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giovedì 23 maggio 2013

Come salire in sella e vivere felici: Eros in bicicletta di Elisabetta Chicco Vitzizzai



Per essere di buonumore con una lettura intelligente,
scaricate da Amazon (a 1,03 €) Eros in bicicletta di Elisabetta Chicco Vitzizzai, incantevole racconto d'ambientazione torinese. Elisabetta Chicco Vitzizzai è un multiforme ingegno, scrive, dipinge, disegna, suona. La copertina di questo ebook è stato disegnato dall’autrice, alla quale va tutta la mia ammirazione e l'invidia, sincera e benevola, di una che ha sempre desiderato saper disegnare. Inoltre è una scrittrice dall’occhio perfido e acutissimo. È un genio per i particolari rivelatori, quelli che inchiodano il personaggio come lo spillone sullo scarabeo in vetrina.
È il 1899, siamo a Torino in via della Rocca, in una famiglia borghese composta da due nonni, una madre e una figlia. I nonni sono archetipi di una Torino solidamente e asfitticamente borghese. Lui, Feliciano Numis, è maggiore dell’esercito e ama ritornare alle vicende storiche del passato che lo hanno visto attivamente impegnato, o su momenti topici come il contrasto tra Cavour e Garibaldi (il diavolo repubblicano, ateo e immorale), la cessione di Nizza, ecc. La nonna Catterina domina tutta la casa e i suoi abitanti con una tempra di ferro sostenuta da una sicurezza senza cedimenti. Sa che quello che lei vuole e fa segue regole che non ammettono eccezioni, il suo modo di vedere il mondo è l’unico giusto, sa che cosa è bene per sé e per gli altri. Carattere diffuso e ben noto, credo, a molti lettori. Il marito è sostanzialmente ininfluente e trascurabile, non come personaggio ma come persona all’interno della famiglia. La figlia Maria Luigia è malmarià (malmaritata in piemontese) in quanto vent’anni prima ha fatto una mésalliance ed è stata abbandonata dal marito di cui non si parla mai. Di conseguenza ora è isterica, e ha crisi nei momenti meno indicati, durante le quali viene curata con l’etere. È sessualmente repressa, ogni tanto ha comportamenti fuori dalle regole come osare il rosso nell’abbigliamento e flirtare con l’amico del fidanzato della figlia.
Giulia, la figlia ventenne, è appena uscita dal collegio delle Figlie dei Militari, quello delle figlie di ufficiali che stava alla Villa della Regina. Il suo passato è fatto di lunghe noiosissime passeggiate giù dalla collina e di regole, divieti, obblighi. Non va meglio a casa dei nonni in via della Rocca. Per questo Giulia ha una fame, un desiderio sfrenato di libertà che si materializza nel desiderio di avere una bicicletta. Dei personaggi, però, non è la psicologia che interessa, o almeno la verosimiglianza psicologica, ogni personaggio e ogni particolare è finalizzato alla ricostruzione grottesca e iperrealista di un momento storico preciso, di tic e mode culturali dell’epoca. L’autrice è un’entomologa preparatissima e spietata.
Questo romanzo è animato da un intento documentaristico su una classe sociale, una città e un momento storico, ma soprattutto da una caustica ironia, una messa alla berlina dell’ipocrisia borghese, della chiusura e della repressione delle cosiddette classi dominanti, insieme alla ristrettezza dell’ambiente torinese, militare e industriale ma privo di quella componente mercantile che ha fatto di altre città italiane centri più cosmopoliti e aperti. Nelle interminabili discussioni in casa Numis si toccano tutti gli argomenti del momento, da Lombroso, figura importantissima nella cultura torinese dell’epoca che torna in numerosi romanzi, a  Charcot, alle terapie contro l’isteria, a “quello sporcaccione” del Mantegazza. La cultura del tempo entra in tutti gli aspetti della vicenda, a partire dalla teoria di Lombroso sulla bicicletta come strumento del crimine e incitazione al delitto, i pericoli della sella, l’abbigliamento adatto alla bicicletta, la jupe culotte, i ginandri.
