Marina si allungò
voluttuosamente sul divano, chiedendosi che cosa avrebbe potuto fare per
passare il tempo. Di colpo si rese conto di non avere visto alcun televisore né
nel salone, né nelle stanze del piano superiore, né nell'appartamento della
servitù.
"Ci credo che non trova
nessuno che voglia venire a lavorare qui" pensò di malumore.
Un po' di televisione
sarebbe stata perfetta per ingannare l'attesa. Per di più quella sera c'era una
puntata di Beautiful che si preannunciava
cruciale. E neanche si vedeva in giro uno stereo, o almeno un registratore, o
una radio. Niente di niente.
"Brutto vecchiaccio
egoista".
Le parve di essersi
sbagliata a considerare Guido affascinante, era solo un vecchio medico noioso e
solitario, o così avaro da non volere nemmeno comprare un televisore per
intrattenere gli ospiti. Uffa. Dopo un po' non riuscì più a stare seduta sul
divano, e si alzò per fare un giro in casa, visto che uscire non poteva.
Il silenzio era
impressionante. Si ricordò per la prima volta che nel tragitto per arrivare
alla villa non avevano incontrato né centri abitati né case sparse. La
coscienza dell'isolamento in cui si trovava la sopraffece e cominciò a
ripercorrere l'itinerario della visita alla casa così come si era svolto con
Guido. Di nuovo attraversò la cucina e lo studio, la dispensa e le camere da
letto, ma non c'era molto di divertente nelle stanze vuote e ordinate, e il
silenzio faceva paura. Davanti alla porta del ripostiglio si fermò. Le venne in
mente che lì poteva esserci, se non un televisore, almeno una vecchia radio
poco in carattere con l'arredamento, ma ancora funzionante. La porta era chiusa
a chiave. In cucina, nel cassetto delle posate, trovò un coltello dalla lama
sottilissima che le servì a forzare la serratura. A quel punto era talmente
annoiata e irritata con Guido da non pensare neanche una volta che lui avrebbe
potuto seccarsi per l'iniziativa.
Dopo pochi tentativi la
porta cedette e si spalancò.
Il locale era vasto,
completamente vuoto di mobili, se si eccettua una poltrona posta proprio in
mezzo al pavimento di legno chiaro. Tutte le pareti tranne quella d'entrata
erano coperte di schermi, quasi tutti accesi. In ciascuno era inquadrata una
donna, ognuna occupata in un'attività diversa, ma altrettanto solitaria. C'era
chi si dava lo smalto sulle unghie, chi dormiva, chi leggeva, chi piangeva
accovacciata sul letto, chi stava semplicemente seduta su una sedia fissando lo
schermo. Erano tutte giovani e belle, ma alcune erano vestite in modo strano,
secondo una moda ormai sparita da anni, con capelli cotonati, stivali aderenti,
abitini trapezoidali, altre indossavano jeans sbrindellati e giubbotti di
pelle, o minigonne di stretch, o sottane a fiori e camicioni orientali. Ognuna
sembrava sola in un ambiente ristretto e arredato come le case delle
telenovelas, con mobili modesti e di cattivo gusto.
Marina avanzò lentamente,
stupita e incuriosita da quello che vedeva. Le donne continuarono a dedicarsi
alle loro varie occupazioni per un po', poi a una a una parvero rendersi conto
che qualcuno era entrato nella stanza e si avvicinarono agli schermi mostrando
i volti nudi alla luce cruda che pioveva dal soffitto. In breve furono tutte in
primo piano con le facce schiacciate contro gli schermi, le mani con le unghie
dipinte che graffiavano il vetro, le bocche spalancate in urla silenziose.
Marina cercò i comandi per mettere l'audio, ma non li trovò da nessuna parte.
Sulle pareti non c'era altro che gli schermi incassati, non c'era neppure
l'interruttore della luce che pioveva fortissima da faretti nascosti ai lati
del soffitto. Le donne si agitavano frenetiche, parlavano da sole nelle loro
stanze solitarie, cercando di far giungere a Marina messaggi incomprensibili.
Una rossa ricciuta in
sottoveste nera e sandali d'oro con i tacchi a spillo cominciò a compitare
muovendo esageratamente la bocca dipinta. Dopo un po' Marina riuscì a decifrare
quello che diceva: il telecomando! Cerca il telecomando!
Nella stanza non c'era altro
che la poltrona. Marina si precipitò fuori per cercare negli altri locali, ma
non trovò nulla. La ricerca non fu difficile nell'ordine perfetto che regnava
dovunque: armadi e cassetti erano quasi tutti vuoti, il telecomando non le
sarebbe sfuggito se fosse stato in casa. Pensò agli oggetti che sformavano le
tasche di Guido e tornò scoraggiata nella stanza degli schermi.
