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venerdì 31 agosto 2018

Un romanzo epico e romantico tra i banditi del Tauro: Yashar Kemal, Memed il falco

Avete immaginazione, vi piacciono i romanzi dove scoprire paesi, abitudini, storia e storie lontane dalla vostra? In poche parole, leggete per sognare e scoprire e non solo per identificarvi? Allora anche a voi piacerà il romanzo di Yashar Kemal, Memed il falco, uscito in Turchia nel 1955 e pubblicato in Italia nel 2001 da Tranchida con la traduzione di Antonella Passaro. A me è piaciuto tantissimo, mi ha fatto passare ore bellissime sulle montagne del Tauro con i banditi in fuga perenne, il fiato corto, le mani e i piedi sanguinanti per la durezza delle rocce su cui si arrampicano, la fame e la paura, l'orgoglio e la ferocia che gli dilaniano il cuore.

La vicenda è ambientata nella Turchia ormai repubblicana, Ankara è lontana ed è meglio non disturbarla con gli affari del posto, l'epoca precisa non è detta ma possiamo immaginare che non sia lontana da quella di pubblicazione. Malgrado tutto ciò che è cambiato, nelle campagne ai piedi dei monti vige ancora una specie di feudalesimo in cui gli Agha, signorotti autoproclamati, derubano i contadini di terre, animali e raccolti, spadroneggiano grazie alla corruzione di polizia e autorità, e per mantenere il proprio potere si appoggiano alle bande che vivono sulle montagne depredando i viandanti, e taglieggiando e o proteggendo, a seconda della propria inclinazione, gli abitanti dei villaggi. Ataturk, il padre dei turchi, non è mai nominato, e l'Islam rimane sullo sfondo, scontato ma evanescente. Ma nella visione fortemente epica e romantica di Yashar Kemal il bandito è anche il puro, l'innocente che si ribella, e mosso da un senso di giustizia superiore abbandona la società per ricreare un mondo migliore sulle vette e nei boschi del Tauro.

Tale è il protagonista Memed lo smilzo (ogni personaggio ha un suo soprannome che lo definisce e lo umanizza), orfano di padre e presto anche di madre, costretto fin dall'infanzia a lavorare nei campi infestati dai cardi che lo feriscono e lo fanno sanguinare, per dare al prepotente Abdi Agha la maggior parte del raccolto e patire la fame. Il suo sogno è fuggire dalla presa, e dalle botte, di Abdi Agha, ma quando all'età di dodici anni mette in atto il suo proposito, le conseguenze saranno solo ancora più botte e ancora più fame. Crescendo Memed giunge a uno scontro diretto con il suo nemico, c'è di mezzo una ragazza, Hatché, e un morto. Memed fugge in montagna, prima unendosi a un bandito rozzo e violento (da coloro che deruba si fa consegnare persino le mutande, costringendoli così a tornare nudi al villaggio, e guadagnandosi l'odio di tutti) poi formando una sua piccola ma sempre più temuta banda.

La vicenda è appassionante e si fa sempre più complessa via via che Memed incontra svariati personaggi, dai suoi compagni ai vari signorotti ai capi nomadi o turcomanni, ai contadini che lo aiutano; i personaggi femminili sono ovviamente meno numerosi e meno in vista di quelli maschili, ma hanno una loro potenza e una volontà fortissima. Più che Hatché, due volte vittima di conflitti in cui si trova coinvolta a causa del suo uomo, altri emergono anche se in ruoli minori: la vedova Isaz pronta a diventare madre di tutti, lei che è stata derubata dell'unico figlio, o Hürü ostinata nella sua ricerca di vendetta e giustizia, mentre tra gli uomini abbondano le figure indimenticabili, da Jabbar a Osman il grosso, i banditi e i capi villaggio, i poliziotti crudeli e quelli misericordiosi, Ali lo zoppo infallibile cercatore di piste, e molti altri. Memed emerge tra tutti perché ciò che lo anima non è solo il desiderio di vendetta, ma un fortissimo senso di giustizia sociale, un'etica contro corrente ma salda e sincera, il che gli conquista l'ammirazione e l'affetto dei contadini e il suo nuovo soprannome: il falco. 