Siamo alle soglie della modernità: si parla di elettricità, del vapore, del treno. Dell’automobile, della bicicletta. Della questione socialista. Dell’emancipazione femminile, dello sport. Nulla sfugge all’occhio acutissimo e all’orecchio implacabile di Elisabetta, e tutto questo gran chiacchierare è riprodotto in modo divertentissimo. A Giulia viene presentato un possibile fidanzato, Augusto Witz, un giovane tenente di origine sarda svizzera, e con lui vengono introdotti alcuni personaggi importanti, primo fra tutti l’amico Vecellio Scipione Borgnino, pittore di cartelloni pubblicitari, anglofilo e anglofono per distinguersi in un ambiente francofono, egoista, presuntuoso ma interessante e curioso. Augusto è una figura sfaccettata e meno chiusa delle altre, in fondo è quasi uno straniero a Torino. Entusiasta della meccanica, ama il ferro. Salutista, non è romantico, ma decide di amare Giulia perché è adatta. Esilarante è la visita dei genitori del fidanzato, la descrizione delle fotografie dei suoceri. Anche se il fidanzamento si fa, Giulia ha sempre il problema di trovare i soldi per comprarsi una bicicletta. Per ironia della sorte, è proprio il fidanzato che indirettamente e involontariamente le fornisce il mezzo per guadagnare la somma che le manca. Giulia è coraggiosa malgrado i tentativi della nonna e della società di piegarla alle convenzioni, sa sfidare il pericolo corteggiandolo e trova una via che non vi dico per non rivelare troppo della trama. Sfidando le convenzioni, si trova a frequentare ambienti e persone completamente nuovi;  incontra pittori e modelle, giovani sfrontati che la trattano in maniera del tutto diversa da quella cui è abituata. Lei, non si sa se più ingenua o più astuta, sembra camminare con gran piacere sull’orlo dell’abisso senza caderci mai; o almeno così pare. La sua ingenuità si scontra con la malafede e viene truffata della ricompensa su cui contava per comparare la bicicletta; ma la ragazza ha molte risorse e alla fine l’agognata libertà su due ruote si realizza. Esaltata dalla velocità, dalla libertà, dall’indipendenza, si butta per il Valentino e oltrepassa persino la barriera del fiume. E l’autrice, reticente e maliziosa, ci lascia nell’ambiguità di sapere se davvero la bicicletta ha conseguenze così nefaste sulla virtù delle ragazze. Il linguaggio è straordinariamente evocativo con il suo impasto di piemontese e francese, il linguaggio della borghesia acculturata e legata alle proprie radici, e altrettanto suggestive sono le descrizioni, prime fra tutte quella della villa di via della Rocca o della cena di fidanzamento. In questa autentica enciclopedia della fine Ottocento, si incontra anche il demi monde in cui si muovono le puttane come Onorina Cantamessa ricamatrice in bianco o la cavallerizza bionda, le malattie veneree e i farmacisti che le curano, il Panorama, i riti mondani in Piazza d’Armi, e la toponomastica torinese ha una precisione da mappa. Si parla di piazza Carlina con il monumento a Cavour e l’Albergo di Virtù, del nuovo monumento a Vittorio Emanuele II in corso Vittorio, di negozi del tempo precisamente ubicati con tanto di insegne, e alla fine è difficile staccarsi da quel piccolo mondo antico che ci ha fatto molto ridere rinascendo, vivo e nitido come un’antica stampa bavarese nelle pagine (virtuali) di Elisabetta Chicco Vitzizzai.

