Ina McEwan è un autore molto bravo che non mi convince sempre ma generalmente dà un notevole piacere alla lettura. Nessuno dei suoi ultimi libri mi ha sorpresa né incantata come i primi, Lettera a Berlino, Il giardino di cemento, Bambini nel tempo, però li ho letti quasi tutti (ma Solar me lo sono dimenticato al punto che ho dovuto verificare sulla mia lista di letture – e poi ho scoperto che l'avevo pure recensito!) senza condividere, ad esempio, l'entusiasmo della critica per Espiazione o Chesil Beach. Ma continuo a leggerlo, e non cambierò certo idea dopo Miele. Romanzo acchiappante, di quelli che gli anglofoni chiamano page-turner e che fanno pregustare il momento in cui ci si metterà a leggere. Siamo all'inizio degli anni settanta, in piena crisi energetica, l'Inghilterra è percorsa da scioperi e rivendicazioni dei minatori, oscilla tra Heath e Wilson, il mondo è diviso tra i due blocchi, Usa e Urss, che combattono la Guerra Fredda con armi non convenzionali (per fortuna). L'io narrante è la giovane Serena Frome, figlia di un vescovo presbiteriano, ragazza bellissima, di destra e parecchio scemona malgrado la sua conclamata intelligenza, di carattere poco chiaro, conservatore ma anche avventato, che viene arruolata tramite un insegnante universitario nel MI5, cioè nei Servizi Segreti. Qui si barcamena tra segreti e inganni, piantando casino nel modo più tradizionale e scontato che una ragazza possa utilizzare: cioè innamorandosi a destra e a manca. Questo personaggio di Serena secondo me è un punto debole del romanzo, è banale, convenzionale e insieme un po' fuori centro: a parte la sua dabbenaggine in amore, sembra vecchia, non ha niente della ragazza giovane degli anni '70. E anche se per sottolineare la sua diversità l'autore si affanna a ripetere continuamente che gli anni '60 sono finiti, introduce un personaggio tra l'hippy e il new wave (la sorella Lucy) sottolineando ogni volta quanto è fuori tempo, dimostrando in ogni modo antipatia per tutto ciò che ha caratterizzato quegli anni, alla fine è Serena a risultare anacronistica. Non basta che porti la minigonna, ha vent'anni ma ne dimostra trentacinque, e alla fine si capisce anche perché non convince. Comunque prima si passa per molti intrighi (e non ne dico niente perché sono quelli che rendono il libro molto appassionante), molta metaletteratura, molta erudizione, molta sociologia, molta minuziosità nelle spiegazioni (che talvolta sfiora la lungaggine), alcuni racconti autonomi rispetto alla trama ma piuttosto godibili, e un ribaltamento finale che, confesso, mi ha un po' infastidita. Mi ha ricordato quello che concludeva anche Espiazione che avevo trovato superfluo. E' come se ormai non bastasse più una bella storia e la capacità di raccontarla, ci volesse anche qualche furbizia metaletteraria o strutturale che faccia restare il lettore a bocca aperta. E' del poeta il fin la meraviglia, si diceva già un bel po' di secoli fa. Ma anche allora non era un buon segno, indicava che non c'era molto da dire. Comunque quel poco o tanto che ha da dire Ian McEwan lo dice bene, e Miele è un romanzo senz'altro raccomandabile malgrado le mie riserve.
Traduzione di Maurizia Balmelli.
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mercoledì 30 aprile 2014
venerdì 25 aprile 2014
Una voce dal passato: la testimonianza di una donna eccezionale, Zabel Yessayan, sulla vita degli Armeni a Istanbul prima del genocidio
Nata nel 1878 a Uskudar, sobborgo di Istanbul sulla riva asiatica, nella comunità armena ricca e tradizionale, percorsa da divisioni interne e contrasti, separata anche dai greci che pur cristiani anche loro, erano così lontani che un matrimonio misto portava alla rottura in famiglia, come avviene allo zio di Zabel che sposa una donna greca e viene quindi cancellato. Anche i rapporti con i turchi sono assai complicati, a Istanbul spadroneggiano i giannizzeri, la società è regolata con severità, ma a volte esistono legami inaspettati, per esempio due zie dell'autrice erano dame di compagnia della Validè o madre del sultano. I ricordi d'infanzia di Zabel Yessayan sono vividi e interessantissimi, spicca la figura della madre Dudu, presto malata di malinconia, ma tutti gli abitanti di Uskudar risaltano con sincera e appassionante evidenza. Zabel studia, e anche la sua scuola, le compagne e le insegnanti hanno una grande parte. Tutto un mondo sparito e per noi assolutamente sconosciuto rivive nelle sue pagine. Fortissimi sono i legami con la patria lontana, in ogni casa spicca il quadro in cui Ani, l'antica capitale armena ora in Turchia, sotto forma di donna in lacrime piange la propria distruzione e la dispersione del popolo armeno. Ani, vastissima estensione di rovine in mezzo alla steppa proprio sul confine con l'attuale Armenia, a pochi chilometri da Kars, è uno dei luoghi più fascinosi che abbia visto. Nella foto, la chiesa di San Gregorio sul bordo del fiume Akhurian: la sponda opposta è Armenia.