Importantissimo è anche il ruolo della natura, aspra e difficile ma fonte di salvezza nelle montagne, dolce e generosa nelle pianure sempre vagheggiate come la fertile Chukurova. La vendetta si avvicina o si allontana a seconda delle traversie, la tragedia incombe e il destino è crudele. Ma è consolante, giungendo alla fine, pensare che Memed il falco è il primo volume di una quadrilogia, anche se credo che solo i primi due siano stati tradotti in italiano. Vale la pena di leggere la biografia di Yashar Kemal, e io sicuramente continuerò a leggere le sue opere. In ebook si trova tutto in inglese, e alcune cose anche in italiano. In questo blog ho parlato del mio primo (un po' problematico) incontro con l'autore, nelle pagine di Guarda l'Eufrate rosso di sangue.          

lunedì 6 agosto 2018

Una città di pietra impossibile da dimenticare: Ismail Kadarè, Chronicle in stone

Essere in viaggio non facilita la scrittura del blog perché il tempo è poco e non sempre coincide con un collegamento wifi, ma si leggono lo stesso cose bellissime di cui viene voglia di parlare (anche boiate, ma questo è un altro discorso). Sono stata un paio di giorni a Argirocastro, in Albania, città gradevolissima e patria di Ismail Kadarè, scrittore che amo, ne ho visitato la casa e questo mi ha stimolato a cercare Chronicle in stone, libro dedicato alla sua città e alla sua infanzia. Non sono riuscita a trovare una traduzione in italiano e ho letto quella in inglese, ma appena sarò a casa cercherò meglio. Non riesco a credere che non sia mai stato tradotto.
(E infatti, appena tornata in patria, l'amico Ettore Dovio mi ha segnalato l'edizione Tea 2009, titolo La città di pietra, traduzione di Francesco Bruno).  

Chronicle in stone ė un libro magnifico, che ricostrusce la vita ad Argirocastro dalla metà degli anni trenta del ‘900 alla fine della guerra. Allora sotto il dominio degli italiani (visti come pessimi, ma caratterizzati dalla cura nel vestirsi - i bottoni lucidi dei soldati - e una ridicola vanità personale - l’odore di brillantina che ne annuncia l’arrivo, oltre che per avere introdotto in città l’inaudita novità di un bordello), sperimenta ben presto l’orrore della guerra cambiando continuamente occupante quando greci e tedeschi se la passano di mano ogni poche ore. Gli inglesi si fanno conoscere perché, al posto dei pascoli nella valle, costruiscono una pista per aerei. Gli aerei, appunto: grande novità, grandissimo amore e passione di occhi e cervello per il piccolo protagonista, lo stesso autore che narra ciò che ha vissuto in prima persona.

Ma intorno non c’è solo guerra e minaccia, la città ferve di vita e i personaggi, all’interno e fuori della famiglia, sono numerosissimi. Il nonno, le nonne, le zie, le amiche di casa - le donne sono moltissime e fondamentali, sia quelle che girano portando notizie che quelle che si parlano gridando da una finestra all’altra, praticano la magia e altre arti esclusivamente femminili - e poi gli amici con cui commentare e cercare di interpretare il mondo degli adulti, e i tipi più o meno strani che circolano per le vie, e ognuno è portatore di una storia diversa. E la città stessa, l’antica città di pietra con le grandi case costruite sulle cisterne che possono nascondere terribili misteri, con i tetti di pietra che luccicano al sole, e l’antica cittadella che sovrasta dall’alto... Poi tutto precipita, l’avvicendarsi degli occupanti si intreccia alla nascita della resistenza e alle diverse posizioni politiche, alle rappresaglie, i continui bombardamenti diventano parte della routine quotidiana, la guerra semina sangue e tradimenti, le persone, anche le più vicine, cambiano, con l’occupazione nazista si realizza un’antica profezia - la città finirà quando sarà invasa da nemici con i capelli gialli -, c’è lo sfollamento, e quella che sicuramente finisce è l’infanzia del protagonista.

Ora, posso testimoniare che la città esiste ancora ed è molto bella. Vale la pena di andarci e di passarvi qualche giorno. Io ci sono stata due volte, ho visitato alcune delle grandi case sopravvissute alle vicende storiche del secolo passato, in cui Argirocastro ha avuto un destino alterno avendo dato i natali, oltre che a Ismail Kadarè, anche a Enver Hoxha. La casa di Kadarè è stata ricostruita dopo un incendio che l’ha distrutta nel 1999, quella di Hoxha è stata trasformata in museo etnografico. Vi sono ottimi alberghi e ristoranti, un centro vivacemente commerciale, una vasta parte nuova, la cittadella è molto interessante da visitare. Certo conoscere la città aiuta, ma ovviamente questo libro, scritto in una prosa vivace e semplice, priva sia di retorica che di pesantezze stilistiche, spesso ironica, e corredato di veloci pagine di notizie tipo titoli di giornale che contestualizzano gli eventi, avvince, interessa, incuriosisce a prescindere. E spero che faccia venire la voglia, a chi lo legge, di visitare la bella città cui è dedicato.