martedì 21 maggio 2013

Le dimenticate, 5: Chi l'ha detto che il delitto deve sempre essere punito? Elisabeth Sanxay Holding e Marie Belloc Lowndes



E per finire, due thriller, o noir, o quello che vi pare, a conferma che le penne femminili sono maestre di perfidie e spaventi, e certe volte non c'è nessun bisogno di punire il delitto.
Elisabeth Sanxay Holding (1889-1955), educata a New York in scuole per signorine, sposò un diplomatico inglese, viaggiò molto al seguito del marito, scrisse romanzi sentimentali e polizieschi, ebbe molto successo in vita e è ancora ristampata negli USA. Molto ammirata da Raymond Chandler e da Alfred Hitchcock, pubblicò nel 1947 Una barriera di vuoto, che ebbe due riduzioni cinematografiche, ed è ambientato quando gli Stati Uniti erano in piena seconda guerra mondiale. Lucia Holley è una casalinga trentottenne, sposata da vent’anni, con una figlia non ancora diciottenne, Bee, e un figlio quindicenne, Dave. Il marito Tom è da tre anni nel Pacifico, e lei vive sulla East Coast nei pressi di New York con i figli e il vecchio padre, destreggiandosi tra razionamenti, difficoltà a trovare i generi di prima necessità, spostamenti in treno e discussioni con i tassisti esosi. Lucia è una tipica donna upper class che mai ha lavorato fuori casa, ma in casa in realtà lavora dalla mattina alla sera a far funzionare tutto al meglio per la famiglia. In lei, però, c’è anche qualche sotterranea irregolarità; prima di tutto fuma, e anche se siamo ancora lontanissimi dalle crociate antifumo, ciò non va bene per una signora. Poi ha un legame del tutto insolito con la propria cameriera nera, Sibyl, che ammira molto, del cui giudizio si fida totalmente, e tutto sommato è la sua unica amica. In questa situazione insieme normalissima e faticosissima, una tegola imprevista: Bee si caccia nei guai con un uomo molto più vecchio, sposato, assai losco, che è in possesso di un pacco di sue lettere compromettenti. Di qui parte una vicenda che mette i brividi non per efferatezza o violenza, ma perché potrebbe capitare a tutti noi: un piccolo problema, un tentativo di risolverlo che si rivela un passo falso, un altro tentativo in perfetta buona fede che si conclude in un disastro, ancora un tentativo di cancellare ciò che è accaduto che peggiora enormemente le cose… un crescendo davvero angosciante perché plausibilissimo, in cui anche la sacralità della casa viene minacciata da personaggi di inquietante estraneità oltre che ambigui o aggressivi. Ma Lucia è una damsel in distress superpasticciona e insieme piena di risorse, che con la sua fragilità conquista (quasi) tutti gli uomini con cui viene a contatto, almeno quelli ancora sensibili all’appello della femminilità da proteggere, e la conclusione non è né politicamente corretta né scontata. Bellissimi personaggi di contorno rendono questo libro una lettura davvero gradevole. Traduzione di Rosalia Coci, con una nota di Roberto Cocchis.
Con Il pensionante (1913) di Marie Belloc Lowndes (1868-1947) siamo invece nella Londra nebbiosissima e freddissima di fine Ottocento. L’inizio è di quelli che acchiappano al cuore e ti stendono a terra: Ellen e Robert Bunting, una coppia di ex domestici divenuti affittacamere, siedono in silenzio in un gelido interno, disperati e affamati, sull’orlo della miseria più nera. Hanno venduto tutto il vendibile, rinunciato persino a mangiare, perso qualsiasi speranza. Quand’ecco che si odono due forti scampanellate alla porta… Irresistibile. Il pensionante, appunto, è molto eccentrico ma si rivela una manna del cielo: disposto ad affittare tutte le camere vuote pur di non avere vicini, a pagare più del richiesto per non essere disturbato, molto quieto, di giorno sta in casa a leggere la Bibbia e fare misteriosi esperimenti, di notte esce nella fittissima nebbia e chissà dove va… Come avrete capito non è il fattore sorpresa che conta nel romanzo, ma la tensione che sale dalla prima pagina: Londra è sconvolta da una serie di