Non me ne sarei mai accorto se non
fossi stato disturbato da un leggero raschiare che mi fece sollevare lo sguardo
dal giornale. Mi caddero gli occhi a terra e prima che riuscissi a
riacchiapparli finirono sotto il divano dov’era acquattato un topolino.
I topi in casa mi danno un gran
fastidio, mi deprime il senso di sciatteria e sporcizia che si tirano dietro
nelle loro rapide fughe, come la purea di patate e il pollo bollito che mi
facevano mangiare da bambino quando avevo l'influenza. Sinceramente avrei
preferito non vederlo.
Mi chinai a raccattare a tentoni
i miei begli occhi dall'iride azzurro mare, la cornea bianca come la panna,
appena appena venati di rosso sul dietro, e me li rinfilai con cura nelle
orbite. Anche questa era una cosa che mi irritava: tutto quel vorticare di
coglioni dentro ai pantaloni, quel cuore che mi sanguinava o si metteva a
piangere attraverso il petto, quel trovarmi ogni sorta di oggetti sulla punta
della lingua quando cercavo una parola, mi stancava. Per questo avrei voluto
avere un corpo un po' meno letterale, capace di riconoscere una metafora quando
la incontrava, ma non c'era niente da fare, ero sempre stato così fin
dall'infanzia. Prendevo tutto alla lettera, ero troppo serio, me lo diceva
sempre mia mamma buonanima. Mi era rimasto un velo di polvere sulle pupille che
fluttuava alla corrente d’aria. Decisi che avrei finalmente licenziato Rosa, la
donna delle pulizie: era diventata davvero troppo trascurata.
Prima di uscire mi diedi una
spolveratina agli occhi e sistemai una trappola con l'esca avvelenata sotto al
letto. Niente pietà per il topolino di città. Avevo un appuntamento con
Valeria, la mia nuova fidanzata, e speravo di riuscire a portarla su quel
medesimo letto di lì a poco.
Non mi ero reso conto che la
temperatura era calata e appena fui in strada, con la mia leggera giacca di
canapa sulla maglietta a maniche corte, mi coprii di pelle d'oca. Gialla,
grassa, spessa, irta di peluzzi e piumette, sporgeva dai polsi della giacca e
dallo scollo della maglietta in maniera veramente fastidiosa, ma non avevo
tempo di tornare a casa a cambiarmi. Per fortuna Valeria mi aspettava in un bar
dove faceva un bel caldino.
"Ciao amore," mi salutò
lei, con un sorriso che avrebbe fatto arrapare un merluzzo surgelato. Un
sorriso che allargava il cuore, ed ecco che il mio cuore si allargò tanto da
deformare la maglietta, tump tump tump, pulsando indiscreto fuori dalla giacca.
Mi detti un pugno sul petto per rimettere ordine e le sedetti accanto.
Non mi ci volle molto per
convincerla a venire a casa mia. Stretti stretti, la mano nella mano, salimmo
le scale fino al mio appartamento. Per fortuna, non avevamo gli occhi negli
occhi, non so se sarei stato in grado di districarli.
La trappola era ancora vuota, me
ne assicurai mentre Valeria era in bagno per un ultimo veloce controllo alle
sue grazie. Mi spogliai e mi infilai sotto le lenzuola, in ansiosa attesa. Lei
giunse leggera e bellissima, nuda come la verità.
"Ti amo," disse in un
soffio, mentre le sue mani si spingevano lungo il mio corpo in curiosa
esplorazione. Io mi limitai a un "Ah" molto sentito ed espressivo. Il
linguaggio dell'amore è pieno di trabocchetti per un corpo privo di sensibilità
metaforica.
Più tardi, seduti al tavolo di
cucina davanti a una tazza di tè, ci guardammo tenendoci per mano. Avevo finito
lo zucchero, ma il tè mi parve dolce lo stesso.
"Ti amo," disse
Valeria. Non aveva una conversazione brillante.
"È stato bellissimo,"
aggiunse.
"È stato fantastico,"
dissi io. Neanche la mia conversazione era brillante, ma bisogna considerare il
fatto che ci conoscevamo appena. Non sapevo quasi niente di lei, a parte il
fatto che guardandola mi veniva in mente una cosa sola.
Si alzò aggiustandosi la gonna
che le era scivolata su per le cosce.
"Mi accompagni a casa?"
"Certo, tesoro. Aspetta solo
che mi infilo un pullover".
Mentre ero in camera da letto
suonò il campanello della porta.
"Apri tu," gridai,
affaccendato a scegliere un golf che stesse bene con i miei occhi.
Sentii un mormorio di voci
femminili e mi affrettai ad andare a vedere chi era arrivato. Era Marianna, la
mia ex fidanzata, che mi faceva una brutta sorpresa. Solo che lei non sapeva
ancora di essere ex.
Mi guardò con occhi pieni di
lacrime.
"Sono due settimane che
aspetto una tua telefonata. Ti ho lasciato decine di messaggi sulla segreteria.
Adesso ti trovo con una donna. Che cosa succede, Francesco? Che cosa ti ho
fatto per essere trattata così?"
