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martedì 13 agosto 2013

Una notte con Barbablu, seconda parte: il mondo delle fiabe è talmente spaventoso che c'è chi non possiede il cellulare!



Marina si allungò voluttuosamente sul divano, chiedendosi che cosa avrebbe potuto fare per passare il tempo. Di colpo si rese conto di non avere visto alcun televisore né nel salone, né nelle stanze del piano superiore, né nell'appartamento della servitù.
"Ci credo che non trova nessuno che voglia venire a lavorare qui" pensò di malumore.
Un po' di televisione sarebbe stata perfetta per ingannare l'attesa. Per di più quella sera c'era una puntata di Beautiful che si preannunciava cruciale. E neanche si vedeva in giro uno stereo, o almeno un registratore, o una radio. Niente di niente.
"Brutto vecchiaccio egoista".
Le parve di essersi sbagliata a considerare Guido affascinante, era solo un vecchio medico noioso e solitario, o così avaro da non volere nemmeno comprare un televisore per intrattenere gli ospiti. Uffa. Dopo un po' non riuscì più a stare seduta sul divano, e si alzò per fare un giro in casa, visto che uscire non poteva. 
Il silenzio era impressionante. Si ricordò per la prima volta che nel tragitto per arrivare alla villa non avevano incontrato né centri abitati né case sparse. La coscienza dell'isolamento in cui si trovava la sopraffece e cominciò a ripercorrere l'itinerario della visita alla casa così come si era svolto con Guido. Di nuovo attraversò la cucina e lo studio, la dispensa e le camere da letto, ma non c'era molto di divertente nelle stanze vuote e ordinate, e il silenzio faceva paura. Davanti alla porta del ripostiglio si fermò. Le venne in mente che lì poteva esserci, se non un televisore, almeno una vecchia radio poco in carattere con l'arredamento, ma ancora funzionante. La porta era chiusa a chiave. In cucina, nel cassetto delle posate, trovò un coltello dalla lama sottilissima che le servì a forzare la serratura. A quel punto era talmente annoiata e irritata con Guido da non pensare neanche una volta che lui avrebbe potuto seccarsi per l'iniziativa.
Dopo pochi tentativi la porta cedette e si spalancò.
Il locale era vasto, completamente vuoto di mobili, se si eccettua una poltrona posta proprio in mezzo al pavimento di legno chiaro. Tutte le pareti tranne quella d'entrata erano coperte di schermi, quasi tutti accesi. In ciascuno era inquadrata una donna, ognuna occupata in un'attività diversa, ma altrettanto solitaria. C'era chi si dava lo smalto sulle unghie, chi dormiva, chi leggeva, chi piangeva accovacciata sul letto, chi stava semplicemente seduta su una sedia fissando lo schermo. Erano tutte giovani e belle, ma alcune erano vestite in modo strano, secondo una moda ormai sparita da anni, con capelli cotonati, stivali aderenti, abitini trapezoidali, altre indossavano jeans sbrindellati e giubbotti di pelle, o minigonne di stretch, o sottane a fiori e camicioni orientali. Ognuna sembrava sola in un ambiente ristretto e arredato come le case delle telenovelas, con mobili modesti e di cattivo gusto.
Marina avanzò lentamente, stupita e incuriosita da quello che vedeva. Le donne continuarono a dedicarsi alle loro varie occupazioni per un po', poi a una a una parvero rendersi conto che qualcuno era entrato nella stanza e si avvicinarono agli schermi mostrando i volti nudi alla luce cruda che pioveva dal soffitto. In breve furono tutte in primo piano con le facce schiacciate contro gli schermi, le mani con le unghie dipinte che graffiavano il vetro, le bocche spalancate in urla silenziose. Marina cercò i comandi per mettere l'audio, ma non li trovò da nessuna parte. Sulle pareti non c'era altro che gli schermi incassati, non c'era neppure l'interruttore della luce che pioveva fortissima da faretti nascosti ai lati del soffitto. Le donne si agitavano frenetiche, parlavano da sole nelle loro stanze solitarie, cercando di far giungere a Marina messaggi incomprensibili.
Una rossa ricciuta in sottoveste nera e sandali d'oro con i tacchi a spillo cominciò a compitare muovendo esageratamente la bocca dipinta. Dopo un po' Marina riuscì a decifrare quello che diceva: il telecomando! Cerca il telecomando!
Nella stanza non c'era altro che la poltrona. Marina si precipitò fuori per cercare negli altri locali, ma non trovò nulla. La ricerca non fu difficile nell'ordine perfetto che regnava dovunque: armadi e cassetti erano quasi tutti vuoti, il telecomando non le sarebbe sfuggito se fosse stato in casa. Pensò agli oggetti che sformavano le tasche di Guido e tornò scoraggiata nella stanza degli schermi.
