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venerdì 7 ottobre 2011

ROSANNA MORACE, UN MARE COSI' AMPIO I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins

Un libro importante questo di Rosanna Morace, ricercatrice con una solida base classica, che attraverso l'analisi dell'opera di Julio Monteiro Martins affronta un argomento estremamente attuale, ma ancora poco studiato da noi in Italia: la letteratura migrante. A partire dall'etichetta stessa data al fenomeno, definita insufficiente e imprecisa, Rosanna Morace ne delinea i confini, ne elenca i rappresentanti, focalizzando i problemi, tra i quali il più importante mi pare sia che questa variegata letteratura è definita a priori uniformando opere e autori, a prescindere dal valore delle singole opere, e soprattutto dagli argomenti trattati. Perché non è detto che un autore "migrante", cioé non di madrelinga italiana, dopo averla scelta come veicolo delle proprie parole, parli sempre di emigrazione. Inoltre, osserva Rosanna Morace, nel caso degli autori non italofoni manca quasi del tutto un'analisi che vada al di là della recensione occasionale della singola opera, che tenga cioé in considerazione il corpus delle opere pubblicate da ciascun scrittore. Questo svelto ma approfondito saggio è tra i pochi che si propongono di colmare la lacuna.
Julio Monteiro Martins è nato in Brasile e si è trasferito in Italia nel 1995, a quarant'anni, cominciando una nuova vita come scrittore. Già noto in patria dove ha pubblicato romanzi e racconti fin dal 1975, in età davvero precoce, ha cambiato paese e lingua ma non si è lasciato alle spalle i temi già presenti nelle sue opere precedenti. I suoi titoli italiani, esaminati con profonda intelligenza e cultura, sono ormai parecchi; ma nel libro si parla anche di quelli pubblicati in patria. Tra le peculiarità dell'autore, Rosanna Morace individua la propensione per la forma breve anche quando affronta il romanzo, che si situa frequentemente a metà tra le due forme e sconfina spesso nella metaletteratura; tra i temi fondamentali, la frammentazione del quotidiano e la scissione del sé ormai congenite alla "società liquido-moderna", che riesce nell'impresa di condensare in poche pagine e in immagini vivide e fotografiche un''essenza esistenziale' che racchiude tutta una vita, e altri e più nascosti significati. La sua lingua è metaforica e lirica, e insieme concreta, fatta di carne, ossa e luce. L'analisi delle opere è esauriente e puntuale, e abbraccia tutta la produzione dello scrittore.
Di grande interesse è un'intervista fatta dall'autrice a Julio Monteiro Martins, in cui vengono chiariti con acutezza i motivi della partenza dal Brasile e della scelta di una nuova lingua: non è frequente leggere un'analisi in prima persona tanto limpida, ma Julio Monteiro Martins è autore capace non solo di narrare, ha una profonda cultura e una grande capacità di penetrazione intellettuale. La sua biografia è stupefacente, è stato editore e attivista del partito dei Verdi in Brasile, ha insegnato in patria, negli Stati Uniti, in Portogallo; in Italia insegna all'Università di Pisa e dirige la scuola di scrittura Sagarana, oltre all'omonima rivista on-line. Per la sua bibliografia (davvero ampia: cinque raccolte di racconti e tre romanzi in Brasile, tre raccolte e un romanzo in Italia) rimando al volume in questione; ricordando che l'ho frequentemente recensito su queste pagine.
Un graditissimo bonus sono i cinque racconti inediti, Cipresseta Raffaella Di Blasio, Gita al mare, Una storia breve, El Carnal e Il brusio del mondo. Sulla sua predilezione per il racconto e sulla considerazione in cui viene tenuto dalla critica d'oltreoceano (in Italia purtroppo non è lo stesso) Monteiro Martins dice parole interessanti nell'intervista. In questa breve antologia il tema più forte, sotterraneo ma prepotente è la morte: e la misura brevissima di Gita al mare (il mio preferito) e di Una storia breve ne esemplifica bene il senso e la maestria, facendone la misura perfetta.
Ottimo il paratesto, che comprende anche un breve biografia e una bibliografia completa.
Un mare così ampio. I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins è il primo stadio di un progetto più ampio dal titolo Scrittori migranti, in corso di svolgimento presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell'Università di Sassari, grazie a una Borsa di Ricerca della Regione Autonoma della Sardegna.

