, sono potenti e insieme rinchiuse nel loro ruolo di calamite sessuali.
Qui devo ammettere un grande limite mio: la parte unanimamente lodata in tutte le recensioni è quella che più mi ha annoiato nella lettura. Il protagonista si rivolge continuamente a Dio in quanto scrittore supremo, che scrive tutti i romanzi di tutte le vite umane, discute come con un collega, discetta di letteratura e vita. Io sono proprio negata per le astrazioni quindi mi astengo. Spero che il
grande romanziere abbia già scritto un lieto fine per il collega Ahmed Altan, in cui questi ricupera la libertà e si dedica a scrivere in un paese sereno e democratico, più facile da raccontare della Turchia di oggi e bello come la Turchia di sempre, che tanto amo e mi manca.
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