Sono tutto tranne che un'esperta di SF, però mi piace, ne ho letta molta in anni passati e anche adesso, che forse non la cerco più tanto, se mi imbatto in un libro che mi attrae lo leggo con diletto. Però devo dire che quest'antologia del 2007 a cura di George Mann, che non ricordo nemmeno più dove o quando ho comprato, mi ha dato un diletto particolarissimo. I sedici racconti che la compongono mi hanno fatto schiattare d'invidia: perché non li ho scritti io? e perché non sarei capace di scriverne nemmeno una pallida imitazione, neanche legandomi a una sedia per settimane? Devo dire subito che quello che mi è piaciuto meno appartiene all'unico nome che conoscevo – Brian Aldiss – il che mi ha spinto a riflettere sul fatto che ho macinato decine e decine di romanzi, di decine di autori, e a stento ricordo qualche nome, e praticamente solo un titolo – La città e le stelle. Forse questo si può attribuire al fatto che le mie letture erano quasi sempre dei volumetti Urania, che per esiguità di dimensioni, copertina, e natura periodica, non mi parevano veri libri, o almeno mi facevano sentire del tutto libera dagli obblighi legati ai veri libri, cioè impararne qualcosa, almeno il nome e il titolo. Con gli Urania bastava divertirsi, sognare, leggere senza responsabilità. Così sono rimasta più ignorante del necessario riguardo alla SF. Comunque, per tornare all'antologia in questione, se fosse tradotta la regalerei a un sacco di persone di mia conoscenza che quando sentono nominare la SF storcono la bocca e dicono non mi piace senza averne mai letto una riga.
I racconti spaziano dalle vicende intrecciate di un mutante molto particolare, reduce da una guerra contro alieni blu (ben prima di Avatar) e di un altro reduce, una specie di Rambo metropolitano (Jeffrey Thomas, In his Sights), agli strani effetti sul linguaggio di una fuga di virus da un laboratorio segreto e le sue conseguenze catastrofiche (James Lovegrove, The Bowdler Strain), all'agghiacciante società in cui ognuno è collegato con il suo personale dio che lo guida e lo consiglia in tutte le situazioni (Paul Di Filippo, Personal Jesus), al mondo in cui tutto è studiato perché la popolazione arrivi a ridursi a un unico individuo in dodici generazioni (Adam Roberts, A Distillation of Grace), all'impercettibile ironia che sottende alla fine del mondo vissuta in modo molto british da due donne ipercontrollate (Stephen Baxter, Last Contact), alla fantastica invasione aliena che si manifesta attraverso l'apparire di grandi api, cerchi nel cielo e gabbie che spuntano su parti del corpo degli umani, che controbattono a colpi di musica (forse il mio preferito, Ian Watson, Cages), al metaletterario, visionario, divertentissimo e insensato Jellyfish di Mike Resnick & David Gerrold, alla città scavata nella scogliera, i bellissimi panorami e gli strani personaggi di The Accord, Kurt Broke, alla guerra del futuro combattuta con mezzi sleali tra la gente seduta ai tavolini dei ristoranti di una città turistica in Spagna (altro mio grande favorito, Third Person di Tony Ballantyne), al malinconico e struggente The Farewell Party di Eric Brown, dove troviamo di nuovo degli alieni incomprensibili, invisibili e forse benevolenti. Mi dispiace dire che il racconto dell'unica autrice presente nella raccolta, Mary A. Turzillo, Zora and the Land Ethic Nomads, non mi è piaciuto affatto perché ho trovato stucchevole l'argomento intensamente femminile (non femminista), con tanto di famigliola minacciata, piccino da proteggere, maschio protettivo e gravidanza in pericolo. La solita paranoia americana del "non toccare la mia famiglia!", però ambientata su Marte.
Insomma, chiunque legga in inglese e riesca a mettere le mani su questa antologia non se la faccia scappare, è un vero e prolungato piacere.
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