Le donne avevano ripreso le loro occupazioni, ma quando la videro entrare ricominciarono ad agitarsi e a cercare di parlarle. Si vedeva che erano deluse che non avesse trovato nulla, ma continuavano a gridare silenziosamente, con gesti e movimenti esagerati che le ricordarono le eroine dei film muti. Poi, come se si fossero messe d'accordo, cominciarono a sillabare tutte insieme lo stesso grido. Questa volta Marina non fece fatica a interpretarlo: scappa! Fuggi! Salvati! Scappa!
E lei scappò, scese le scale a rompicollo, si precipitò alla porta d'uscita. Ma non appena la ebbe spalancata dal buio arrivarono di gran corsa i tre doberman abbaiando furiosi e dovette rientrare precipitosamente chiudendosi la porta alle spalle.
Disperata si gettò sul divano di pelle e pianse a lungo senza fare rumore, come le donne dietro agli schermi. D'improvviso le venne un'idea e si mise a cercare il telefono. Ma non c'era neanche questo, da nessuna parte. Il cellulare naturalmente era sparito con Guido. Non c'era altro da fare che aspettare, e nell'attesa si sforzò di pensare intensamente se davvero non esisteva un via d'uscita. Ritrovò un po' di calma e finì per convincersi che c'era sicuramente una spiegazione a quello che aveva visto. Forse si tratta di registrazioni così ben costruite da trarre in inganno chi le vedeva. Con questa speranza corse di nuovo su per le scale, ma non appena la videro le donne ricominciarono  con le loro grida mute: che cosa fai ancora qui? Scappa! Scappa! Infine le balenò una debole speranza. Se fosse stata carina con Guido, forse lui si sarebbe innamorato e l'avrebbe portata a  Roma l'indomani mattina come aveva promesso. Seduta su una poltrona in pelle e acciaio cominciò a elaborare un piano di seduzione.
Era molto tardi quando sentì le tre chiavi girare nella serratura. Guido le venne incontro con il viso stanco e sorridente.
"Mi hai aspettato!" disse allegro. "Chissà che sonno, poverina!".
La prese per mano e la tirò accanto a sé sul divano.
"Ora ti prometto che mi occuperò solo di te fino a domani".
Lei gli si strinse contro e gli cercò le labbra a occhi chiusi. Aveva pensato che avrebbe potuto tentare uno spogliarello come quelli che si vedono al cinema, ma non fu necessario. Sembrava che Guido non avesse nessun bisogno di essere sedotto. Fu lui a spogliarla e più tardi la condusse in camera da letto e fu tenero e attento come nessuno degli uomini che lei aveva conosciuto prima.
L'ultimo pensiero di Marina, prima di addormentarsi tra le sue braccia, fu:
"Mi sono immaginata tutto. Che peccato che domani mi porterà a Roma e non ci vedremo più".
Fu svegliata dal profumo del caffè. Guido, avvolto in una lucida vestaglia nera, si chinava su di lei con un vassoio in mano. Aveva il viso allegro e la baciò con tenerezza.
"Ma lo sai che ora è? Se non ci sbrighiamo non arriveremo mai a Roma stamattina!".
Fecero colazione a letto, poi lui parve dimenticare l'ora, si tolse la vestaglia e si infilò sotto le lenzuola. Fu ancora più dolce e appassionato della sera prima. Quando Guido si alzò per andare in bagno, Marina si perse in un piacevole dormiveglia dal quale si riscosse a fatica sentendolo tornare. Aprì gli occhi e lui era lì in piedi con la vestaglia nera e una telecamera in mano. In un gesto di estrema difesa Marina si infilò la lunga maglietta che usava come camicia da notte poi, con la sensazione di essere risucchiata da un vortice, si ritrovò in una stanza lunga e stretta senza porte né finestre, con un grande schermo sul quale si vedeva una stanza vuota in cui c'era Guido, seduto in poltrona con un telecomando in mano.
Marina spalancò la bocca per urlare e le lunghe delicate dita di lui si mossero sui comandi. Dalla bocca non le uscì alcun suono. Le dita premettero un altro pulsante e la maglietta azzurra, i capelli neri, i mobili da quattro soldi si scolorirono, si scurirono, si trasformarono in un piatto bianco e nero, poi - ancora un altro tasto - riassunsero i loro colori e si tinsero di sfumature esasperate, gialli accecanti e rossi accesi. Per qualche istante Marina ritrovò la voce ma subito le fu ritolta. Ancora le dita si muovevano nervosamente. Si avvicinò allo schermo, schiacciò il viso contro il vetro e  lo graffiò con le unghie rosicchiate, mentre dalla bocca muta, a perdifiato, le usciva un grido silenzioso: non spegnere! Per favore, ti prego, ti prego, non spegnere!

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