Negli anni non compresi nella narrazione, Zabel Yessarian andò a studiare a Parigi alla Sorbona con l'aiuto di tutta la comunità, poi tornò a Istanbul dove fu insegnante e giornalista, visitò Adana nel 1909 dopo i massacri perpetrati dai turchi e ne scrisse in Dalle rovine (1910, tradotto da peQuod nel 2008). In seguito visse tra la Turchia ormai kemalista, la Francia e l'Armenia ormai sovietica, finché decise che era suo dovere tornare definitamente nella patria d'origine. Lì, nel 1937, fu accusata di spionaggio a favore dei francesi e deportata in Siberia, dove morì probabilmente nel 1943.
I giardini di Silihdar uscì nel 1935. Questa edizione, uscita per peQuod nel 2010, con traduzione, postfazione e cronistoria di Haroutioun Manoukian è una vera rara avis nel panorama editoriale. Mai ho visto una simile ricchezza e accuratezza di paratesto. Questo è un libro prezioso, che oltre a offrire piacere e interesse alla lettura, è in grado di soddisfare tutte le curiosità storiche suscitate dalla vicenda.
martedì 8 aprile 2014
Nadeem Aslam, Note a margine di una sconfitta: un gran bel romanzo che parla di guerra e di vita; Mappe per amanti perduti, perché l'amore non basta a tenere uniti.
La quarta di copertina di questo romanzo non la dice proprio giusta, e forse fa bene perché con tutta probabilità se fosse stata sincera non l'avrei comprato. E avrei fatto malissimo, perché è un romanzo davvero speciale, di quelli che lasciano il segno, fanno pensare e avvincono durante la lettura senza afferrare le viscere del lettore o tirargli calci nella pancia. Tutto il contrario, per dire, dell'orrido (e di bassissima lega) Il cacciatore di aquiloni. Anche qui si parla di Afghanistan, di guerra e di talebani, ma a tutt'altro livello, e l'autore, non abbracciando il punto di vista dell'Occidente (rappresentato nella violenta e spietata forza delle armi e dei dollari americani), conserva un equilibrio ammirevole narrando dall'interno dell'Islam e riuscendo così, senza dare giudizi, a esemplificare gli squilibri di una società condannata a nutrire in seno la pianta velenosa dell'integralismo e del terrorismo.
Siamo a Heer, città immaginaria in Pakistan, poco dopo l'11 settembre 2001, e in Afghanistan gli americani hanno scatenato l'operazione Enduring Freedom. L'anziano Rohan, ex proprietario di una scuola ora trasformata in luogo di formazione per terroristi, ha due figli naturali, Jeo e Yasmine, due adottivi, Mikal e Basie, e un grande cruccio perché l'amatissima moglie Sofia è morta da apostata malgrado tutti i suoi sforzi per ricondurla alla fede. Il ventenne Jeo, studente di medicina, nonostante sia sposato con la diciannovenne Nadeen, parte per l'Afghanistan per dare aiuto alla popolazione locale, e Mikal lo segue. Mikal e Nadeen si sono amati prima del matrimonio di lei, e si amano ancora, ma la vita ha disposto diversamente per loro. Da questo nodo di rapporti personali e spaventosi avvenimenti storici nasce la vicenda che vede protagonista Mikal, venduto a un signore della guerra appena messo piede in Afghanistan, poi prigioniero degli americani, da tutti torturato e quasi ucciso, poi in fuga da tutti, sempre alla ricerca di Jeo e con il desiderio di Nadeen nel cuore.
