PER AMORE DI UN TOPO
Siete mai stati innamorati di un topo? Alla
mia amica Carlotta è successo, me l'ha raccontato lei stessa. Carlotta è una
donna non più giovane ma molto
attraente, dinamica, piena di interessi; insegna in un liceo, viaggia, è
impegnata in un gruppo femminista, organizza corsi di aggiornamento per
insegnanti e prima che questa storia cominciasse aveva una relazione con un
nostro comune amico, simpatico e ragionevolmente innamorato di lei. L'altro
protagonista di questa storia, invece, è un topolino di campagna, minuscolo, di
colore grigio chiaro e con una lunga
coda sottile.
Carlotta vive da sola, in collina, nella
portineria di una villa settecentesca, ai margini di un parco una parte del
quale, recintata, è il suo giardino privato. O meglio, credeva di vivere da
sola. In una fredda sera dell'aprile scorso, mentre era seduta sul divano del
suo salotto e guardava la televisione, scoprì che nella sua casetta c'era un
altro inquilino. Un topolino grigio le saettò tra i piedi e con la velocità del
lampo si infilò sotto un armadio.
Carlotta dice che non fu un amore a prima
vista. La sua prima reazione fu di disgusto e si manifestò con un
femminilissimo strillo e un balzo sul divano. Per dieci minuti rimase
paralizzata dall'orrore, abbracciandosi istericamente le ginocchia, finché il
topo non sporse il muso di sotto all'armadio e i due rimasero a guardarsi fissi
negli occhi per un po'. Gli occhi del topo erano piccoli ma lucidi e penetranti
e Carlotta non riusciva a distoglierne i suoi. Dopo qualche minuto lei si fece
coraggio e appoggiò i piedi a terra, lui venne allo scoperto, si piazzò sul
tappeto, proprio di fronte ai piedi di Carlotta e squittì amichevolmente;
l'amicizia era fatta.
Secondo Carlotta, fin da quella prima sera la loro relazione ebbe
un'insolita intensità. Lei rispose agli squittii dapprima emettendo suoni
inarticolati, e poi con una gentile frase di benvenuto. Il topo avvolse la coda
intorno al corpo e squittì di nuovo. Così gli approcci, che presero ben presto
la forma di un corteggiamento, proseguirono, e alla fine della serata il topo
riposava pacificamente in grembo a Carlotta, che ne carezzava il dorso sottile
con due dita, piano, per non fargli male. Non so esattamente come sia finita la
serata; ma certo fu l'inizio di una nuova fase nella vita della mia amica. So
che fecero colazione insieme, la mattina dopo, Carlotta con caffè e fette
biscottate, il topo con latte e pezzetti di biscotti.
A me la cosa sembra repellente, ma Carlotta
dice che da quel giorno cominciò per lei un periodo di grande felicità,
l'esperimento di convivenza più riuscito della sua vita. Il topo dimostrò
all'inizio una grande discrezione e rispetto per la sua autonomia. La salutava
affettuosamente la mattina, quando lei usciva per andare al lavoro; la
aspettava con ansia la sera, quando tornava stanca nel suo rifugio collinare,
senza protestare se ritardava né chiederle che cosa aveva fatto durante il
giorno; ma era sempre pronto ad ascoltarla se lei aveva voglia di raccontargli
i fatti salienti della giornata. Secondo Carlotta, lui era in grado di capire
qualunque cosa lei dicesse, e anche di esprimere pareri ed elargire consigli,
il che mi sembra un po' eccessivo, ma va' a sapere.
Così lei si legò sempre di più al suo
coinquilino, cominciò a trascurare tutti gli impegni non strettamente
obbligatori, come il gruppo femminista e i corsi di aggiornamento, e persino,
dopo un po', Carlo, il suo compagno. Nel contempo, la relazione col topo
cresceva e si faceva più completa. Fino a che punto sia giunta questa
completezza, io non lo so. Non sono mai stata abbastanza in confidenza con
Carlotta da potere sviscerare questo aspetto della questione. Penso però che
l'intimità si sia spinta molto avanti: il loro era sicuramente un rapporto
fisico oltre che affettivo, e molte delle cose che lei mi ha raccontato lo
provano. Dato che era arrivata la stagione calda, lui aveva preso l'abitudine
di scorrazzarle sulle braccia e sulle gambe nude; le mordicchiava le orecchie,
le titillava il naso con la coda, le si infilava volentieri sotto le ascelle e
con ogni probabilità anche in posti più reconditi, e questa gentile confidenza
fisica le procurava un piacere intenso, insolito, così speciale che gli abbracci
di Carlo (al quale aveva nascosto l'esistenza e la natura del rivale) le
divennero fastidiosi e lei vi si sottrasse definitivamente.