efferati delitti (e uso coscientemente l’espressione abusata) che avvengono tutti secondo un rituale ripetuto, e le vittime hanno tutte le stesse caratteristiche: prostitute o ubriacone, comunque il tipo di donne che si possono incontrare in piena notte nei sordidi vicoli dei quartieri operai. A poco a poco i delitti del Vendicatore (così la stampa ha soprannominato l’assassino) si avvicinano alla dimora dei Bunting, nella centrale Marylebone Road (notate, vicinissima a Baker Street e al mitico n221B dove abita Sherlock Holmes, e al Museo delle Cere di Madame Tussaud, che infatti ha un ruolo cruciale nella vicenda). Mrs Bunting comincia a essere divorata dai sospetti, mentre la sua casa è intensamente frequentata da un giovane ispettore di polizia che oltre a occuparsi dei casi del Vendicatore è innamorato della figlia di Mr Bunting, temporaneamente in visita dal padre. Qui mi taccio e lascio il gusto della scoperta ai lettori, limitandomi a qualche osservazione. In tutto il romanzo non vi è una parola sulle vittime, che sono devianti, quindi la loro morte è irrilevante. Solo di una si dice che era “una brava moglie, e una brava madre” fino a che non ha cominciato a bere. Quello che fa impressione a tutti, che sconvolge l’opinione pubblica, non è tanto la morte provocata quanto l’impunità con cui il delitto avviene, l’interruzione del patto singolo-società. La gente per bene sa che non potrà essere vittima del Vendicatore perché si comporta decorosamente, non beve e la notte sta a casa. Così quando il Vendicatore comincia a colpire di giorno, è troppo, l’indignazione per l’inefficienza delle forze dell’ordine cresce e il capo della polizia è costretto a dimettersi. Molto interessante è anche l’analisi minuziosa del ruolo dei media, l’attenzione agli articoli dei giornali che soffiano sul fuoco della paura, la loro lunghezza e posizione, l’attesa per l’arrivo degli strilloni che nel silenzio della via (o bei tempi pre inquinamento acustico da traffico automobilistico!) portano il terrore e l’eccitazione per il nuovo delitto. Così come la presenza massiccia dei giornalisti e lo svolgimento delle operazioni all’inchiesta, tutta la narrazione è improntata a un’aderenza alla realtà che l’impianto romanzesco non deforma affatto. Altro motivo che fa di Il pensionante una lettura davvero istruttiva oltre che divertente, è che porta alla luce, oltre alla passione per i delitti, un’altra delle ossessioni inglesi all’origine di innumerevoli variazioni: il rapporto tra servi e padroni. Basti pensare a Gosford Park di Altman, a Il servo di Losey, ai televisivi Upstairs and downstairs e Downton Abbey, a Ai piani bassi di Margaret Powell. I signori Bening non denunciano il loro inquietante inquilino un po’ perché hanno paura di tornare alla miseria, un po’ per riconoscenza e soprattutto perché è un gentiluomo. Per questo Ellen fin dall’inizio decide di accoglierlo riconoscendolo tale dalla pronuncia e dal modo di fare malgrado sia privo di bagagli e di aspetto un po’ equivoco, per questo non se la prendono per le stranezze e sono sempre pronti a compiacerlo. La upper class si sa che è sempre un po’ eccentrica. E non è facile capire dove finiscono l’avidità e la necessità e dove comincia la fatalistica accettazione delle differenze di classe che fa degli inglesi, in alto e in basso, dei grandissimi snob. Infatti, politicamente il signor Bening è un conservatore convinto. Traduzione di Rosalia Coci. Il mantello di Inverness che il pensionante indossa e viene nominato sovente, è un mantello con la pellegrina, per intenderci lo stesso di Sherlock Holmes. Il pensionante ha avuto cinque trasposizioni cinematografiche tra il 1927 e il 2009.  
Marie Belloc Lowndes, di padre francese e madre inglese, nacque a Londra e trascorse la giovinezza in Francia; appartenente a una famiglia ricca di celebrità (il fratello, Hilaire Belloc, fu un famoso poeta e scrittore cattolico) fu scrittrice prolifica e di successo fino alla morte.

