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giovedì 15 dicembre 2016

Il perfetto racconto di Natale: Gunnar Gunnarsson, Il pastore d'Islanda

Di Gunnar Gunnarsson  ho letto in tempi ormai preistorici L'uccello nero, pubblicato nella benemerita Medusa degli Italiani. Non ricordo la storia se non che c'entrava un tormentatissimo pastore protestante, ma ho ben presente l'impressione che mi fece la descrizione della cupa e gelata Islanda di cui a stento conoscevo l'esistenza. Da quando ho scoperto, grazie alla mai abbastanza ringraziata Emilia Lodigiani e la sua casa editrice Iperborea, le meraviglie e i piaceri della letteratura islandese, mi sono sempre ripromessa di rileggerlo ma alla fine è con Il pastore d'Islanda che è avvenuto il mio secondo incontro con Gunnar Gunnarsson.
 
Si tratta di un racconto lungo più che di un romanzo, che rappresenta una classica lettura natalizia nel paese d'origine dell'autore. Scritto nel 1936 in danese come tutte le opere di Gunnarsson, fu da lui stesso tradotto in seguito in islandese. La storia è semplice: il pastore Benedikt da ventisette anni suole partire, nel primo giorno dell'Avvento, alla ricerca delle pecore smarrite sulle montagne per riportarle in pianura e salvarle dalla morte certa. Insieme a lui il montone Roccia e il cane Leó costituiscono quella che i contadini delle pochissime case sparse nella campagna inospitale chiamano, di nascosto, "la santa Trinità". Viene accolto con molto affetto (implicito) perché il suo compito è nobile e dettato solo dal suo forte senso di responsabilità nei confronti degli animali, importantissimi e molto presenti in tutto il libro. Il suo rapporto con Roccia, il montone fondamentale per tenere insieme le pecore una volta trovate e convincerle a muoversi, è di enorme rispetto e considerazione. Le prime cure sono sempre per lui, per lui il fieno che Benedikt porta faticosamente in spalla su per le montagne. Anche Leó, che aiuta a scovare le pecore smarrite, è molto importante, ma il rapporto tra lui e il padrone è più paritario, cameratesco: si dividono il cibo fraternamente.

Il pastore Benedikt è vecchio (cinquantaquattro anni!) e forse non ha più la forza di quando ha incominciato a rincorrere le pecore sui monti nel più profondo dell'inverno. Ma il suo cuore è grande, la sua natura contempla la generosità e l'abnegazione, e forse qualcuno ne approfitta. Fatto sta che prima di riuscire a dedicarsi alla sua missione viene continuamente interrotto da gente che gli chiede un aiuto, per riportare in pianura le pecore che ha avventatamente lasciato al pascolo, o per ritrovare dei cavallini smarriti. Benedikt non si sottrae, sa che il suo compito è aiutare chi ha bisogno di lui, condivide con loro le sue scarse provviste e trascorre giorni preziosi nella tempesta e nella neve. La natura è l'altra grande protagonista del libro: ottusamente maestosa e potente, incomprensibile, matrigna ma talmente forte che non si può che inchinarsi davanti alle sue spaventose manifestazioni e, letteralmente, infilarsi in un buco sottoterra finché la tempesta non passa.

La fatica per non farsi abbattere dalla natura è titanica, ma Benedikt, il pastore che salva le pecorelle smarrite, assurge a livelli di sopportazione che ne fanno quasi un santo, quasi un Cristo in croce, inconsapevole e amoroso nei confronti dei suoi animali. Sembra che sia impossibile sopravvivere alle condizioni in cui si trova, e giusto per non farvi un dispetto non vi dico come va a finire. La perfetta favola di Natale, da leggere accanto a un camino scoppiettante mentre fuori il vento ulula, la neve turbina e nella casa si spande il grato profumo dei cibi festivi.
La curatissima edizione comprende un'interessante postfazione di Jon Kalman Stefansson (di cui ho più volte parlato su queste pagine) e una nota di Alessandro Zironi. Traduzione dal danese di Maria Valeria D'Avino.

2 commenti:

  1. Penso meriti davvero. Grazie della segnalazione!

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  2. Se ti piacciono gli stoici islandesi che camminano piegati in due sotto la tormenta, Il pastore d'Islanda non ti deluderà! No, è un bellissimo racconto, forse un po' datato come linguaggio ma vale la pena di dedicargli un'oretta. Mi raccomando, bene al caldo e il grigio fuori dalle finestre. Bacioni a te e alle laureate ;-)

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