Francesco
Gallo è un esordiente che non sembra affatto tale. Di lui so pochissimo, è un
giovanotto simpatico e disinvolto nato nel 1977, vive a Torino, come recita la
quarta di copertina “lavora in giacca e cravatta, ma deve ancora capire che
cosa fare della propria vita”, scrive benissimo e ha vinto l’edizione 2011 del Premio Alga con Almeno gli alberi hanno le foglie,
dietro al quale ci devono essere anni di scrittura e soprattutto di letture. È
un noir appassionante e super romantico, dal passo lento, che ci dice molto
sulla generazione che oggi è sulla trentina e al tempo in cui si svolge il
romanzo, presumibilmente il 2008 dagli accenni all’Onda studentesca e alle
manifestazioni contro la riforma Gelmini, era variamente scaglionata lungo la
ventina; è anche un romanzo di formazione, come qualsiasi romanzo che ha un
giovane come protagonista e io narrante. Che è Gabriele Pazienza (un omaggio al
grande indimenticato Andrea, ma anche una caratterizzazione che in un certo senso
non stona affatto con il personaggio), in possesso di una laurea, precariamente
impiegato in un’agenzia di investigazioni dopo una serie di lavori persi o
rifiutati. Gli viene affidato il primo caso di pedinamento: deve seguire Lucia,
studentessa figlia di un ricchissimo borghese che vorrebbe saperne di più sulle
attività che la tengono fuori casa notte e giorno. Presto Gabriele capisce che
la storia non è così semplice, Lucia è un mistero molto più complesso del
previsto, il padre non la conta giusta. Comincia così per lui un’avventura che
gli sconvolgerà la vita, portandolo a scelte senza ritorno. Gabriele è
disperato e allo stesso tempo dotato di principi e convinzioni, pronto a
giocarsi l’esistenza per il bel gesto, l’atto eroico che persegue una giustizia
personale e ingiusta, è l’ultima incantevole personificazione del superomismo
autolesionista. Non cerca di rendersi simpatico a nessuno, tranne forse ai
bambini. Non è ribelle, è lucido, forte e critico, un perfetto eroe romantico
che alla fine sceglie il beau geste perché qualsiasi ritorno alla vita “normale”
sarebbe un abbassarsi. Importanti, e molto interessanti, sono le figure
femminili, identificabili nella femme
fatale, la mamma (anzi due, c’è anche la mamma vera) e la compagna di
giochi. Le donne giovani sono sempre caratterizzate dall’aggettivo piccolo,
piccolo mento, piccole mani, e dal contrasto tra la forza morale, caratteriale,
e la vulnerabilità fisica. Le vediamo sovente addormentate, ne ammiriamo collo
e nuca. Per contro, il mondo maschile è legato a una virilità romantica e tutto sommato limitante:
con gli uomini si compete, si beve, ci si scazzotta, si scherza; con le donne
non si scherza mai, si scopa e si parla. I vari personaggi giovani sono
studenti, fuoricorso, sottoccupati e precari. L’università e gli studi non
hanno più nessun valore, non sono né occasione di riscatto né costituiscono una
barriera sociale da opporre ai meno privilegiati, la laurea non porta da
nessuna parte, la si prende per poi buttarla via lavorando come manovale in
nero in un cantiere. Belle, benissimo delineate con una sorta di affettuosa
commozione, le figure sullo sfondo della madre e di Vincenzo, l’operaio
meridionale con le mani grosse che le ha restituito la serenità dopo anni
difficili. I padri, nel complesso, meglio perderli che trovarli.
La grande differenza tra l’“essere
contro” di Gabriele e le ribellioni giovanili che hanno percorso la seconda
metà del ‘900 è che lui è solo, il suo gesto è isolato, non cerca la
condivisione né un’eco sociale, non conosce l’esaltante coscienza di fare parte
di un movimento, anzi: sia lui che i suoi coetanei sono individui e basta.
Torna più di una volta il ricordo del G8 di Genova, dove Gabriele ha
sperimentato la violenza e l’ottusità del potere, e forse ancora si è sentito
parte di un’esperienza collettiva, ma questo è già il passato. Le
manifestazioni in cui si trova coinvolto inseguendo Lucia non sono tali, non si
manifesta niente, non sentiamo slogan, sono solo occasioni per contrapporsi
faccia a faccia, petto a petto con la polizia, conquistarsi l’ambigua medaglia
dei lividi da manganellata. Infatti, chiosa Gabriele non si sa se più stoico o
più disincantato, Gli studenti furono
sconfitti, la riforma si fece. I precari furono sconfitti, la riforma non si
fece. Gabriele non ha cose da chiedere, utopie, aspirazioni: l’odio per
l’“orco” che rappresenta per lui tutto quanto è disprezzabile al mondo, e
l’amore disperato e assoluto per Lucia sono altrettanto improvvisi,
inesplicabili, privi di sostrato, di pensiero, di motivazioni basate sulla
conoscenza: puro, romantico abbandono all’istinto della coscienza che riconosce
solo a se stessa il diritto di giudicare. L’ambientazione in una Torino
straordinariamente reale dove si mescolano San Salvario e Crimea, Corso Regina
e i centri sociali, Porta Nuova vista dall’alto di un cavalcavia e le birrerie,
le gradinate di Palazzo Nuovo e il Valentino ai primi caldi, è affascinante
come un basso continuo che non prevarica mai la linea melodica principale. Piangemmo insieme, sperando che il bambino
non si svegliasse e scoprisse quanto può essere brutale la vita di due ragazzi
qualunque in questa città che qualunque non sarà mai. Fondamentale anche la
colonna sonora che accompagna tutta la vicenda. Infine, dal mio punto di vista
strettamente personale due meriti in più: primo, l’orribile segreto che emerge
dal passato è almeno una variazione sul tema più abusato e stucchevole degli
ultimi anni, e i personaggi, pur praticandolo spesso e volentieri, non usano
mai l’orripilante espressione “fare sesso”. Il romanticismo e il superomismo
perdente sanno molto bene come scegliere un linguaggio all’altezza del proprio
valore.
Mi sembra drammaticamente vero. I giovani non hanno mai imparato a combattere e attaccare insieme. Non l'hanno imparato da noi - chi perde non ha nulla da insegnare - nè potevano impararlo altrove. Mi sembra un buon libro, grazie per la segnalazione. E prossimamente ti chiederò di copiarlo per LN.
RispondiEliminaNon si impara dai propri errori, figuriamoci da quelli degli altri. E forse è un passaggio necessario. D'altra parte gli esempi e l'utilità del fare collettivo di questi tempi... brr, vorrei dimenticarmene fino a domattina. Ciao Max ;-)
RispondiEliminaCiao, Conso. Se ti va bene domani mattina pubblico questo tuo articolo. Un bacione, Max.
RispondiEliminaE me lo chiedi? Grazie! Smack smack smack.
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