giovedì 6 ottobre 2011

CLAUDIA MANSELLI, L'OROLOGIAIO

In un luogo senza nome e in un tempo non definito si svolge la vicenda di un uomo che ha imparato il mestiere di orologiaio e ereditato la bottega del suo maestro. Ossessionato dal tempo, il protagonista si appropria della vita di chi ha posseduto gli orologi che lui aggiusta. Rivive la vita del suo maestro e poi quella della donna da lui amata, si perde completamente in lei e contemporaneamente perde lei iniziandola al piacere, fino a un livello di identificazione totale. Nell’atmosfera sospesa di queste pagine il protagonista vive lontano dalla vita reale, chiuso nella sua bottega, mentre intorno a lui succedono cose arcane. La città di mare in cui vive è invasa da fanciulle marine che si danno per un pugno di sale e da venditori di bolle d’aria, i pallidi governanti decretano l’allegria obbligatoria, nel porto giunge una nave misteriosa carica di maschere introducendo il tema dell’orgia e del doppio, gli schiavi si tengono al guinzaglio, i diversi vengono perseguitati. Alcune immagini sono trasparenti metafore dell’oggi, altre pura ricerca di gusto quasi surrealista. Il tono favolistico e l’atmosfera sognante non impediscono un finale piuttosto tragico. Molto importante è l’ambientazione: una città di mare e fabbriche, sospesa in un tempo indefinito che non è modernità né passato ma ha elementi di entrambi.

Romanzo di atmosfera e di parole più che di fatti, molto ambizioso sotto l’apparente semplicità, è opera alta di tono e di intenzioni, scritto in una lingua limpida, asciugata fino alla trasparenza. È una favola metafisica, rarefatta, molto raffinata, che ha come punto di forza una scrittura alta, molto preziosa, lontanissima dal linguaggio di tutti i giorni, così come la vicenda che narra non mira a mimare la realtà. La fantasia di Claudia Manselli è ricchissima ma molto controllata, e il suo romanzo riesce a essere contemporaneamente semplice e cerebrale, studiatissimo e favoloso. Le immagini sono pervase da una grande inquietudine: la muffa cresce dappertutto nell’umidità infilandosi fin nel cuore, tutti i fenomeni si manifestano a poco a poco, si insinuano nella vita di tutti fino a diventare invadenti, onnipervasivi. C’è molto di onirico ma allo stesso tempo le immagini sono precise, nette, come ritagliate su un fondale. A me ha fatto venire in mente un teatro delle ombre per questa precisione del dettaglio.

L’orologiaio ha una struttura stupefacente, in cui l’esile filo della trama principale è continuamente sommerso e coperto da un intrico di divagazioni. Il risultato è come un ricamo, o un arazzo, cangiante e quasi instabile, in continua trasformazione fino all’epilogo che arriva insieme atteso e stordente. Va letto lentamente, per la scrittura e per le immagini più che per la trama.

Con questo romanzo Claudia Manselli ha vinto l'edizione 2910 del Premio Alga.

mercoledì 5 ottobre 2011

MARISA PORELLO, LOVEBOY LOVEJOY

In questo romanzo di formazione scritto benissimo e molto convincente, veloce ma profondo, Marisa Porello conferma e supera le promesse del suo primo romanzo, La sbadante, narrandoci un amore omosessuale tra un giovane perbene e un ragazzo inquieto e vagamente maledetto, con finale tragico ma non troppo.

Il protagonista nonché voce narrante è Alessandro, ragazzo di origine provinciale, figlio di un proprietario terriero, trapiantato a Torino per studiare agraria e starsene lontano dalla famiglia d’origine oppressiva e ottusa. Alessandro è serenamente omosessuale, e la fuga dal paese dove è cresciuto gli permette di essere vivere con allegria e senza limiti la sua vita. Ha molti amici, si diverte, studia quel tanto che basta, pensa e divaga, ma la sua vita, si può dire, comincia veramente solo il giorno in cui incontra Jim: Mangiava cioccolato con un gomito puntato al suo zaino e mentre stavo a guardarlo ne ha mangiata una tavoletta intera. Lui non è uno di quelle bellezze che ti volti quando passa per strada. Ma sicuramente sono stati i suoi capelli. Aveva questi bellissimi capelli biondi, lunghi, ondulati, soffici: un mare di capello color oro, fin sopra le spalle. Jim è americano, vive in strada, Alessandro se lo porta a casa e da quel momento è perduto. Perduto d’amore e quindi di sofferenza perché Jim è il classico bad boy, che sparisce e ritorna, sfiora continuamente il pericolo, frequenta altri e altre e insomma, non si può fare a meno amarlo. Jim era così bello che anche quando aveva la febbre a quaranta ed era tutto madido di sudore e giaceva mezzo morto nel letto e quasi delirava, ancora irradiava la sua bellezza come una stella di neutrini. Aveva una tremenda bellezza, quel ragazzo, dentro e fuori, e addosso, e dappertutto, e ne aveva piena l’anima e anche il cuore. Pur non perdendo mai la sua leggerezza, la storia ha degli sviluppi drammatici, Alessandro porta alle estreme conseguenze il suo amore sconfinato e gli amanti si perdono di vista. Ma, con ironico un colpo di coda e di genio finale, Marisa Porello li fa rincontrare là dove forse Jim non potrà più far soffrire Alessandro, ma non è detto.

