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venerdì 13 gennaio 2017

Un consiglio da amica: non perdetevi Sing Street, un film di John Carney

Sing Street è un film del 2016 scritto e diretto da John Carney e qui potete trovare le informazioni generali. Io voglio solo dire che consiglio a tutti, amanti del pop e no, adolescenti e no, di andare a vederlo. Forse non è quello che si definisce un gran film, è piccolo e non ha pretese di spiegare il mondo ma a mio parere in quello che racconta non ha difetti.

Siamo a Dublino negli anni '80, in un ambiente disastrato in cui gli adolescenti non hanno altri modelli che le band musicali cui ispirarsi per sognare. Conor (lo straordinario Ferdia Walsh-Peelo, fragile e commovente con le sue guance rosee da quindicenne) viene tolto dalla scuola che frequentava e mandato a Singe Street, un istituto gestito dai Fratelli Cristiani. La sua famiglia, genitori e tre figli, è in crisi totale, i genitori non fanno che bisticciare urlandosi insulti, il padre è disoccupato, dovranno vendere la casa in cui vivono, la madre ha una relazione con il suo capo, il fratello maggiore Brendan (l'ottimo Jack Reynor) che ha mollato il college perde tempo fumando spinelli e ascoltando rock, mentre la sorella Ann vuole fare l'architetto e pensa solo a studiare. La nuova scuola è pessima, infestata da bulli e insegnanti sadici, come "Brother  Baxter" - non a caso il film è dedicato a "tutti i fratelli", Connor viene immediatamente preso di mira, picchiato dai bulli perché troppo fighetto per la scuola e dall'insegnante perché osa tenergli testa. Brendan (che ha un manifesto di Freud in camera) è il suo disincantato mentore, mentre la bella e sfuggente Raphina (Lucy Boynton, impressionante nella camaleontica capacità di cambiare a seconda delle situazioni e degli stati d'animo), che abita di fronte all'istituto e passa ore sui gradini di casa aspettando un suo fantomatico ragazzo, è la sirena che lo fa partire per un viaggio prima metaforico poi reale.

Ma la vera protagonista, passione e strumento di riscossa e conquista, è la musica. E' l'epoca delle boy band e Connor, che suona la chitarra per non sentire le urla dei genitori, decide di mettere su un gruppo. Di qui la storia si può immaginare, si tratta di trovare i componenti e insieme convincere Raphina a girare un video con gli scalcagnati ragazzini, cosa che lei accetta ben volentieri. Il sogno ha una meta ben precisa: lasciare Dublino, il suo asfittico provincialismo e la mancanza di prospettive per la mitica Londra, in quella Gran Bretagna che nelle giornate limpide si può intravedere al di là del mare, oltre le trenta miglia che la separano dalla costa irlandese.

Non è la storia, che ricorda molto Billy Elliott  di Stephen Daldry, a essere il motivo principale d'interesse, ma la straordinaria mescolanza di profondità e leggerezza con cui è raccontata, la delicatezza con cui sono sfiorate le vite squinternate degli adulti, la precisione con cui si giostra tra i cliché - la ragazzina più grande e più matura che si fa prendere dall'energico entusiasmo del ragazzino, il sogno a occhi aperti, la fragilità nascosta sotto l'apparenza sfacciata e violenta degli adolescenti (a questo proposito, geniale l'arruolamento del bullo rapato e manesco, a sua volta vittima della prepotenza dei genitori), l'impossibilità di comunicare con gli adulti, ottusi e egoisti ma soprattutto infelici. Quello che si sente, secondo me, è che si tratta di un film necessario: non un'opera messa assieme per sfruttare un filone di tendenza o per arruffianarsi lo spettatore, ma qualcosa che al regista stava a cuore raccontare, rappresentare, e che gli interpreti hanno saputo esprimere al meglio. Un film anche molto divertente, veloce e (fatemi usare l'odiata parola per una volta!) carico di emozione.       

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