Sorprendente, veloce, dinamico, senza momenti psicologici, descrittivi o riflessivi.
Parla il penultimo di quattro generazioni di una
çerge (famiglia) zingara che vive nell'ex Yugoslavia del dopoguerra fino all'inizio della guerra del Kososvo. Partendo da Jorga Mirga detto Winetou, il nonno pazzo che trascorse sei anni nelle carceri di Tito per avere mandato una lettera di consigli e domande al Maresciallo (che però non la ricevette mai) e dalla nonna Rajka e i suoi due mariti, Lijutvia (che ha barattato il nome di famiglia con quello di Belmoldo in onore di Jean Paul Belmondo) ricostruisce la vita dell'intera dinastia, del padre che contrabbandava jeans dall'Italia, la propria, e quella del figlio Dono. Attorno e accanto a queste figure maschili ce ne sono molte di donne, importanti, piene di carattere e volontà, ma tenute un po' ai margini della storia.
Molto interessante è la voce narrante di Lutvija, zingaro che narra totalmente dall'interno della sua comunità, anzi del suo popolo. Ha dei suoi valori che non coincidono con quelli di tutti ma sono molto solidi, costituiscono una sorta di codice che tutti rispettano. Hanno tradizioni e leggende, tra le quali quella del quarto chiodo della croce di Cristo è fondante del destino degli zingari, e nel romanzo se ne trova una variante molto suggestiva.
Le tormentate vicende storiche tra cui si dipana la vicenda non sono assolutamente uno sfondo ma si intersecano strettamente con quelle dei personaggi, così che li seguiamo dal dopoguerra attraverso il regime di Tito (Lutvija a un certo punto entra persino nel partito), la sua morte e il relativo cordoglio, fino all'inizio della sanguinosa guerra che divampò nell'ex Jugoslavia e allo stesso tempo cambiano le attività della çerge che passa dalla lavorazione della pietra per costruire mole al contrabbando di beni di consumo con l'Italia a quello di armi con l'Autria, alla creazione di un night club e addirittura di un villaggio, nel tentativo di stanziarsi. Alla fine sarà l'eroina a fare vittime tra i rom come nel resto dell'Europa.
La bella traduzione è di Sabina Tržan.
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