La trama (di cui taccio perché l'ansia di vedere che cosa succederà nella pagina successiva è uno dei motivi di fascino di questo romanzo) è complessa, insieme molto costruita e insensata, proprio come la guerra che le fa da sfondo. I numerosi personaggi (oltre ai già citati, Tara la madre vedova di Nadeen, David il soldato americano, il fachiro dalle catene, padre Mede, e molti altri) sono tutti necessari e delineati con acuta e felice sommarietà, come gli schizzi a matita dei diari di viaggio degli antichi esploratori. E viaggiano molto, corrono come animali inseguiti avanti e indietro tra Pakistan, Waziristan e Afghanistan, tra città e deserto, tra colline e praterie di fiori gialli, tra moschee che sorgono in mezzo al nulla e scuole affollate di bambini e ragazzi. Ci sono tutti i regni della natura: il bellissimo giardino di Rohan con i suoi alberi nominati con i loro nomi come figli, curati con amore, conosciuti e osservati in tutte le loro trasformazioni; le colline e le montagne di cui l'autore nomina le formazioni geologiche con precisa attenzione perché anche quella è storia, meno cruenta e distruttiva di quella umana; gli animali riassunti nel cucciolo di leopardo delle nevi, affidato da una donna a Mikal per confortarlo nelle sue dolorose vicende, che ognuno dei molti in cui si imbatte vuole tenere per sé, per godere della morbidezza della sua pelliccia e del calore del suo peso in grembo; e gli uomini e le donne, naturalmente, non certo i migliori né i più necessari.
E alla fine la sconfitta è di tutti, perché anche gli innocenti, anche i giusti fanno errori dalle conseguenze spaventose. Sono sconfitti i talebani feroci e ottusi, gli americani feroci e prepotenti, i signori della guerra feroci e avidi, ma anche i poveri e i semplici, i credenti sinceri, quelli che cercano di comportarsi con giustizia e compassione, perché la guerra è una sconfitta in sé comunque si concluda. E tra i molti legami che si stringono tra gli uomini, anche se l'amore ha un grande peso, il più importante appare quello tra fratelli, e sorelle: fratelli di sangue e adottivi, fratelli acquisiti, fratelli perché si combatte dalla stessa parte, e alla fine fratelli perché tutti condividiamo la stessa natura umana.
Questo libro non è viscerale ma neanche freddo, è desolatamente oggettivo, è difficile perché non è consolatorio né semplificatorio. Questo risultato è ottenuto attraverso un linguaggio poetico che crea distacco anche nelle scene più crudeli. Non bisogna dimenticare che Nadeem Aslam nasce come poeta, ed è figlio di un famoso poeta pakistano, citato anche nelle pagine del romanzo. E quanto più bello e significativo di quello italiano è il titolo originale, The blind man's garden, con allusione alla cecità cui Rohan è condannato e insieme metafora della vita umana. Non fatevi spaventare dal fatto che si parli di guerra. Non è un romanzo di guerra, è un bel romanzo sull'uomo e la fragilità delle passioni umane. Fa vedere dall'interno che cosa è stata la guerra in Afghanistan che ormai abbiamo dimenticato tutti, il caos, l'ingiustizia e le spaccature insanabili che ha provocato. Ci dice che l'istinto di salvarsi dell'uomo è insopprimibile, e che anche il confine tra morti e vivi è labile. Alla fine, la morte vince sempre ma la continuità della vita è altrettanto forte e inestinguibile.
L'autore, nato nel 1966 in Pakistan, è emigrato in Inghilterra all'età di quattordici anni. Attualmente vive tra Londra e Kabul. Presto leggerò anche La veglia inutile. Bella traduzione di Delfina Vezzoli.
Intanto consiglio vivamente il bellissimo Mappe per amanti perduti, uscito nel 2006 sempre nella traduzione di Delfina Vezzoli.