Intanto era giunta l'estate, e sia io che
altri amici cominciammo a notare il progressivo isolarsi di Carlotta. Di solito,
d'estate aveva l'abitudine di invitarci sovente a cena e a trascorrere la
domenica nel suo giardino, ma quell'anno non lo fece neanche una volta. Io le
telefonavo ogni tanto, ma lei era molto evasiva e lasciava cadere le proposte
di vedersi. Un paio di volte la domenica pomeriggio mi recai da lei con un
amico pensando di farle un'improvvisata, ma era talmente evidente che la nostra
presenza le dava fastidio che ce ne andammo via dopo una mezz'ora e non
ritornammo più.
Mi disse in seguito che in quel periodo
aveva provato a portare con sé il topo quando usciva, tenendolo in una tasca o
nella borsa, ma lui non sopportava di starsene rinchiuso e compariva nei
momenti meno adatti, mettendola in imbarazzo e seminando il panico tra i
presenti, così alla fine decise che era meglio lasciarlo a casa e limitò le
uscite allo stretto necessario per passare il maggior tempo possibile con lui.
La scuola era finita e le giornate erano lunghe, dolci da trascorrere in giochi
amorosi con il topolino nella casa fresca o sull'erba del giardino.
Il topo cambiò carattere.
Carlotta dice che era sempre stato molto maschile nelle sue manifestazioni, fin
dall'inizio; ma forse la novità dell'esperienza lo aveva reso più cauto e
disponibile. Verso giugno la sua natura cominciò a manifestarsi con maggiore
pienezza. Divenne prepotente e pieno di pretese. Si innervosiva se non trovava
in tavola i suoi formaggi preferiti all'ora in cui gli garbava, era sempre più
possessivo ed esigente nel pretendere l'attenzione totale di Carlotta e la sua
presenza continua, e divenne anche meno fantasioso e premuroso nelle carezze.
Dividevano il letto, lei sempre un po' in tensione per la paura di schiacciarlo
inavvertitamente; lui cominciò a sparire per notti intere, e a ricomparire la
mattina per colazione, di malumore, e senza dare spiegazioni.
Questo non vuole dire che la loro relazione
diventasse meno intensa o che Carlotta ne fosse meno presa: fu solo la
manifestazione di un elemento di problematicità nei loro rapporti, come sempre succede
dopo la prima fase di trasporto istintivo. Carlotta ne fu quasi lieta, era
stato tutto troppo bello fino ad allora e questa nuova situazione le dava un
maggior senso di realtà; era contenta di avere l'impressione di dover fare
degli sforzi per costruire un rapporto duraturo con l'oggetto della sua
passione.
Giunsero le vacanze, faceva caldo, a uno a
uno tutti gli amici partivano, ma Carlotta non si mosse. A chi le telefonava
per sapere che intenzioni avesse, disse che voleva restare in città perché
aveva problemi economici, e comunque nessun luogo di villeggiatura poteva
essere più piacevole del suo giardino collinare; di viaggiare quell'anno non
aveva voglia. Nessuno si stupì più di tanto, e partimmo tutti tranquilli per le
nostre mete. Carlotta rimase col topo.
Alla fine di luglio si verificò un episodio
terribile. Il topo scomparve per due giorni. Quando ricomparve, un pomeriggio
verso il tramonto, la mia amica era ormai in uno stato di ansia isterica e lo
accolse con una scenata memorabile, della quale ancora oggi si vergogna, ma lui
chiese da mangiare, disse che era troppo stanco per discutere e se ne andò a
dormire. La mattina dopo, mentre faceva pulizia in camera da letto, lei sentì
degli squittii sommessi provenire dal guardaroba, spalancò con furia le ante e
dietro a un mucchio di pantaloni invernali piegati e impilati scoprì un nido,
fatto di cotone idrofilo e giornali rosicchiati, in cui stavano una topina e
una dozzina di repellenti bestioline rosa carne, grosse come fagioli, cieche e
prive di pelo, ma munite di una lunga coda che gli si attorcigliava intorno al
corpo.