Mi sentii improvvisamente una
merda, e non fu piacevole per nessuno dei tre, ve lo assicuro. Fortunatamente
il topo scelse proprio quel momento per uscire dalla camera da letto (si doveva
essere goduto tutto lo spettacolo, quel piccolo guardone) e attraversare il
corridoio sfiorando i piedi di entrambe le ragazze.
"Francesco!" gridò
Valeria.
"Francesco!" gridò
Marianna.
Tanto bastò perché mi sentissi
nuovamente uomo, e afferrata una scopa mi esibii di fronte alle due
terrorizzate fanciulle in una caccia che più maschia non si poteva. Alla fine,
vincitore, afferrai il topolino tramortito per la coda sottile e lo feci
dondolare davanti ai loro occhi. Loro si guardarono, facendo una smorfia
speculare.
"Che crudeltà," disse
Marianna.
"Che schifo," disse
Valeria.
Mi sforzai di resistere con tutte
le mie forze, cercai di pensare a come si comportavano le due stronzette in certi
momenti intimi, mi ripetei una te la sei
appena scopata, l'altra piangeva per te dieci minuti fa, ma non potei fare
a meno di sentirmi un gran coglione. Il guaio era che non ero solo, e le
squinzie che assistevano allo spettacolo lo trovarono molto ridicolo.
Ridendo come matte, ma in pieno
possesso delle loro facoltà mentali, Valeria e Marianna se ne andarono
sottobraccio. Io rimasi solo con il topo che si riprese subito e mi lanciò uno
sguardo velenoso prima di infilarsi in cucina. Poco dopo sentii il rumore
fastidioso e insolente dei suoi dentini che sgranocchiavano i biscotti nella
scatola sulla tavola.
Quando riuscii a riprendermi
andai in cucina a preparami qualcosa da mangiare. Le emozioni mi fanno sempre
venire fame. Il topo schizzò via senza degnarmi di un'occhiata. Mi sentivo uno
straccio, e questo mi rese molto difficile manovrare pentole e fornelli.
Comunque, alla fine riuscii a cucinare due uova al burro.
Non avevo sonno, per cui mi misi
davanti alla televisione nel tentativo di distrarmi dall'umiliazione. C'era un
programma che di solito mi appassionava, una specie di salotto dove un gruppo
di persone confessava le sue più riposte e vergognose depravazioni, ma non
riuscivo a seguire il cicaleccio. Nessuno mi sembrava più abbietto di me. Un
paio di volte mi sciolsi in lacrime, e non fu facile ricompormi. Alla fine
andai a letto con un libro, ma dal gran piangere avevo la testa in fiamme e
dovetti perdere più di mezz'ora per spegnere l'incendio del cuscino e pulire il
pasticcio che avevo combinato. Non volevo addormentarmi subito perché avevo il
cuore in gola e rischiavo di soffocare nel sonno. Mi infilai due dita nella
strozza per rimetterlo al suo posto, con il risultato che mi venne immediatamente
da vomitare. Chino sul water, scosso dai conati, avevo un solo pensiero in
testa:
"Non devo vomitare anche
l'anima!"
Finalmente mi addormentai e
dormii un sonno di piombo. C'è da stupirsi? La mattina dopo avevo tutte le ossa
rotte, un sapore schifoso in bocca e un principio di avvelenamento. Strisciando
sul pavimento, mi trascinai fino in cucina per bere un po' di latte come
antidoto. Quando riuscii a tenermi dritto sui femori rinsaldati e riprendere il
controllo di falangine e falangette, cancellai con molta cura i numeri di
telefono di Valeria e Marianna dalla mia agenda. Dopo mi sentii più leggero. In
effetti, pesandomi sulla bilancia del bagno, vidi che ero calato di quindici
chili.
Però in quel lontano giorno di
primavera mi sono fatto una promessa che non ho mai più infranto: ricordarmi
sempre di lasciare una fidanzata prima di farmene una nuova.
Delizioso. Inevitabile pensare che i tre bipedi siano altrettanto idioti e schierarsi dalla parte del topino. Il che, se non sbaglio, è esattamente nell'intenzione dell'autrice.
RispondiEliminaSai che per i topi ho una certa simpatia... la mia prima pubblicazione è "Per amore di un topo".
RispondiEliminaCiao Max, come va? come sono andate queste prime settimane? che fai di bello? Stamattina sono andata al mercato di piazza Madama Cristina e il pensiero che ormai è diventato una meta e non più una tappa nel tragitto verso la CS mi ha fatto un po' stringere il cuore (eccedo in metafore, data l'occasione). Spero di vederti, vedervi, presto. Smack
Ciao Conso! Va discretamente, un po' preso tra i cascami dell'attività ormai defunta e i giri paraburocratici per recuperare un assegnuzzo di disoccupazione. Un incubo, per farla breve. Non appena sarò uscito da questo purgatorio sarà felicissimo di vederti. Sempre che non mi capiti di passare dalle tue parti...
RispondiEliminaDivertentissimo. Le metafore prese "ala lettera"mi hanno fatta ridere un sacco. Brava!
RispondiEliminaAlla lettera
RispondiElimina@chiara: grazie mille del feedback! non mi ricordavo più di questo antichissimo raccontino... certo ridere sulle metafore è un gioco un po' facile, ma è sempre divertente. Felicissima di esserti piaciuta, e grazie ancora.
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