Questo romanzo doloroso e affascinante ha richiesto undici anni di lavoro al suo autore. Ambientato ai giorni nostri in una cittadina in cui vive una numerosa comunità di immigrati provenienti dal subcontinente indiano, ha per protagonista Shamas, musulmano, sposato con Kaukab, più legata al mondo da cui proviene che alla realtà in cui vive, e padre di due figli grandi, un maschio che ha sposato un’inglese da cui ha avuto a sua volta un figlio e si è già separato, e una ragazza in fuga da un matrimonio tradizionale. Shamas è direttore del Comitato per le relazioni della comunità, abituato a trattare i complicati rapporti tra gli immigrati spesso incapaci di parlare inglese, ignoranti delle leggi, e le autorità governative. Il suo è un incarico importante che lo porta a frequentare indù e sihk, e a differenza degli altri membri della comunità islamica è uomo di ampie vedute, indifferente al bisogno di restare fedele alle tradizioni religiose. Ma un giorno suo cognato Jugnu e Chanda, una ragazza musulmana con cui convive pubblicamente, spariscono senza lasciare tracce. Sospettati sono i fratelli della ragazza, poi arrestati per l’omicidio della coppia che però non viene mai ritrovata. Da qui si innesca un percorso straziante durante le quattro stagioni del mondo occidentale (in Pakistan le stagioni sono cinque, inverno, primavera, estate, monsone, autunno) in cui Shamas si inoltra con grande fatica, incontrando un amore tardivo e storie terribili di incomprensione tra le diverse religioni, violenza familiare, impossibilità di accettare le tradizioni e incapacità di staccarsene del tutto per integrarsi nel paese di arrivo. Si parla degli immigrati di oggi, che possono permettersi di tornare in Pakistan in vacanza, liberi dalla necessità primaria della fame e della miseria, ma sempre in bilico tra due mondi e stritolati da entrambi. Molto curato nella scrittura, ricco di personaggi interessanti e problematiche per ora irrisolte, Mappe per amanti smarriti è un romanzo pieno di vita, che insegna molto su una civiltà con cui ci troviamo tutti a fare i conti e lascia una traccia profonda nel lettore.
Siamo a Heer, città immaginaria in Pakistan, poco dopo l'11 settembre 2001, e in Afghanistan gli americani hanno scatenato l'operazione Enduring Freedom. L'anziano Rohan, ex proprietario di una scuola ora trasformata in luogo di formazione per terroristi, ha due figli naturali, Jeo e Yasmine, due adottivi, Mikal e Basie, e un grande cruccio perché l'amatissima moglie Sofia è morta da apostata malgrado tutti i suoi sforzi per ricondurla alla fede. Il ventenne Jeo, studente di medicina, nonostante sia sposato con la diciannovenne Nadeen, parte per l'Afghanistan per dare aiuto alla popolazione locale, e Mikal lo segue. Mikal e Nadeen si sono amati prima del matrimonio di lei, e si amano ancora, ma la vita ha disposto diversamente per loro. Da questo nodo di rapporti personali e spaventosi avvenimenti storici nasce la vicenda che vede protagonista Mikal, venduto a un signore della guerra appena messo piede in Afghanistan, poi prigioniero degli americani, da tutti torturato e quasi ucciso, poi in fuga da tutti, sempre alla ricerca di Jeo e con il desiderio di Nadeen nel cuore.
La trama (di cui taccio perché l'ansia di vedere che cosa succederà nella pagina successiva è uno dei motivi di fascino di questo romanzo) è complessa, insieme molto costruita e insensata, proprio come la guerra che le fa da sfondo. I numerosi personaggi (oltre ai già citati, Tara la madre vedova di Nadeen, David il soldato americano, il fachiro dalle catene, padre Mede, e molti altri) sono tutti necessari e delineati con acuta e felice sommarietà, come gli schizzi a matita dei diari di viaggio degli antichi esploratori. E viaggiano molto, corrono come animali inseguiti avanti e indietro tra Pakistan, Waziristan e Afghanistan, tra città e deserto, tra colline e praterie di fiori gialli, tra moschee che sorgono in mezzo al nulla e scuole affollate di bambini e ragazzi. Ci sono tutti i regni della natura: il bellissimo giardino di Rohan con i suoi alberi nominati con i loro nomi come figli, curati con amore, conosciuti e osservati in tutte le loro trasformazioni; le colline e le montagne di cui l'autore nomina le formazioni geologiche con precisa attenzione perché anche quella è storia, meno cruenta e distruttiva di quella umana; gli animali riassunti nel cucciolo di leopardo delle nevi, affidato da una donna a Mikal per confortarlo nelle sue dolorose vicende, che ognuno dei molti in cui si imbatte vuole tenere per sé, per godere della morbidezza della sua pelliccia e del calore del suo peso in grembo; e gli uomini e le donne, naturalmente, non certo i migliori né i più necessari.