martedì 14 maggio 2013

Le dimenticate, 4: Un romanzo da leggere solo perché è bellissimo: Celia Dale, In veste d'agnello




Non avere letto In veste d’agnello, di Celia Dale (1912- 31 dicembre 2011) noir o poliziesco o thriller che lo si voglia considerare, è un vero peccato. Le notizie biografiche su questa scrittrice sono scarse, una foto la mostra con una faccia certo non bella eppure di straordinaria facciosità. Fu sposata, lavorò come segretaria di uno scrittore (o editore, i dati che ho trovato sono discordi), fu critica letteraria, pubblicò tra il 1943 e il 1988 tredici romanzi e una raccolta di racconti. Questa credo sia l’unica sua opera tradotto in italiano, il che è sicuramente un ulteriore gran peccato. Pubblicata quando la sua autrice aveva settantasei anni, affronta uno degli argomenti più sgradevoli e moralmente disgustosi che conosca, cioè le truffe agli anziani, ma lo fa in maniera davvero egregia, acchiappando il lettore dalla prima pagina e portandoselo appresso senza sforzo fino all’ultima. Londra, anni ottanta: Grace Bradby e Janice, alias Mrs Black e Mary, uscite dal carcere insieme e coabitanti per convenienza, si presentano a casa di vecchiette che vivono sole in veste di inviate dei servizi sociali, le imbottiscono di balle a proposito di possibili somme integrative alla pensione, poi Mary – l’assistente – si offre di fare una bella tazza di tè, riempie di sonnifero la tazza della padrona di casa che si addormenta, dopodiché le due hanno tutto il tempo di rovistare con calma e portarsi via tutto, la pensione, i risparmi se ci sono, i pochi oggetti che possono essere rivenduti ai mercatini delle pulci o ai bottegai poco scrupolosi: insomma la vita, i ricordi, l’identità delle vittime. Il bottino non è ricco ma facile da piazzare, e facendo tre o quattro colpi al giorno ci vivono bene in due. Grace è più anziana, piccola, robusta e affabile, ed è la mente: pianifica, punta le potenziali vittime all’ufficio postale quando ritirano la pensione e le segue fino alle loro abitazioni, si segna gli indirizzi, controlla le targhette, poi si premura di disfarsi immediatamente della refurtiva, sempre in mezzo alla folla, sempre il più lontano possibile da casa. Janice è l’anello debole: bruttina, pettinata come John Lennon, totalmente vacua, romantica, alla ricerca di un uomo che la tratti bene, vittima di impulsi autolesionisti come tenere piccoli oggetti trafugati. Sono due personaggi magnifici, soprattutto Grace, che malgrado la sua naturale amoralità, la sua totale mancanza di empatia, il modo cinico e naturale con cui delinque e manipola le vite altrui, non riesce a suscitare rifiuto, per il modo magistrale con cui Celia Dale conduce la sua narrazione. Poi c’è un giovanotto che entra casualmente nella loro vita, e un uomo solitario che fa scattare nella mente fertile di Grace un piano assai più ambizioso… Non dico niente sulla trama perché è avvincente e piena di colpi di scena. Dico solo che è un romanzo eccellente, ed è una vergogna che non sia più conosciuto. Dipinge vividamente la Londra degli anni ’70/80, swinging e cosmopolita forse, nei giusti quartieri, ma piena di sacche di dignitosa miseria o di ignominioso benessere dove non arrivano né la moda, né i turisti, né la musica, neppure gli immigrati, una Londra più vicina a quella umanissima di Dickens che al nostro immaginario contemporaneo. Fa pensare anche a certe figure dei romanzi di Barbara Pym, vite grigie e nascoste come i loro sentimenti. Tutte le vecchiette prese di mira da Grace e Janice sono altrettanti personaggi completi, mai descritti come tipi o macchiette, ma sempre persone, riconoscibili nella loro unicità e diversità. Un personaggio grandioso è Marion Robinson, l’ex attrice egocentrica ma non stupida che diffida di Grace, e vive di ricordi tra fotografie e abiti di scena, legata alle proprie abitudini di vecchia che non ammette di essere stata messa da parte dalla vita, sicuramente ispirata alla realtà (Celia Dale era figlia dell’attore James Dale). Nei pensieri del poliziotto che cerca di risolvere il caso delle vecchiette derubate, perché non tutto va sempre bene alle due delinquenti e prima o poi qualche errore lo commettono, c’è a un certo punto un desolato ritratto della condizione senile: Rinchiusi dentro covi e tane in tutta l’Inghilterra, uomini e donne anziani tenevano duro, con coraggio o malumore, ubriachi o sobri, matti o sani di mente, ma con il diritto alla vita finché durava, confortati dai loro tesori, dagli oggetti che testimoniavano che erano stati giovani, che avevano amato ed erano stati amati, che avevano lavorato, che avevano delle capacità, che contavano qualcosa. Derubarli era una sorta di omicidio, privarli con l’inganno del loro passato significava disprezzare la loro dignità. Anch’egli è un personaggio accattivante, altruista, capace di accogliere, entusiasta e contento del proprio lavoro, bonario, e insieme ingenuo e tradito dal bisogno di essere amato. Ecco, l’amore manca a tutti in questo romanzo, o chi ce l’ha deve nasconderlo, e c’è anche chi, come Grace, non ha mai saputo che cosa farsene e non sa neppure nominarlo: Il matrimonio non è così eccitante. […] Non sono mai stata interessata al sesso, cara, è solo l’aspetto legale della situazione a essere più vantaggioso, se si è sposati.
Tutto questo è raccontato in modo piano e veloce, oggettivo, attentissimo ai particolari concreti che dipingono un’epoca, ricco di interni di cui sembra di sentire l’odore e intravedere le penombre, senza indulgere in emotività o eccessi di psicologia, sempre in terza persona ma alternando il punto di vista di Grace, di Janice e del poliziotto. Purtroppo la traduzione di Rosalia Coci inciampa e barcolla, appoggiandosi a un lessico a dir poco sorprendente: per limitarsi alle pagine 120-122, confonde fodere e tappezzeria, introduce neologismi come graticolato per graticcio, ci introduce nel piccolo patio circondato da pareti dietro le tende che si intuisce poi essere una veranda, o meglio un balcone verandato, ci racconta di una proficua mattinata in giro per la Harrow Road dove, a dispetto della conurbazione di edifici popolari, trovò alcune enclavi di vecchie casette a schiera, nei seminterrati delle quali si annidavano ancora alcune promettenti vecchiette per il giorno dopo. Non è che voglio essere pignola, ma un libro così bello avrebbe meritato una maggiore cura.        