Le donne avevano ripreso le
loro occupazioni, ma quando la videro entrare ricominciarono ad agitarsi e a
cercare di parlarle. Si vedeva che erano deluse che non avesse trovato nulla,
ma continuavano a gridare silenziosamente, con gesti e movimenti esagerati che
le ricordarono le eroine dei film muti. Poi, come se si fossero messe
d'accordo, cominciarono a sillabare tutte insieme lo stesso grido. Questa volta
Marina non fece fatica a interpretarlo: scappa! Fuggi! Salvati! Scappa!
E lei scappò, scese le scale
a rompicollo, si precipitò alla porta d'uscita. Ma non appena la ebbe
spalancata dal buio arrivarono di gran corsa i tre doberman abbaiando furiosi e
dovette rientrare precipitosamente chiudendosi la porta alle spalle.
Disperata si gettò sul divano di pelle e pianse a
lungo senza fare rumore, come le donne dietro agli schermi. D'improvviso le
venne un'idea e si mise a cercare il telefono. Ma non c'era neanche questo, da nessuna
parte. Il cellulare naturalmente era sparito con Guido. Non c'era altro da fare
che aspettare, e nell'attesa si sforzò di pensare intensamente se davvero non
esisteva un via d'uscita. Ritrovò un po' di calma e finì per convincersi che
c'era sicuramente una spiegazione a quello che aveva visto. Forse si tratta di
registrazioni così ben costruite da trarre in inganno chi le vedeva. Con questa
speranza corse di nuovo su per le scale, ma non appena la videro le donne
ricominciarono con le loro grida mute:
che cosa fai ancora qui? Scappa! Scappa! Infine le balenò una debole speranza.
Se fosse stata carina con Guido, forse lui si sarebbe innamorato e l'avrebbe
portata a Roma l'indomani mattina come
aveva promesso. Seduta su una poltrona in pelle e acciaio cominciò a elaborare
un piano di seduzione.
Era molto tardi quando sentì le tre chiavi girare
nella serratura. Guido le venne incontro con il viso stanco e sorridente.
"Mi hai aspettato!" disse allegro.
"Chissà che sonno, poverina!".
La prese per mano e la tirò accanto a sé sul divano.
"Ora ti prometto che mi occuperò solo di te
fino a domani".
Lei gli si strinse contro e gli cercò le labbra a
occhi chiusi. Aveva pensato che avrebbe potuto tentare uno spogliarello come
quelli che si vedono al cinema, ma non fu necessario. Sembrava che Guido non
avesse nessun bisogno di essere sedotto. Fu lui a spogliarla e più tardi la
condusse in camera da letto e fu tenero e attento come nessuno degli uomini che
lei aveva conosciuto prima.
L'ultimo pensiero di Marina, prima di addormentarsi
tra le sue braccia, fu:
"Mi sono immaginata tutto. Che peccato che
domani mi porterà a Roma e non ci vedremo più".
Fu svegliata dal profumo del caffè. Guido, avvolto
in una lucida vestaglia nera, si chinava su di lei con un vassoio in mano.
Aveva il viso allegro e la baciò con tenerezza.
"Ma lo sai che ora è? Se non ci sbrighiamo non
arriveremo mai a Roma stamattina!".
Fecero colazione a letto, poi lui parve dimenticare
l'ora, si tolse la vestaglia e si infilò sotto le lenzuola. Fu ancora più dolce
e appassionato della sera prima. Quando Guido si alzò per andare in bagno,
Marina si perse in un piacevole dormiveglia dal quale si riscosse a fatica
sentendolo tornare. Aprì gli occhi e lui era lì in piedi con la vestaglia nera
e una telecamera in mano. In un gesto di estrema difesa Marina si infilò la
lunga maglietta che usava come camicia da notte poi, con la sensazione di
essere risucchiata da un vortice, si ritrovò in una stanza lunga e stretta
senza porte né finestre, con un grande schermo sul quale si vedeva una stanza
vuota in cui c'era Guido, seduto in poltrona con un telecomando in mano.
Marina spalancò la bocca per urlare e le lunghe
delicate dita di lui si mossero sui comandi. Dalla bocca non le uscì alcun
suono. Le dita premettero un altro pulsante e la maglietta azzurra, i capelli
neri, i mobili da quattro soldi si scolorirono, si scurirono, si trasformarono
in un piatto bianco e nero, poi - ancora un altro tasto - riassunsero i loro
colori e si tinsero di sfumature esasperate, gialli accecanti e rossi accesi.
Per qualche istante Marina ritrovò la voce ma subito le fu ritolta. Ancora le
dita si muovevano nervosamente. Si avvicinò allo schermo, schiacciò il viso
contro il vetro e lo graffiò con le unghie
rosicchiate, mentre dalla bocca muta, a perdifiato, le usciva un grido
silenzioso: non spegnere! Per favore, ti prego, ti prego, non spegnere!
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