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giovedì 19 maggio 2016

Il tempo, le parole e la vita: L'Istituto per la Regolazione degli Orologi, di Tanpinar

Certe volte, più che scrivere di un libro piacerebbe parlarne con qualcuno, confrontare opinioni e interpretazioni per capire meglio. E' quello che sento a proposito di L'Istituto per la Regolazione degli Orologi di Ahmet Hamdi Tanpinar (Istanbul, 1901 - 1962, in arte Tanpinar). Pubblicato a puntate nel 1954 e in volume postumo nel 1961, è uscito nel 2014 da Einaudi per la prima volta in italiano con la traduzione di Fabio Salomoni e una prefazione di Andrea Bajani, su indicazione di Orhan Pamuk che considera Tanpinar la figura più importante della letteratura turca moderna.

Il romanzo, che ho letto molto volentieri soprattutto dopo l'inizio un po' difficile, è di quelli cui si ritorna con piacere e da cui ci si stacca solo per dovere. Narra la storia di Hayri Irdal, io narrante del tutto inaffidabile, che inizia la sua esistenza di erede di una famiglia impoverita lavorando nella bottega del maestro Nuri Efendi, orologiaio da cui apprende l'arte della riparazione e l'amore per gli orologi. La sua vita procede tra vicende improbabili raccontate con un punto di vista assolutamente sghembo e pronto a contraddirsi, ma la narrazione è talmente viva, scorrevole, fitta di personaggi e invenzioni, che il lettore può abbandonare senza problemi la ricerca della verità e lasciarsi andare allo stupefacente flusso narrativo. La situazione privata e famigliare di Irdal è complessa - due mogli e un numero imprecisato di amanti, figli suoi e della seconda moglie, cognate bizzarre, zie strampalate - e quella professionale lo è ancora di più, scandita com'è da una serie di figure di protettori che lo prendono sotto la loro ala dirigendone le attività professionali. Le figure di maggior spicco sono l'enigmatico, carismatico e manipolatore Halit il Regolatore, che crea l'Istituto per la Regolazione degli Orologi, ente del tutto inutile e onnipervasivo che aspira al controllo totale estendendosi in tutta la società attraverso sistemi demenziali di multe progressive per chi non regola il proprio orologio; il dottor Ramiz, psicanalista che per convertire i turchi alla psicanalisi tiene una conferenza sui sogni durante la quale tutti i partecipanti si addormentano, lui compreso; ma sono vivissimi anche i personaggi minori, i frequentatori dei caffè di habitué tipo quello della Società Spiritica, i colleghi, le donne. Troppi per poterne parlare dettagliatamente. 

Anche i temi sono molti: il confronto tra oriente e occidente, il significato del tempo, la società ottomana in bilico tra modernità e tradizione, il controllo del potere sui cittadini, ma quello che mi ha sconcertata è che si sente forte un sottotesto metaforico che non sono stata in grado di decifrare. Troppa è la distanza temporale e geografica che mi separa da Hayri Irdal per poterlo pienamente comprendere. Basti pensare, ad esempio, all'imposizione del calendario e dell'orario europei di Atatürk e alla crezione dei vari Istituti preposti alla modernizzazione e alla secolarizzazione della Turchia, di cui sicuramente ogni lettore turco si ricorda leggendo, ma che sfugge del tutto a un lettore medio straniero. Il surreale che serpeggia nel quotidiano, i frequenti paradossi, le giravolte continue del protagonista tra felicità e disperazione, miseria e successo, hanno certamente un significato che va al di là della lettera, e che mi piacerebbe molto riuscire a capire meglio per superare quei momenti di confusione che hanno un po' guastato il piacere di quello che rimane un libro estremamente interessante.


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