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venerdì 22 febbraio 2019

Elogio della marginalità: Feri Lainšček, La storia di Lutvija e del chiodo arroventato

Confesso ancora una volta la mia abissale ignoranza: non avevo mai sentito parlare dello scrittore sloveno Feri Lainšček prima di imbattermi nel suo romanzo La storia di Lutvija e del chiodo arruginito, che consiglio vivamente a chiunque coltivi un po' di curiosità nei confronti del mondo e della letteratura.

Sorprendente, veloce, dinamico, senza momenti psicologici, descrittivi o riflessivi.
Parla il penultimo di quattro generazioni di una
çerge (famiglia) zingara che vive nell'ex Yugoslavia del dopoguerra fino all'inizio della guerra del Kososvo. Partendo da Jorga Mirga detto Winetou, il nonno pazzo che trascorse sei anni nelle carceri di Tito per avere mandato una lettera di consigli e domande al Maresciallo (che però non la ricevette mai) e dalla nonna Rajka e i suoi due mariti, Lijutvia (che ha barattato il nome di famiglia con quello di Belmoldo in onore di Jean Paul Belmondo) ricostruisce la vita dell'intera dinastia, del padre che contrabbandava jeans dall'Italia, la propria, e quella del figlio Dono. Attorno e accanto a queste figure maschili ce ne sono molte di donne, importanti, piene di carattere e volontà, ma tenute un po' ai margini della storia.

Molto interessante è la voce narrante di Lutvija, zingaro che narra totalmente dall'interno della sua comunità, anzi del suo popolo. Ha dei suoi valori che non coincidono con quelli di tutti ma sono molto solidi, costituiscono una sorta di codice che tutti rispettano. Hanno tradizioni e leggende, tra le quali quella del quarto chiodo della croce di Cristo è fondante del destino degli zingari, e nel romanzo se ne trova una variante molto suggestiva.

Le tormentate vicende storiche tra cui si dipana la vicenda non sono assolutamente uno sfondo ma si intersecano strettamente con quelle dei personaggi, così che li seguiamo dal dopoguerra attraverso il regime di Tito (Lutvija a un certo punto entra persino nel partito), la sua morte e il relativo cordoglio, fino all'inizio della sanguinosa guerra che divampò nell'ex Jugoslavia e allo stesso tempo cambiano le attività della çerge che passa dalla lavorazione della pietra per costruire mole al contrabbando di beni di consumo con l'Italia a quello di armi con l'Autria, alla creazione di un night club e addirittura di un villaggio, nel tentativo di stanziarsi. Alla fine sarà l'eroina a fare vittime tra i rom come nel resto dell'Europa. 
La bella traduzione è di Sabina Tržan.


Ora, io ho amato moltissimo questo romanzo e penso che meriti di essere letto e conosciuto, ma so per certo che almeno per ora, questo non avverrà. Io ho avuto la ventura di scoprirlo su una bancarella dove vengono venduti, al prezzo di 1 €, i numerosissimi titoli delle Edizioni Barbès. Ci sono nomi e storie che fanno venire l'acquolina (un solo esempio, Chahdortt Davann, Vengo da Altrove), ne ho acquistati parecchi, ne acquisterò ancora, molti li ho letti e altri ne leggerò appena ci riesco. Ma se vi imbattete in questi preziosi libretti (uso il diminutivo per le loro ridotte dimensioni, ma sono anche molto belli come oggetti e curatissimi dal punto di vista grafico), non fateveli scappare, sgattate e cercate, sicuramente troverete qualcosa che vi si addice. Questo è il vantaggio della marginalità, quando la si scopre vale come un tesoro. 

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