venerdì 10 maggio 2013

Le dimenticate, 3 - Quella che chiunque scriva dovrebbe avere letto: Constance Fenimore Woolson



Tutt’altro discorso a proposito di Constance Fenimore Woolson. Due racconti raccolti sotto il titolo del primo, Via del Giacinto, sono l’unica cosa che ho letto di suo ma mi hanno davvero colpita e mi hanno fatto venire voglia di saperne di più. Nata nel 1840 nel New Hampshire, pronipote di James Fenimore Cooper, ebbe un’infanzia e una giovinezza costellate di lutti familiari, visse sui Grandi Laghi e nel sud degli Stati Uniti durante il periodo della Ricostruzione, poi si trasferì con la madre in Europa dove rimase fino alla morte nel 1894. Viaggiò molto, in Francia, Svizzera, Germania, Egitto, Grecia, Inghilterra, ma soprattutto in Italia. Ebbe una lunga, tormentata e poco chiara relazione con Henry James (le loro lettere furono distrutte), pubblicò molti libri e ebbe molto successo, ebbe molti interessi, fu indipendente, forte, attivissima. Eppure la sua morte, avvenuta a Venezia per una caduta dal secondo piano di un palazzo sul Canal Grande, fu considerata subito un suicidio. E tuttavia è caduta nell’oblio come scrittrice, e viene ricordata per lo più per la sua relazione con James. 

