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lunedì 28 giugno 2010

Valeria Amerano, In pugno alle stelle

Conosco Valeria Amerano ormai da parecchi anni e ho avuto modi di apprezzarne la scrittura nei molti racconti vincitori di premi, ma questo è il primo romanzo suo che leggo. E pur aspettandomi qualcosa di bello, devo dire che la lettura ha superato di molto le mie aspettative. In pugno alle stelle è il romanzo di una famiglia, quella dell'autrice, di cui vengono ricostruite le generazioni fino dalla fine dell'Ottocento, quando il nonno paterno Steo Delmo abbandona la campagna pinerolese per emigrare a Torino, dove diventa tranviere. Sposa la bella Caterina la cui famiglia coltiva fiori in un vivaio detto il Brasil. Di qui si dipanano le vicende di nonni, zii, zie, genitori, fino a quando tra gli altri personaggi spunta anche Anna, alter ego dell'autrice, e si giunge più o meno agli anni ottanta del secolo scorso.
Detto così sembrerebbe un banalissimo memoir familiare, una di quelle opere che si scrivono per indulgere all'epica dei ricordi e alla nostalgia dell'infanzia. Invece è un libro magnifico per la capacità quasi miracolosa di empatia con i personaggi che racconta, nei quali entra senza dare l'impressione di forzarli, di inventarli. Io, che di solito non vado pazza per le storie di famiglia o di memoria, devo riconoscere che questa è speciale. Un punto di forza è la scrittura, ricca, sorprendente, senza mai cadere nel barocco o nel troppo scritto. Quel genere di scrittura che ti fa andare avanti stupita, chiedendoti: ci sarebbe un altro modo di dire questa cosa? No, non c'è, questo è il migliore possibile. Non c'è indulgenza né compiacimento nella descrizione dei tipi umani che compongono la famiglia della scrittrice, ma c'è rispetto e una forma non sentimentale di adesione al passato, uno sforzo di recupero, di interpretazione, di ricostruzione, frutto forse di una nostalgia consapevole dell'impossibilità di afferrare un mondo sparito. Ho sentito più di una volta Valeria Amerano dire che si può scrivere solo di qualche cosa che si è perduto, un'affermazione in cui non mi riconosco ma che il suo romanzo mi ha fatto capire e che sicuramente rispecchia la sua scrittura e ne spiega il fascino.
Rimane da dire che questo libro, uscito nel 2004 per Alzani Editore, non ha certamente avuto la diffusione che meritava. La sua profondità e la sua ricchezza ne fanno un'opera che spicca decisamente al di sopra della media di quello che i nostri editori di punta offrono in abbondanza. Ma non segue la moda della facilità e del noir a ogni costo, della narratività consolatoria, e questo forse renderà difficile che venga riconosciuto il suo valore. Certo varrebbe la pena che qualche casa editrice coraggiosa e soprattutto di gusto lo ristampasse e investisse nella promozione.
Concludo con una citazione, la frase finale: Li ho sempre accompagnati tutti al cimitero, i miei morti, ma non sono mai riuscita a seppellirli.

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