Il secondo è un classico assai illustre, Io sono un gatto di Natsume Sōseki. Qui il caso è diversissimo. Uscito su rivista a puntate nel 1905 e 1906, poi raccolto in tre volumi, è un romanzo assai corposo (intorno alle 500 pagine) la cui voce narrante è appunto un gatto.
Infilatosi da cucciolo a casa dell'insegnante di inglese di liceo Kushami, viene sopportato dalla famiglia composta da padre, madre, tre figlie e una serva, ma rimane senza nome per mancanza di interesse nei suoi confronti. In compenso Trascorre il tempo a osservare il suo padrone e i suoi rapporti con le persone che incontra: oltre ai familiari, una serie di amici variamente caratterizzati, Meitei il burlone, Kangetsu l'ex studente di Kushami che all'università passa la vita a lisciare biglie di vetro, Tofu il poeta, la signora Kaneda dal grosso naso, Sanpei l'affarista, e altri. Dalle sue chiacchiere deriva una vivissima descrizione della vita spicciola in una casa giapponese e dei personaggi che passano sotto i suoi occhi acuti e onniscienti (un mondo esclusivamente maschile in cui le donne contano quanto i gatti), e un vivacissimo quadro culturale di inizio '900. Perché il gatto ne sa di qualsiasi argomento e riporta minuziosamente le conversazioni infarcite di citazioni letterarie sia giapponesi che occidentali intrecciate da Kushami e dai suoi visitatori, i quali hanno interessi vastissimi e un'erudizione senza limiti, che il gatto ascolta e osserva con filosofico distacco.
C'è davvero di tutto in questo romanzo magistralmente tradotto da Antonietta Pastore e i personaggi sono tratteggiati con penna felice. Colpisce il grandissimo spazio dedicato alla cultura occidentale di cui si scrutano molteplici aspetti, in lunghissimi dialoghi praticamente enciclopedici, in cui i vacui personaggi si esibiscono in una gara di erudizione. I ragionamenti del gatto restituiscono una visione fortemente satirica, spesso paradossale, e il tono è filosofico e speculativo. Una delle difficoltà della lettura, secondo me, dipende proprio da questo accumularsi di dialoghi e dialoghi senza fine, conditi di osservazioni sentenziose sulla natura umana. Gli argomenti sono molteplici e vanno dalla critica all'indivualismo che distrugge la cultura tradizionale a gustosi episodi come gli esempi di cortesia inglese. La narrazione si interrompe continuamente con l'esibizione di cultura occidentale, specie nella lunga conversazione finale cui partecipano tutti i personaggi.
I problemi, secondo me, sono due oggettivi e uno soggettivo: la distanza culturale che costringe a un'attenzione continua e talvolta faticosa, la lunghezza e il tono speculativo (che io non apprezzo, ma sicuramente piace a molti). Per questo secondo me Io sono un gatto è un libro adatto solo a lettori veramente motivati, non ai semplici amanti dei gatti o del sushi. A loro consiglio piuttosto Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi.
Due ottimi libri, secondo me, anche se indubbiamente quello di Sôseki è una sfida comunque ardua.
RispondiEliminaComprato tempo fa (gatti & Giappone!!! Pensavo sarebbe diventato uno dei miei libri "cult"!),iniziato e abbandonato per sopraggiunta noia alla... non so, forse decima o quindicesima pagina...
RispondiEliminaE' sempre lì, sullo scaffale, non lo regalo, ma per ora resta chiuso. Chissà, un giorno o l'altro... forse semplicemente non era il momento giusto per me.
Bacioni, a presto!
@Massimo @Orlando Sôseki mi ha messo duramente alla prova. Restano scenette e osservazioni curiose o profonde, ma bisognerebbe leggerlo a piccolissimi bocconi. D'altra parte è stato scritto per essere pubblicato a puntate, e si sente moltissimo.
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