Oggi è il 25 novembre, quindi sono in ritardo di una settimana (non per distrazione né per dimenticanza, ma per una serie di circostanze esterne), nel ricordare la scomparsa di Elisabetta Chicco Vitzizzai avvenuta il 19/11/17. E cinque anni sono tanti, ma certo non sono bastati per scordarla. Ogni volta che passo sotto casa sua, in via Cavour, alzo gli occhi ai suoi balconi e penso che non bisogna dimenticarla Elisabetta, e soprattutto bisogna continuare a leggere i suoi libri. Ripubblico il post che ho scritto in occasione della sua dipartita e invito a leggere anche gli altri che le ho dedicato (i link sono in fondo). E' una scrittrice da leggere e rileggere, soprattutto se si ama Torino e e si cerca una rappresentazione acuta, spiritosa ma anche critica e profonda di una città che non esiste più.
Questo
 è un post che non avrei mai voluto dover pubblicare. E mi viene in 
mente un solo modo per ricordare un'amica, una donna bellissima, una 
scrittrice tanto raffinata quanto ironica: parlare, e continuare a 
parlare, delle sue opere, cominciando dalla mia preferita.   
Il più bel vizio è la vita 
Questa
 nuova fatica di Elisabetta Chicco Vitzizzai, pubblicata da Instar, è un
 libro agile che dà piacere a ogni parola, perché ogni parola è studiata
 e limata da una scrittura priva di qualsiasi sbavatura o compiacimento.
 Non si tratta di un romanzo ma della ricostruzione di un mondo perduto,
 la Torino (e dintorni) degli anni che stanno tra il ‘45 e
 gli anni ’60 del secolo scorso. L’autrice è figlia di un pittore, 
Riccardo Chicco, molto conosciuto a Torino sia per l’eccellenza delle 
sue opere (una è in copertina) che per essere stato un vero personaggio:
 nella parole della figlia fondamentalmente era un esteta e un pittore, accessoriamente un amante, sempre un seduttore.
 Marginalmente anche insegnante di storia dell’arte al liceo classico, 
dove io sono stata sua allieva. È naturale che la sua figura campeggi in
 queste pagine, ma in effetti non è l’unica né la principale. Tutta la 
famiglia della protagonista, una Elisabetta prima bambina poi 
adolescente, è dipinta con tratti nettissimi e precisi, e senza sconti. 
Sono pagine divertenti e divertite, abbastanza perfide. C’è la bella 
madre, piena di carattere ma del tutto priva di senso materno, c’è la 
zia Eva che mantiene la linea vivendo di whisky e sigarette, la tremenda
 zia Titina (la figura più esilarante e spaventosa) dedita alle opere di
 bene, gli zii, i vicini di casa, le figure di una Torino che si lascia 
alle spalle la guerra. 
È la Torino del Sollazzo Gastrico, della Turris 
Eburnea, della Tampa Lirica, dell’Escargot, nomi che forse non dicono 
molto ai più ma fanno sobbalzare chi quei tempi li ha vissuti o ne ha 
sentito parlare da zii e fratelli maggiori, l’altra faccia della Torino 
deprimente, grigio ostaggio della Fiat, in cui si aggirano personaggi 
trasgressivi e anticonformisti, come appunto Riccardo Chicco o Carol 
Rama e altri presentati dalle semplici iniziali. Torino è sempre stata 
assai più complessa e divertente di quel che il luogo comune voleva. 
Come supremamente divertenti sono gli episodi e i personaggi di questo 
libro, in apparenza svagato collage di
 ricordi, in realtà monumento alla distanza che permette di vedere 
un’epoca passata per quel che è, fuori dal compiacimento, dalla 
nostalgia. Non “come eravamo” ma “come erano”, bizzarri, ridicoli, 
cattivi, unici, umani, comunque nostri, e per fortuna che noi siamo 
diversi. Almeno fino a quando una nipote dalla penna intelligente, 
perfida e spiritosa come quella di Elisabetta Chicco Vitzizzai non 
deciderà, in un lontano futuro, di raccontarci. La parsimonia era una
 delle esecrabili virtù di  famiglia. […] L’indole sospettosa e 
l’eccessiva precisione erano un’altra caratteristica di famiglia. […] Zia
 Luda sembrava una sedia liberty. Di quelle sedie allampanate, smunte, 
scivolate nei braccioli e nello schienale. […] Le due figlie di zia 
Luda, Mati e Matè, sembravano due poltrone imbottite, solide e goffe. 
[…] La Cicci faceva un mestiere ormai in declino, la mantenuta. […]  Zia
 Titina aveva una vera passione per le deformità e le collezionava si 
può dire con gusto ed esaltazione feticistici. Viene freddo al pensiero e insieme si scoppia a ridere.
Vedi anche L'amore come sai, Trasgressioni, Gli ossibuchi di Nietszche, Eros in bicicletta, Dio ride  

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