Carlotta non ricorda che cosa fece dopo
questa scoperta. Rimase come istupidita tutto il giorno e solo verso sera
riuscì a ritrovare un po' di lucidità e quel tanto di senso dell'umorismo che
le permise di vedere l'aspetto grottesco della vicenda. D'istinto decise che si
sarebbe liberata di tutte quelle bestiacce e, sollevata, se ne andò in cucina a
mangiare qualcosa.
Sul tavolo l'aspettava il topo, con un'espressione
buffa sul musino, mista di impazienza perché nel suo piattino non v'era ombra
di cibo, contrizione e una sorta di malcelato orgoglio. Carlotta notò
soprattutto i suoi baffi che pendevano pentiti e sentì che il cuore le si
stringeva di tenerezza. Senza dire una parola tirò fuori dal frigo un po' di
formaggio e cominciò a tagliarlo a pezzettini. Sentì una carezza che le
percorreva il braccio e il collo, e crollò: seduta al tavolo di cucina, si mise
a piangere e non smise fino a quando i baci del topolino non l'ebbero del tutto
rassicurata.
Era ormai pieno agosto, tutti i negozi dei
dintorni erano chiusi. Per fare la spesa, Carlotta doveva prendere la macchina
e spingersi fino in centro, e anche così non riuscì a trovare una panetteria
aperta; per quasi tutto il mese dovettero mangiare pane in cassetta conservato, che non piaceva
a nessuno dei due. In compenso, comprava grandi quantità di gelato e ogni due o
tre ore ne metteva un po' in un piattino, intorno al quale si riuniva subito
una piccola folla di topolini voraci e squittenti. La sera, all'ora di cena, il
tavolo della cucina si copriva di animaletti nervosi e lei non aveva quasi il
tempo di mangiare tanto era occupata a tagliare pezzetti di formaggio e
distribuire latte e biscotti. Solo di notte, a letto, Carlotta e il topo
riuscivano a ritrovare la giocosa intimità di un tempo; ma nel complesso, lei
si adattò alla nuova situazione e non ne soffrì poi troppo.
A settembre le scuole riaprivano, ma
Carlotta non ritornò al lavoro. Non ebbe difficoltà a farsi dare un lungo
periodo di mutua perché in effetti non stava niente bene: dormiva male, era
molto dimagrita, soffriva di palpitazioni e di vertigini. Per di più, l'evento
che si era verificato alla fine di luglio si ripeté e questa volta lei, che la
prima volta aveva fatto tanti sforzi per capire e accettare, si sentì veramente
tradita, ingannata, presa in giro e sfruttata dalla tribù di topolini che ormai
avevano preso possesso della sua casa.
Mi raccontò che quello era stato un periodo
di abiezione. Per riconquistare l'attenzione del topo, si era umiliata fino a
trascorrere ore rovistando sulle bancarelle di libri usati alla ricerca di
volumi antichi dalla carta spessa e ingiallita, come sapeva che piacevano alla
sterminata famigliola. Covava propositi suicidi e omicidi, leggeva con avidità
tutte le pubblicità di veleno per topi che trovava sul giornale, le rare volte
che si ricordava di comprarlo; batteva tutti i negozi di specialità
gastronomiche della città alla ricerca dei formaggi più puzzolenti (ma lei li
chiamava "odorosi") e dei più ricchi torroni. Ma ormai si rendeva
conto che stava perdendo terreno nella competizione con la rivale, sempre più
raramente il topo trascorreva la notte con lei, le sue carezze erano diventate
distratte e frettolose e durante il giorno era troppo indaffarato con la prole
per avere tempo di starla ad ascoltare e giocare con lei. Inoltre, sapeva di
essere diventata lamentosa e opprimente, ma non riusciva a reagire.
Fu proprio in quel periodo, verso la metà
di settembre, che ricevetti una telefonata di Carlo. Era preoccupato perché
aveva telefonato più volte a Carlotta ma lei si era sempre rifiutata di
vederlo, gli era sembrata depressa e molto evasiva. Mi chiese se potevo andarla
a trovare, dal momento che lui non osava farlo per paura di infastidirla o
sembrare indiscreto. Io acconsentii, naturalmente, e un paio di giorni dopo mi
ritrovai a suonare alla porticina del giardino di Carlotta.
