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venerdì 21 novembre 2014
A tutto c'è un limite: Pablo Tusset, Il meglio che possa capitare a una brioche
Diciamo che me lo sono meritato, mi sono lasciata andare alla pigrizia, ho continuato a leggere gialli scriteriatamente e mi sono imbattuta nel libro più inutile e scemo che abbia letto negli ultimi anni. Barcellona intorno all'inizio del millennio, prima dell'introduzione dell'euro: Pablo è figlio di famiglia ricchissima ma vive come un disgraziato, o almeno vuole farcelo credere ma in realtà abita in un appartamento di proprietà del padre, pesa centoventi chili, ha un ruolo nell'impresa di famiglia che è una sinecura, passa il tempo a bere, farsi di tutto quello che trova, scopare esclusivamente con puttane, dormire tutto il giorno e andare in giro la notte, e (!!!) chattare di filosofia con amici internazionali. Ha girato il mondo e adesso gira a vuoto. Difficile immaginare un personaggio più finto, uno che le spara grosse per far credere di essere brutto sporco e cattivo ma non ci riesce neanche un po'. E dovrebbe far ridere, essere spiritosissimo, ma la risposta alle sue iperboliche sparate in piemontese sarebbe una sola, piuttosto grezza: gatiime l'ala, fammi il solletico sull'ala, di cui propongo l'acronimo gla, da opporre al bennoto lol per indicare che qualcuno ci prova a a fare dello spirito ma non ce la fa proprio. Suo fratello, che è tutto il contrario, serio, ricco, fighetto, rangé, lo coinvolge in un confuso intrigo di cui non si capisce bene in che cosa consista. Per i tre quarti del romanzo non si riesce a capire dove stia il problema mentre nell'ultima parte l'attenzione ormai vaga per i sentieri del cielo, tanto è insensato e campato in aria il finale. Lungo, stralungo per quel che vale, è quel tipo di libro che fa rivalutare la televisione e dubitare che la lettura sia sempre un'attività lodevole e proficua. E poi, in quanto lettori abbiamo anche noi una dignità, non possiamo berci qualsiasi cosa ci venga propinato. Traduzione di Tiziana Gibilisco.
Fantastico. E pensare che ho avuto non pochi clienti che l'hanno acquistato ai bei tempi della libreria. Basterà un nome spagnolo per fare la differenza?
RispondiEliminaBe', anch'io l'ho comprato e l'ho letto, sedotta dal titolo e da commenti piuttosto positivi, soprattutto a proposito della prima parte e della "spumeggianza". E magari, come può succedere, sono io che non capisco l'umorismo catalano.
RispondiEliminaIo, che ho vissuto a Barcellona negli anni Novanta e l'ho letto in lingua originale, mi sono fatta invece delle grasse risate (finale a parte). Mi sono anche chiesta come sarebbe stato possibile tradurre in italiano certe battute, certe espressioni gergali, certi amiccamenti continui a specificità spagnole o catalane e certi giochi di parole, ma i vostri commenti mi hanno già risposto: probabilmente era impossibile ed è stato un errrore provarci. Ma credetemi, per chi ha vissuto certe realtà e certi luoghi, il testo originale è strepitosamente divertente e acuto.
RispondiEliminaGentile Anonima, il tuo commento mi rassicura e mi chiarisce molte cose. Ho pensato anch'io che questo libro doveva avere sofferto molto della sindrome "lost in translation" perché era troppa la discrepanza tra il successo e quello che ho letto io. So che il mio pensiero o il mio giudizio sono del tutto personali, soffrono delle mie idiosincrasie e ignoranze, però a me piacciono i libri divertenti e sono un'anima semplice, per niente sofisticata, ma questo proprio non mi ha divertita. Quindi faccio tanto di cappello alla traduttrice Tiziana Gibilisco che probabilmente si è trovata di fronte un compito parecchio difficile, e mi scuso di non avere tenuto abbastanza in conto questa difficoltà. Io ho una incondizionata ammirazione per chi traduce, penso sempre che sia un lavoro arduo che richiede grandissima cultura e sensibilità.
RispondiElimina@Anonima: e ovviamente mi scuso con il povero Pablo Tusset che ho così maltrattato...
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