E alla fine la sconfitta è di tutti, perché anche gli innocenti, anche i giusti fanno errori dalle conseguenze spaventose. Sono sconfitti i talebani feroci e ottusi, gli americani feroci e prepotenti, i signori della guerra feroci e avidi, ma anche i poveri e i semplici, i credenti sinceri, quelli che cercano di comportarsi con giustizia e compassione, perché la guerra è una sconfitta in sé comunque si concluda. E tra i molti legami che si stringono tra gli uomini, anche se l'amore ha un grande peso, il più importante appare quello tra fratelli, e sorelle: fratelli di sangue e adottivi, fratelli acquisiti, fratelli perché si combatte dalla stessa parte, e alla fine fratelli perché tutti condividiamo la stessa natura umana.
Questo libro non è viscerale ma neanche freddo, è desolatamente oggettivo, è difficile perché non è consolatorio né semplificatorio. Questo risultato è ottenuto attraverso un linguaggio poetico che crea distacco anche nelle scene più crudeli. Non bisogna dimenticare che Nadeem Aslam nasce come poeta, ed è figlio di un famoso poeta pakistano, citato anche nelle pagine del romanzo. E quanto più bello e significativo di quello italiano è il titolo originale, The blind man's garden, con allusione alla cecità cui Rohan è condannato e insieme metafora della vita umana. Non fatevi spaventare dal fatto che si parli di guerra. Non è un romanzo di guerra, è un bel romanzo sull'uomo e la fragilità delle passioni umane. Fa vedere dall'interno che cosa è stata la guerra in Afghanistan che ormai abbiamo dimenticato tutti, il caos, l'ingiustizia e le spaccature insanabili che ha provocato. Ci dice che l'istinto di salvarsi dell'uomo è insopprimibile, e che anche il confine tra morti e vivi è labile. Alla fine, la morte vince sempre ma la continuità della vita è altrettanto forte e inestinguibile.
L'autore, nato nel 1966 in Pakistan, è emigrato in Inghilterra all'età di quattordici anni. Attualmente vive tra Londra e Kabul. Presto leggerò anche La veglia inutile. Bella traduzione di Delfina Vezzoli.
Intanto consiglio vivamente il bellissimo Mappe per amanti perduti, uscito nel 2006 sempre nella traduzione di Delfina Vezzoli.
Questo romanzo doloroso e affascinante ha richiesto undici anni di lavoro al suo autore. Ambientato ai giorni nostri in una cittadina in cui vive una numerosa comunità di immigrati provenienti dal subcontinente indiano, ha per protagonista Shamas, musulmano, sposato con Kaukab, più legata al mondo da cui proviene che alla realtà in cui vive, e padre di due figli grandi, un maschio che ha sposato un’inglese da cui ha avuto a sua volta un figlio e si è già separato, e una ragazza in fuga da un matrimonio tradizionale. Shamas è direttore del Comitato per le relazioni della comunità, abituato a trattare i complicati rapporti tra gli immigrati spesso incapaci di parlare inglese, ignoranti delle leggi, e le autorità governative. Il suo è un incarico importante che lo porta a frequentare indù e sihk, e a differenza degli altri membri della comunità islamica è uomo di ampie vedute, indifferente al bisogno di restare fedele alle tradizioni religiose. Ma un giorno suo cognato Jugnu e Chanda, una ragazza musulmana con cui convive pubblicamente, spariscono senza lasciare tracce. Sospettati sono i fratelli della ragazza, poi arrestati per l’omicidio della coppia che però non viene mai ritrovata. Da qui si innesca un percorso straziante durante le quattro stagioni del mondo occidentale (in Pakistan le stagioni sono cinque, inverno, primavera, estate, monsone, autunno) in cui Shamas si inoltra con grande fatica, incontrando un amore tardivo e storie terribili di incomprensione tra le diverse religioni, violenza familiare, impossibilità di accettare le tradizioni e incapacità di staccarsene del tutto per integrarsi nel paese di arrivo. Si parla degli immigrati di oggi, che possono permettersi di tornare in Pakistan in vacanza, liberi dalla necessità primaria della fame e della miseria, ma sempre in bilico tra due mondi e stritolati da entrambi. Molto curato nella scrittura, ricco di personaggi interessanti e problematiche per ora irrisolte, Mappe per amanti smarriti è un romanzo pieno di vita, che insegna molto su una civiltà con cui ci troviamo tutti a fare i conti e lascia una traccia profonda nel lettore.