Era un bel pomeriggio caldo
e sereno, sui mattoni soleggiati del vecchio muro di cinta del parco
scorrazzavano le lucertole. Attesi a lungo e stavo già per rinunciare e
andarmene quando la porticina si aprì e mi trovai faccia a faccia con la mia
amica.
Fui impressionata dal suo aspetto. Era
magra, sciatta, con una vecchia maglietta piena di buchi e, cosa che mi colpì
più di tutto il resto, aveva i capelli sporchissimi, che le scendevano nel
collo in ciocche unte e disordinate. Era evidente che la mia visita a sorpresa
non le era per niente gradita, ma mi fece entrare e mi condusse nel giardino,
con la scusa che la casa era troppo in disordine per ricevervi un ospite. Io
cercai a mia volta di controllare l'espressione di stupore che sapevo di avere
sul volto, e mi sedetti su di una sedia a sdraio. Le chiesi come aveva
trascorso l'estate e lei mi rispose evasivamente. Fui ulteriormente colpita dal
suo modo di parlare e di muoversi. Parlava a raffica, facendo continue smorfie
con il naso e con il labbro superiore, muoveva la testa a piccoli scatti
continui e teneva le braccia piegate lungo il busto con le mani pendenti dai
polsi e le dita rattrappite come zampette. Io provai a raccontarle delle mie
vacanze, ma era evidente che lei non mi seguiva, così alla fine mi decisi ad
affrontare la questione direttamente e le chiesi che cosa le fosse successo, se
non la potevo aiutare.
"Aiutarmi!" esclamò lei ridendo
forte. "Aiutarmi!" e scoppiò in lacrime.
E così, un po' ridendo un po' piangendo, e
un po' con la voce sognante di chi rivive ricordi dolcissimi, mi raccontò tutta
la storia, tutto quello che era successo dalla prima sera d'aprile fino a quel
giorno. Anch'io a dir la verità non sapevo se ridere o piangere, e
contrariamente alle mie abitudini la ascoltai senza interromperla né fare
domande. Solo quando finalmente tacque le chiesi che cosa avesse intenzione di
fare adesso. Lei mi guardò sconsolatamente e aprì le mani in un gesto
d'impotenza. Non sapendo che commenti fare, mi astenni dal dire alcunché; ma
non potei trattenermi dall'esortarla a curarsi un po' di più.
Lei abbassò il viso e ammise che si lavava
poco perché il topo la preferiva così, soprattutto i capelli gli piacevano più
sporchi che puliti, e lei era ormai disposta a usare tutti gli stratagemmi per
ottenere ancora qualcuna di quelle carezze che lui non aveva più voglia di
darle. Era calata la sera, il giardino si era fatto buio e l'umidità saliva
dall'erba. Mi alzai per accomiatarmi; Carlotta mi fece promettere che non avrei
detto a Carlo nulla di quello che lei mi aveva raccontato e che non le avrei
più fatto visite a sorpresa.
"Mi farò viva io quando avrò risolto
questa faccenda" disse.
Tornai a casa piuttosto sconvolta. Quando
Carlo mi telefonò per sapere com'era andata lo rassicurai come potevo,
dicendogli che Carlotta aveva bisogno di rimanere sola perché stava vivendo un
momento un po' particolare, ma si sentiva bene e avrebbe deciso lei stessa
quando riprendere i contatti con gli amici. Mentre parlavo, mi rendevo conto
che mai in vita mia avevo detto una così grossa bugia, ma non avevo scelta. Nei
giorni seguenti, cercai di pensare a Carlotta il meno possibile, e vi riuscii,
perché desideravo veramente di tutto cuore dimenticare quella storia assurda.
Passò altro tempo. Era ormai
la fine di ottobre quando, un pomeriggio che stavo facendo commissioni in
centro, mi sentii chiamare a gran voce e, voltandomi, mi trovai nuovamente
faccia a faccia con Carlotta. Ma questa volta era di nuovo la Carlotta di un
tempo, elegante, ben pettinata e con un sorriso allegro sulle labbra. Mi
abbracciò con trasporto e mi invitò a prendere un aperitivo al bar. Ci sedemmo
a un tavolino d'angolo e dopo qualche minuto di chiacchiere indifferenti le
chiesi com'era andata a finire la faccenda del topo.