Il punto di forza di questo romanzo è la scrittura, che riesce nel miracolo di essere molto divertente malgrado l’argomento a tratti drammatico. La voce di Alessandro è frizzante, spiritosa, caustica, un po’ ribalda, anche quando parla dell’amore totale che prova per Jim non è mai sentimentale, l’occhio con cui osserva il mondo non perde la lucidità anche se è velato di lacrime. Accetta Jim così com’è, con tutti i suoi moltissimi difetti, osserva il mondo attorno a sé senza fare sconti a nessuno, e la trama delle sue riflessioni, delle descrizioni della famiglia, dell’ambiente torinese, delle sue scoperte sessuali al paese d’origine, è così variegata e vivace che attrae il lettore in un dialogo continuo, dove si vorrebbe poter intervenire per chiedere un particolare o confermare un giudizio. Il romanzo è pieno di sensualità, di golosità per il piacere, disarmante nella sua schiettissima passionalità. Il sesso mette buon umore, sa di buona salute e gioventù. Fa piacere leggere Loveboy Lovejoy, e si fa il tifo per il protagonista, che d’altra parte alla fine dimostra di sapersela cavare benissimo.

lunedì 3 ottobre 2011

VALERIA AMERANO, NON VOLTARTI, ABBIAMO PERSO

In questa rievocazione in forma di autobiografia sentimentale di due amori finiti, Valeria Amerano vince la difficile sfida di trasformare una piccola vicenda in un’epica dell’anima o meglio del cuore, dove l’amore è declinato in modi spudoratamente “fuori moda”, assoluti, senza vergognarsi della passione né tentare di mistificarla, anzi, traendone orgoglio. L’autrice sceglie la forma del romanzo in prima persona; l’io narrante è Anna, Marco e Davide i due uomini che costituiscono in varia misura i pioli su cui si arrampica la vita di Anna. E perdonatemi la metafora faticosa, ma mi è venuta in mente proprio perché il romanzo narra la fatica e la determinazione con cui la protagonista giunge a scoprire se stessa e affermarsi come persona attraverso la sensualità, la capacità di essere “schiava d’amore” senza difese ma consapevole. La vicenda si svolge negli anni ’70 in una Torino fascinosamente indistinta e precisa, un po’ buia, lontana nel tempo, dove ogni indicazione topografica rappresenta una tappa di vita. Anna, maestra elementare, sposata troppo giovane, intreccia un’amicizia amorosa con un collega, Marco, un po’ sfuggente e poco disposto a concedersi del tutto. Per lei inizia un percorso arduo ma inevitabile: sfidando le regole sociali e la disapprovazione della sua famiglia d’origine, si separa, va a vivere da sola , si dedica al suo sogno più vero, più profondo, quello di scrivere. Marco rimane un amore accettato con abbandono e lucidità: Una volta, era forse San Valentino, gli avevo dato il suo regalo seduta sul letto dell’albergo. Lui, superiore da sempre a queste cose, s’era messo in testa il fiocco colorato della scatola dicendo: "Sono io il regalo". Avevo sorriso e fatto finta di nulla. (Dieci anni dopo non gli avevo ancora perdonato quel gesto, né il fatto che avesse ragione.), ma non diventa mai un rapporto intorno al quale costruire la sua vita: Ero la donna di Marco. Non l’unica forse; ma se io potevo stare al posto di un’altra, un’altra non poteva stare al mio posto quando lui voleva me. Gli subentra Davide, amore ancora più evanescente anche se condivide con Anna la passione per la scrittura. Intorno ci sono gli anni tumultuosi delle rivolte giovanili, del femminismo, ma nulla di tutto questo raggiunge Anna nel suo quasi monacale isolamento: percorre la medesima strada di liberazione e autoaffermazione in perfetta solitudine, dedicandosi totalmente alle sue passioni, il dono di sé come amante, le parole da allineare sulla carta per narrare di sé.
I fatti sono pochi, e ciò che permette a Valeria Amerano di rendere appassionante questa vicenda intima e all’apparenza banale sono la stupefacente capacità di scrittura, che riesce a dare parole a ogni sfumatura di un rapporto, una eccezionale profondità di sentimento, e un’originalità di analisi davvero rara. Non manca neppure un leggero velo d’ironia che impedisce alla storia di un’anima di diventare storia di un ego. Infatti, malgrado l’intensità e la nostalgia che lo pervadono, questo non è un libro difficile, anzi, il lettore viene accompagnato con leggerezza all’inseguimento dei giovani passi di Anna che esplora i confini della crudeltà dell’amore e della sua libertà. Se ci fosse giustizia a questo mondo, Valeria Amerano sarebbe riconosciuta per quello che è, una grande scrittrice. Mi auguro che questo libro incontri almeno ciò che di diritto gli spetta, molti lettori capaci di lasciarsi andare all’incanto delle sue parole.
Edizioni Alga 2011