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mercoledì 25 gennaio 2012

AA VV, ONRYO, AVATAR DI MORTE, a cura di Danilo Arona e Massimo Soumaré

AA VV, ONRYO, AVATAR DI MORTE, a cura di Danilo Arona e Massimo Soumaré
Per una che va pazza per antologie e fantasmi, Onryo è un invito a nozze a prescindere. Se poi questa antologia esce nella gloriosa Urania, è curata da Danilo Arena e Massimo Soumaré (quest’ultimo cura anche la traduzione dal giapponese), be’, difficile chiedere di meglio. E infatti le mie aspettative sono state ampiamente soddisfatte. In genere, quando coltivo la mia perversione antologica, sono rassegnata al fatto che nei racconti pubblicati ci siano delle differenze di livello a volte anche notevoli. In Onryo  questo inconveniente non si verifica affatto, tutti i racconti (di ambientazione moderna se non sempre contemporanea) sono belli, succulenti, degnissimi di stare l’uno di fianco all’altro. Gli autori sono dodici, tutti noti e ampiamente pubblicati, equamente divisi tra italiani e giapponesi, tra i quali ci sono anche quattro autrici; tutti maschi gli italiani. Va notato anche che c’è un paratesto ricco e esauriente, al quale vi rimando per scoprire la dotta classificazione dei fantasmi giapponesi e la loro collocazione storica, oltre alle notizie sugli autori. Mi limito a citare brevemente che gli ‘onryo’ sono […] spiriti di persone morte in circostanze dolorose, che non riescono a lasciare il mondo dei vivi, infestando il posto in cui è avvenuto il trapasso. E che sono quasi sempre fantasmi femminili. Nel racconto di Masako Bando, La voce del cadavere, in una quieta ambientazione rurale e familiare, una ragazza impara che non si dovrebbe mai perdere la pazienza con gli anziani né prendere sottogamba le antiche superstizioni delle nonne. Una ragazzina è anche Marta, la protagonista di Antracite di Alessandro Defilippis, che in una fabbrica dismessa, complice la pioggia, di gioco scopre la paura, il fascino e il pericolo insieme a ambigui compagni. Con Il caso del bagno pubblico Odoro, di Masahiko Inoue, l’investigatore Naoya torna nel quartiere dove ha trascorso l’infanzia, nella vecchia via commerciale dei Cavalli di Legno, per occuparsi di un caso di speculazione edilizia che si rivela per qualcosa di ben diverso e molto più sinistro. Anche in Fobia, di Samuel Marolla, storia di Valerio, affetto da un grave caso di agorafobia, del suo terapeuta e del suo unico amico, nulla è come sembra, e l’orrore, quando lo riconosciamo, è sorprendente oltre che spaventoso. Una storia vera, di Nanami Kamon, mette in scena avvenenti studentesse che tra aule e laboratori sono le attrici di una classica vicenda di fantasmi senza pace, apparizioni, sangue e possessione. Massimo Soumaré ci offre, con Barocco kaidan, una vicenda che intreccia passato e presente tra una Torino fascinosa e un Giappone antico ma ancora vivissimo, anche troppo forse, per il protagonista. La madre del kudan, di Sakyo Komatsu, è uno dei miei preferiti. Alla fine della seconda guerra mondiale, quando per il Giappone si avvicinava la tragica sconfitta, un ragazzo perde la casa e si rifugia in una antica villa che pare magicamente indenne da fame e bombardamenti, ma nasconde un segreto che si perde nella notte dei tempi. Stefano Di Marino ci sorprende e ci spaventa a dovere narrandoci come Il cacciatore di figli posseduti arriva a sconvolgere la quiete di un paesino sperduto nelle montagne del Carso. Chiarore lunare di Hiroko Minagawa ci avvolge in un’atmosfera di nostalgia e rimpianto parlando di amicizie infantili e di generazioni che passano. La voce roca e fascinosa di Perdinka costruisce, in Vale va bene di Danilo Arona, una perfetta storia di fantasmi di pianura persi tra nebbie, pub di campagna, autostrade, schitarrate, giornaliste di provincia, iridologhe e un pizzico di magia. Mi è piaciuto molto anche Paura dal monte degli Dei di Yoshiki Shibata, una storia misteriosa di apparizioni notturne, inganni, villaggi un po’ magici e antichi monumenti con sorpresa finale; vi ho anche trovato un’analogia con certe vecchie leggende piemontesi cui sono molto legata, in cui la masca, la strega di campagna, veniva riconosciuta per le ferite subite mentre si aggirava nella forma da lei preferita, di capra o di cane. Infine La ragazza dai capelli ramati, di Angelo Marenzana, è anche lei un fantasma di pianura, che scivola nella nebbia alla ricerca di una crudele vendetta mentre gli uomini, con i loro mezzi limitati e ottusi, annaspano tentando di capire.  
Si tratta insomma di un’antologia che offre un’occasione di intrattenimento di altissima qualità, allineando autori eccellenti e variando gli approcci al tema di base, guadagnandosi tutta la mia riconoscenza e lasciandomi un gran desiderio di continuare l’esplorazione nel mondo dei fantasmi contemporanei, degnissimi discendenti di un glorioso e antico lignaggio.   

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