lunedì 7 aprile 2014
Angela Siciliano, Stanze d'albergo: una poesia
Io non frequento molto la poesia, perché sono zuccona e non la capisco sempre. Però Angela Siciliano è una poeta che parla con le parole preziose della chiarezza, della trasparenza cristallina. Riesce a catturare una sensazione, il lampo di un sentimento, nella perfetta misura dei suoi versi, come se fossero mosche intrappolate nell'ambra. Sono componimenti brevi, che fotografano attimi impermanenti ma necessari. Rispetto alla prima raccolta, Tra le dita, dove i temi erano prevalentemente erotici, qui le epifanie poetiche abbracciano momenti diversi, ma c'è la stessa ingannevole semplicità e la stessa nitidezza delle immagini. Affiora sovente una pietas molto umana, come in questi versi: E anziane maschere vive / si affacciano da dietro le tende / a spiare i bimbi e le carrozzelle, / i padri e le madri / che vanno a fare la spesa, a portare i figli a scuola / a fare qualcosa di importante / mentre per loro – dietro i riflessi sui vetri / non c'è più niente di interessante / né di impellente / a parte il prossimo pasto / che arriverà insipido o troppo salato. C'è anche pudore, delicatezza, nel rappresentare ricordi certo dolorosi, come a proposito del padre: Io invece lo vedo disteso / le mani conserte, la bocca dischiusa / con del sangue tra i denti e le gengive, / le belle labbra carnose, le palpebre chiuse. C'è la natura: Uno scoiattolo frettoloso / mi taglia la strada / e scompare nel bosco / col suo fare misterioso. Sembra che l'amore non abbia tanto i colori violenti della passione quanto quelli tenui della memoria: Indossava larghe gonne a campana / e scarpe a punta col tacco basso. / Aveva vent'anni lei, probabilmente. / Io solo tre. O anche La strada dritta ad una meta / le montagne innevate / la tua guida soffice e calma / il mio maglione rosso splendente. / Vivaldi nel mattino assolato. E alla fine, oltre all'incanto delle parole, rimane una sensazione di serenità. Questo è un libro sapiente e raffinato che sicuramente piacerà ai cultori di poesia, ma anche i lettori non abituali potranno trovare molto nelle sue pagine eleganti (curatissima la veste grafica di FrancoPuzzoEditore), e imbattersi in versi che chiunque vorrebbe fare suoi: Aspetto tra il bene e il male / mangiando miele mangiando sale.
Angela Siciliano, nata in Belgio e vissuta tra Germania, Italia e Danimarca, ora abita a Trieste. Ha vinto alcuni premi letterari e pubblicato un romanzo, Quando l'amore non basta (2008) e la raccolta di poesie Tra le dita (2012). Cura un blog personale.
Angela Siciliano, nata in Belgio e vissuta tra Germania, Italia e Danimarca, ora abita a Trieste. Ha vinto alcuni premi letterari e pubblicato un romanzo, Quando l'amore non basta (2008) e la raccolta di poesie Tra le dita (2012). Cura un blog personale.
sabato 5 aprile 2014
Uno scrittore libero: Khushwant Singh
Va be', è successo il 20 marzo ma io me ne sono accorta solo oggi. Sono ignorante e me ne pento. Comunque, rimane il fatto che è morto Khushwant Singh , all'età di 99 anni e dopo una vita fertile e combattiva. Sihk di nascita ma pronto a schierarsi contro la campagna terroristica scatenata dai suoi correligionari (che culminò con l'uccisione di Indira Gandhi per mano di una sua guardia sikh, e le sanguinose rappresaglie contro la comunità sikh ritornano nelle sue opere, ad esempio Delhi), fieramente laico, nemico dei fondamentalismi di ogni tipo, del tutto libero dagli stereotipi sulla sua patria d'origine, innamorato di Delhi (e ce ne vuole!), divertente, spiritoso e sboccato, cinico e lontano da qualsiasi sentimentalismo, famosissimo in patria, prolifico autore tra l'altro di una monumentale storia del Sikhismo, avvocato, giornalista, parlamentare, fu un personaggio davvero unico nel panorama indiano. in italiano si può trovare ancora su Amazon Quel treno per il Pakistan (sulla sanguinosa partition, la separazione tra India e Pakistan), La compagnia delle donne e Delhi, uno dei libri più sorprendenti che abbia letto. Certo è maschilista, certo non è raffinato, ma la sua robustezza è un grato diversivo dalle varie maghe delle spezie e dai negozi di sari, dall'India caricaturale della borghesia british style e dei misticismi a buon mercato. Vivamente consigliato agli amanti dell'India, dei paradossi e della libertà, oltre che dei bei libri (sporcaccioni).