Nelle sue opere cercò sempre di oltrepassare i limiti, andare un po’ più in là di quanto ci si potesse aspettare da una scrittrice. Scrisse della frontiera quando era nel Nord, poi della vita negli stati del profondo sud, in Europa storie di espatriati. I due racconti che ho letto sono veramente straordinari, soprattutto il secondo, Miss Grief, e rappresentano una riflessione sulla frase del Vangelo di Matteo "Molti sono i chiamati ma pochi gli eletti". In Via del Giacinto si assiste al progressivo addomesticamento, o normalizzazione, speculare dei due personaggi principali, due americani a Roma: una ragazza indipendente e anticonformista che vorrebbe dipingere ma non ha talento (o così pensano i critici che paternalisticamente la spingono a intraprendere un’attività più consona a una donna, come la governante) e uno scrittore brillante e ben introdotto nel bel mondo, che a poco a poco viene preso dal desiderio prima di trasformarla poi di proteggerla, supera le barriere sociali e la sfinisce fino a convincerla a sposarlo. Un racconto senza sentimentalismi né emozioni, con personaggi magistralmente costruiti, scritto una prosa limpida e molto moderna, efficacemente tradotta da Edoarda Grego. 

Ma è Miss Grief che mi ha colpita al cuore. Secondo me dovrebbero leggerlo obbligatoriamente tutti gli aspiranti scrittori pronti a vendersi l’anima pur di pubblicare, quelli che scrivono pensando al piacere del pubblico, gli editor che riscrivono i libri per adattarli al mercato, tutti coloro insomma che non scrivono per amore della scrittura, ma per amore di se stessi, della fama e del successo. Siamo di nuovo a Roma, a casa di uno scrittore americano giovane, sano  e forte, di aspetto abbastanza piacevole, con del denaro […] complessivamente sufficiente a rendere la vita gradevole, cosciente della sua fortuna e di essere presuntuoso, anche grazie alla soddisfazione per la mia piccola fama […]. So che di me si parla come “di quel tranquillo giovanotto che scrive dei deliziosi bozzetti di società”, e capace di godersi la vita. A casa di costui si presenta una certa Miss Grief, che malgrado venga sempre fermata sulla porta da un cortese cameriere, insiste finché un giorno lo scrittore, in un momento di inquieto nervosismo, la accoglie. La donna si chiama in realtà Aaronna Crief, è oltre la mezza età, magra, pallida e chiaramente debilitata dalle privazioni. Ha lasciato gli Stati Uniti con una vecchia zia, vive di stenti a Roma. Ma conosce a memoria tutte le opere dello scrittore, gliele recita con forza e passione, infine gli lascia un suo manoscritto di un dramma, Armatura, pregandolo di leggerlo e darle un giudizio. 

Il dramma rivela una forza, un’originalità, assolutamente straordinarie. Ha però errori e squilibri che vanno corretti: un personaggio da eliminare; insomma, si direbbe oggi, ha bisogno di un drastico editing. Ci prova lo scrittore, che però alla fine si rende conto che l’opera non può essere riportata alla normalità letteraria. Ma la donna oppone un assoluto, adamantino rifiuto a cambiare alcunché nelle proprie parole. Ostinata e distrutta nel fisico dalle privazioni vissute per scrivere le sue opere, muore consunta dalla fatica e vuole che le altre sue produzioni vengano seppellite con lei; solo il dramma lo lascia allo scrittore, pregandolo di aiutare la zia a tornare in America. Il dramma pagherà le spese, dice. Ma non sa che Armatura non potrà mai essere pubblicato. Io lo conservo, dice lo scrittore, ogni tanto lo rileggo – non tanto come memento mori, ma piuttosto come memento della mia buona fortuna, per la quale dovrei sempre continuare a dire grazie. La mancanza di un granello rese il suo lavoro vano e quell’unico granello fu dato a me. Lei, dotata di maggior forza, fallì; io, meno dotato, ebbi successo. 

Queste parole possono anche essere lette a parziale consolazione dei molto scrittori che pur consci del proprio talento, mancano della capacità di adattarsi al mondo. Comunque, Constance Fenimore Woolson è una scrittrice notevolissima e Aaronna Moncrief (questo è il nome completo, che il narratore scopre solo dal necrologio), la povera, brutta, affamata Miss Grief, ardente vestale dell'arte, divorata dal fuoco della passione creatrice, è un personaggio indimenticabile. Mi darò da fare per trovare altre opere di questa scrittrice.