"Tutto risolto" mi rispose
alzando le spalle. "Ho chiamato un'impresa di derattizzazione e in due
giorni mi hanno liberata da quel flagello."
Parlava di nuovo in modo normale, senza
smorfie né scatti della testa, ma mi parve che il suo sorriso fosse per un
attimo un po' troppo volonteroso e tra le sopracciglia le si formarono due
rughette verticali, come se stesse sforzandosi di trattenere le lacrime.
Mi raccontò che aveva passato giornate a
scopare via cadaveri di topi, ma per fortuna non aveva mai trovato quello del
suo amore. Stupidamente le chiesi come avrebbe fatto a distinguerlo dagli
altri: lei mi lanciò un'occhiata profondamente ferita. Capii di avere detto una
grossa sciocchezza e non insistetti, ma il male era fatto e le lacrime
cominciarono a scivolarle lentamente sulle guance ben truccate. Con voce
sommessa mi disse che aveva passato un periodo tremendo, lacerata dai sensi di
colpa e dai rimpianti, poi si era fatta forza e aveva ripreso a lavorare e
vedere gente.
"Ti inviterei volentieri a cena"
disse alzandosi per andarsene "ma ho un impegno con Carlo."
Mi sorrise di nuovo, ma il suo sorriso non
era allegro.
Tornai a casa a piedi, trascinando
stancamente i pacchetti dei miei acquisti. Mangiucchiai qualcosa davanti alla
televisione, ma non riuscivo a seguire quello che succedeva sullo schermo. Ero
depressa. Per quanto assurda, innaturale e per me anche francamente disgustosa,
quella di Carlotta era pur sempre una storia d'amore finita male, anzi
tragicamente. Non avevo conosciuto il topo e non provavo nessuna compassione
per lui, ma l'idea di Carlotta che raccoglieva a uno a uno i topolini morti con
la paura di riconoscere quello con cui aveva diviso tanti momenti di felicità
spensierata mi era insopportabile.
Spensi la televisione e mi misi a bagnare
le piante, anche se non era il giorno in cui lo facevo abitualmente. La
calancoe era stanca, la felce egoista come sempre, ma il mio caro vecchio
phalangium capì subito il mio stato d'animo e mi carezzò una spalla per
incoraggiarmi. Lo tolsi dal davanzale della finestra e lo portai sul divano
accanto a me. Piansi per qualche minuto, poi cominciai a raccontargli tutta la
storia di Carlotta e del topo, contenta di vedere che seguiva con interesse e
comprensione, senza dare giudizi e neppure ridere per l'assurdità della vicenda.
Parlare con lui mi aiutò molto: alla fine ero sollevata, anche se continuavo a
sentire una grande malinconia, come una spina proprio in fondo al cuore. Decisi
che quella non era la sera giusta per andare a dormire da sola, mi portai il
phalangium in camera e lo misi sulla mensola dietro al letto, di modo che le
sue belle foglie sfiorassero il cuscino.
Fu una
notte lunga e inquieta, mi svegliai decine di volte ma ogni volta il tocco
gentile del phalangium mi rasserenava e mi dava la certezza che non ero sola,
che una presenza amica vegliava accanto a me e non mi avrebbe abbandonata.
Verso l'alba riuscii ad addormentarmi stringendo una foglia tra le mani; e
dormii senza sogni fino alla mattina dopo.
Pubblicato su Tuttestorie, nuova serie, aprile 1996
Me lo ricordo benissimo questo tuo racconto!
RispondiEliminaNon ricordo se quando lo lessi la prima volta sapevo che fosse il tuo primo racconto pubblicato...
Cosa posso dire? E' delizioso! Mi piace tantissimo e mi commuove anche un po' e, come sempre quando leggo i tuoi racconti e i tuoi romanzi, resto stupito e deliziato dalla qualità della scrittura.
Complimenti cara Consolata; è proprio bello leggerti :)
Un abbraccio forte pieno di affetto e ammirazione.
@Orlando come farei senza di te? sei il lettore ideale! grazie grazie e stragrazie. Sono affezionata a questo racconto, che ha vinto un premio molto gratificante e anche a rileggerlo, ieri, dopo tanto tempo non mi ha fatto vergognare.
RispondiEliminaE penso che di topi nella nostra vita ne abbiamo incontrati tutti, o quasi. Ciao e smack.