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lunedì 11 gennaio 2016

Due bei film tra guerra e pace: Perfect Day di Fernando León de Aranoa e Little sister di Hirokazu Kore-Eda.

So di avere perso qualsiasi credibilità nel momento in cui ho detto che mi sono molto divertita a vedere Star Wars: Il risveglio della forza, cosa che non si porta affatto in questo momento, ma tant'è. Io mi sono divertita, e ciononostante adesso sono qui a consigliare due film che ho molto apprezzato: lo spagnolo (e magnifico) Perfect Day di Fernando León de Aranoa e il giapponese Little Sister di Hirokazu Kore-Eda.


Perfect Day è un film tosto, anzi una storia tosta: si svolge durante la guerra in Serbia nel 1995, a ridosso della pace, che ironicamente porterà anche problemi al gruppo di operatori umanitari che tra mille difficoltà cercano di aiutare la popolazione. Qui si tratta di tirare fuori un cadavere da un pozzo per bonificarlo, ma manca la corda e quindi bisogna partire alla ricerca destreggiandosi tra strade minate, burocrazia ONU, eserciti locali e incomprensibili faide, senza perdere di vista l'aspetto umano, le necessità dei bambini, i propri pasticci sentimentali, la morte incombente e la morte nascosta, e gli altri che vivono in un altro mondo, in pace. Quello che ho trovato miracoloso è l'equilibrio tra tensione narrativa, pathos, sorpresa e descrizione anche fulminea dei caratteri di contorno. Gli interpreti sono veramente ottimi e i personaggi molto ben delineati, anche quelli femminili che a tutta prima possono apparire stereotipati ma in realtà sono assai sottili  (ma la mia preferenza va senza esitazioni al B interpretato da Tim Robbins). E non perdetevi assolutamente il finale, che senza indulgere in nessun tipo di consolazione né attenuazione, riesce persino a far sorridere e, anche qui miracolosamente, lascia lo spettatore rasserenato.
Le spettacolari location sono tutte in Spagna, tra Granada, Cuenca e Malaga.  

E se siete in uno di quei giorni un po' così, che si vorrebbe solo una spalla amica cui appoggiarsi, allora Little Sister è quello che fa per voi. Siamo ai giorni nostri, a Kamakura, sonnolenta cittadina tra mare e montagne, dove ci si sposta con un trenino e si vive senza attriti tra modernità e tradizioni ancora molto sentite. Tre sorelle sui vent'anni, Sachi, Yoshino e Chika, al funerale del padre che le ha abbandonate da quindici anni conoscono la sorellastra Suzu e la invitano a vivere con loro nella grande casa antica dove sono rimaste sole dopo la morte della nonna e la partenza della madre per Sapporo. Ognuna delle quattro ragazze, ben delineate come personaggi, ha i suoi problemi (e ci mancherebbe, con una famiglia come quella): Sachi, infermiera, un amore difficile e un eccesso di impegno sia in casa che sul lavoro; Yoshino, impiegata, tende a scegliere uomini sbagliati e indulgere all'alcol; Chika, commessa, è giocherellona ma anche lei ancora incerta sul suo posto nel mondo. Tutte e tre sono affettuose con Suzu, gentili, e a poco a poco la piccola Suzu riesce a tirare fuori i dolori che ha dentro. Ma oltre alle dinamiche relazionali delle sorelle, appena accennate e descritte con mano leggerissima, c'è tutto un mondo di personaggi accattivanti, anche loro sofficemente accoglienti, la proprietaria del ristorante dove vanno spesso, la zia, i compagni di lavoro e di scuola. Tutt'intorno, la cittadina intera e la sua vita segnata di rituali narrati con naturalezza senza indulgere al colore locale, i funerali e le cerimonie di commemorazione, la fioritura dei ciliegi, la pesca dei bianchetti, i fuochi d'artificio sul mare, la raccolta delle prugne per farne un liquore. Persino il personaggio della madre, dal comportamento piuttosto discutibile secondo me, è trattato con discrezione, e c'è l'addio amoroso più understated della storia del cinema. Le ragazze sono incantevoli. Questo film delicato e rasserenante è basato su Umimachi Diary, una serie manga di Akimi Yoshida.

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